Nel 1971 nacque il Bangladesh[1]. Il conflitto indo-pakistano aveva comportato pesanti ripercussioni sui Paesi coinvolti[2], soprattutto nell’ultimo stato “nascente”. La guerra, non fu l’unico fattore che condusse il Paese ad una grande crisi qualche anno più tardi, possiamo infatti convenire che le motivazioni (politiche, militari, ambientali) furono convergenti a quell’unico terribile evento: il 1974 verrà ricordato da tutti gli abitanti del Bangladesh, e non solo, come l’anno della gravissima carestia. Morirono migliaia di persone e l’intero Paese subì un forte arresto nella crescita culturale, sociale ed economica.
Una testimonianza eccezionale dello spirito di questo popolo, proprio in questi stessi anni di grande sofferenza, ci arriva da Muhammad Yunus, oggi Premio Nobel per la Pace[3].
La storia di Yunus si apre con uno squarcio sul velo dell’ovvietà capace di mostrare la necessità, per ciascuno di noi, di domandare e riflettere circa la natura delle cose e i nostri intendimenti a riguardo. Muhammad Yunus era un docente a capo del Dipartimento di Economia dell’Università sud-orientale di Dhaka, la capitale del Paese; la carestia era una realtà di quei mesi, tutti i mass-media ne parlavano e come spesso accade, con l’avvento dei metodi di informazione moderna, gli eventi hanno la capacità di non apparire mai del tutto reali, fino a quando non ne siamo in un qualche modo coinvolti. Yunus insegnava ai suoi alunni come studiare i grandi sistemi di mercato, le regole fondamentali dell’economia, il calcolo, il controllo. Un giorno, però, uscendo da una delle sue lezioni, incontrò un fiume umano di corpi semi-vivi che cercavano l’ultima speranza per sopravvivere alla carestia nelle strade della capitale.
Fu un duro, durissimo colpo. Una vera rottura di indifferenza, un terremoto interiore. Yunus stesso ricorda quel momento con estrema precisione:
Provavo una sorta di ebrezza quando spiegavo ai miei studenti che le teorie economiche erano in grado di fornire risposte a problemi economici di ogni tipo. Ero rapito dalla bellezza e dall’eleganza di quelle teorie. Ora, tutt’ a un tratto, cominciavo ad avvertire un senso di vuoto. A cosa servivano quelle belle teorie se la gente moriva di fame sotto i portici e lungo i marciapiedi?
La mia aula mi appariva come la scena di un film, in cui ci si poteva rilassare perché tanto alla fine si sapeva che i buoni avrebbero vinto. Quando facevo lezione, sapevo fin dal principio che ogni problema avrebbe avuto un’elegante soluzione. Ma quando uscivo dall’aula mi dovevo confrontare con il mondo reale, dove i buoni venivano spietatamente calpestati e sconfitti. Lì la realtà quotidiana peggiorava continuamente, e i poveri diventavano sempre più poveri. Per loro morire di fame sembrava essere l’unico destino.
Dov’era la teoria economica che rispecchiava la loro vita reale? Come potevo, al solo scopo di salvare il prestigio delle dottrine economiche, continuare a imbottire di chiacchiere gli studenti?[4]
Il mondo di Yunus, quel giorno ha iniziato a vacillare e a parlargli un altro linguaggio, più profondo: quello delle domande. Domande capaci di scardinare profonde convinzioni, assunzioni che ci portiamo dietro come se fossero davvero nostre. La morte incombente dei suoi connazionali, l’economia nella quale credeva fortemente e il suo sentire a riguardo, chiedevano:
Che senso ha tutto questo? Perché?
Improvvisamente, era capace di cogliere l’assurdo di ciò che stava vivendo: le teorie economiche con la loro efficacia da una parte e la morte di migliaia di persone nel suo stesso Paese dall’altra. Come si conciliavano questi due aspetti?
La profondità di Yunus è attestata dalla sua intensità nel non voltare le spalle a questi interrogativi enormi, e paradossalmente proprio spinto da quel “senso di impotenza”[5] che lo invadeva in quei mesi, decise di de-costruire il suo ruolo di economista e di ripartire da zero. Occorreva, infatti, ripensare l’essenza stessa dell’economia. Che cosa chiamiamo economia? Da che idea nasce il sistema economico? A quale esigenza risponde? Da quel momento l’obiettivo di Yunus sarebbe stato quello di comprendere la vita di un povero, anche di uno solo. Perché le persone povere sono povere?
Cosa chiamiamo davvero povertà?
Dalla spinta propulsiva di Yunus, nacque la Grameen Bank[6].
La Grameen Bank (grameen, in bengalese significa “contadino” “rurale”; il termine deriva dal sanscrito grama, villaggio) è il primo “Istituto di Credito Indipendente senza garanzie” al mondo.
La povertà in Bangladesh non era sicuramente un fenomeno sconosciuto, ma Yunus e i suoi primi collaboratori hanno avuto il merito di non dare per scontata la natura di questo fenomeno e videro la possibilità di indagare, grazie anche alle loro competenze, la questione in tutta la sua complessità eliminando i pregiudizi coltivati nell’ambito economico. La potenza della Grameen e il suo impatto fortemente rivoluzionario nasce infatti dallo sconvolgimento della logica e dalla metodologia di base adottate dagli istituti di credito. Le banche convenzionali non presterebbero mai del denaro a nullatenenti e in genere, non assumono come prioritarie le problematiche legate alla povertà. Quando qualcuno chiede a Yunus da dove sono nate le prime direttive per la formazione della Grameen Bank, lui stesso risponde: “Abbiamo guardato come funzionano le altre banche e abbiamo fatto il contrario”. Questa affermazione risponde di fatto alla verità. La Grameen è nata fuori dagli uffici, i dipendenti passavano e passano la maggior parte del tempo nei villaggi, a conoscere le persone, parlare con loro, analizzare le differenti problematiche e a suggerire eventuali soluzioni o metodologie per permettere a chiunque fosse interessato di accedere al prestito. La Grameen è una banca sui-generis che non smette di apprendere e non teme di farsi domande, di entrare in crisi. Vista nell’ottica del sistema economico tradizionale parrebbe una follia.
Fin quasi dal suo nascere Grameen ha suscitato aspre controversie. Da sinistra la si accusava di far parte di un complotto americano per introdurre il capitalismo tra i poveri; si diceva che il suo vero scopo era quello di distruggere qualsiasi prospettiva di rivoluzione futura togliendo ai poveri la disperazione e la rabbia.
Un professore comunista mi ha detto: “In realtà non fate altro che dare ai poveri qualche briciola di oppio, così non si lasceranno coinvolgere in questioni politiche più grandi. Con i vostri micro-niente li mettete a dormire, che stiano tranquilli e non facciano rumore. Voi uccidete il fervore rivoluzionario dei poveri, siete nemici della rivoluzione”.
Da destra, i capi conservatori musulmani ci accusavano di voler distruggere la nostra cultura e la nostra religione.
Io cerco sempre di evitare le filosofie e le teorie magniloquenti. Preferisco un pragmatismo che tenga conto delle esigenze sociali. Cerco di agire con spirito pratico e di muovermi costantemente in direzione di un obiettivo socialmente desiderabile.
Non sono un capitalista secondo la concezione semplicistica di chi ragiona in termini di sinistra e di destra, ma credo nel potere del capitale nel quadro di un’economia di mercato.
Sono profondamente convinto che fare l’elemosina ai poveri non sia un gesto risolutivo; significa soltanto ignorare i loro problemi e farli volutamente incancrenire. Un povero in buona salute non vuole né ha bisogno di elemosina. Dargli un sussidio significa aumentare la sua miseria, uccidendone lo spirito d’iniziativa e togliendogli il rispetto di se stesso.
Non sono i poveri a creare la povertà, bensì le strutture sociali e le politiche da esse adottate.
Se si modificano le strutture, come stiamo facendo in Bangladesh, la vita dei poveri ne sarà di conseguenza modificata. L’esperienza ci ha dimostrato che, con l’aiuto di un capitale finanziario anche limitato, i poveri sono capaci di produrre profondi cambiamenti nella loro vita[7].
Quella di Yunus è un procedere che sfida il consolidato sistema di pensiero vigente. Grameen non è solo una provocazione (vincente) rivolta al sistema bancario, ma anche alle associazioni umanitarie e alle organizzazioni di aiuto internazionali che da anni cercano di combattere il fenomeno della povertà. Le metodologie adottate da queste ultime infatti, mostrano come sia dato per scontato che la persona povera, ad esempio sia incapace di qualsiasi tipo di attività e che l’unica soluzione sia quella di insegnargli qualcosa. Questo intendimento conduce alla nascita di quell’apparato di organismi di formazione che in realtà non impedisce affatto che il povero poi non perda, successivamente, il controllo del capitale guadagnato attraverso il lavoro. Il problema si innesta proprio nella autonomia mancata nella gestione dei frutti del lavoro da parte delle persone povere. Spesso infatti, pur lavorando, restano schiacciate da meccanismi di debito e insolvenze dalle quali non riescono più ad affrancarsi. Yunus invece, parte dalla consapevolezza che ognuno di noi è in grado di svolgere bene almeno una mansione e di poter trasformare quella mansione in un lavoro, se opportunamente aiutati e consigliati. Questo ci introduce in quel delicato fenomeno economico e sociale chiamato microcredito[8]. Il microcredito permette, attraverso l’erogazione di una piccola, piccolissima somma da parte di un ente (in questo caso la Grameen) ad una persona in evidente stato di crisi (economica e sociale) di svolgere la sua attività lavorativa e di investire su se stesso. In sostanza, chiamasi microcredito, tutte quelle attività economiche di prestito accuratamente evitate dalle banche tradizionali. La Grameen Bank prevede che il credito sia rivolto principalmente ai più poveri, agli emarginati. L’unica credenziale richiesta è l’affidabilità della persona[9]. Ricordando che la parola “prestito” assume significato proprio dalla fiducia accordata tra le due parti. L’intera organizzazione prevede una struttura di gruppi di cinque persone, a loro volta uniti tra loro. Questi piccoli gruppi comunicanti favoriscono la pianificazione delle attività e costituiscono la fonte per creare nuove attività legate al microcredito. Le persone coinvolte si sentono sostenute e in caso di necessità possono sempre rivolgersi agli altri per chiedere consiglio. L’esperienza di Yunus ci mostra che con una piccola quantità di denaro, nessuna garanzia, rateizzazione settimanale suddivisa in micro somme (max un anno), la possibilità di richiedere un altro prestito (dopo aver assolto il primo), è possibile creare una banca che abbia dei presupposti etici. Qualcuno si starà giustamente chiedendo se di fatto la Grameen funzioni: il 98% dei rimborsi e soltanto 2% di insolvenze. Incredibile, davvero. Non stiamo parlando di piccole cifre erogate in villaggi dell’area rurale del Bangladesh, ma dall’anno della fondazione di Grameen possiamo contare 6 miliardi di dollari di prestiti erogati per progetti di vario genere. Attualmente Grameen è composta da circa 5 milioni di famiglie povere: è presente sul territorio del Bangladesh in circa 36.000 villaggi ed è riuscita ad esportare la sua metodologia d’azione in altri 57 paesi distribuiti nel resto del mondo. Attualmente, è presa a modello anche dalla Banca Mondiale, che studia costantemente il suo processo di sviluppo.
di Silvia Siberini
Centro Studi ASIA
Per approfondire l’argomento segnaliamo :
Muhammad Yunus, Il banchiere dei poveri, Milano, Universale Economica Feltrinelli, 2004.
Il sito ufficiale della Grameen Bank (in inglese): http://www.grameen-info.org
Muhammad Yunus premio Nobel per la pace: http://nobelprize.org/nobel_prizes/peace/laureates/2006/index.html
Link diretto al Video documentario dedicato a Yunus, sito ufficiale Nobelprize, di Oslo:
www.nobelprize.org/mediaplayer/index.php?id=146
Note:
[1] Ex -East Pakistan.
[2] India, East-Pakistan (attuale Bangladesh), West-Pakistan (attuale Pakistan).
[3] Muhammad Yunus premio Nobel per la pace: http://nobelprize.org/nobel_prizes/peace/laureates/2006/index.html
Link diretto al Video documentario dedicato a Yunus del sito ufficiale Nobelprize, di Oslo:
www.nobelprize.org/mediaplayer/index.php?id=146
[4] Muhammad Yunus, Il banchiere dei poveri, Milano, Universale Economica Feltrinelli, 2004.
[5] Muhammad Yunus, op. cit. p. 15.
[6] Sito ufficiale: www.grameen-info.org
[7] M. Yunus, Il banchiere dei poveri, Milano, Universale Economica Feltrinelli, 2004.
[8] Con il termine microcredito indichiamo un nuovo fattore di sviluppo economico rivolto alle persone che vivono una condizione di povertà, fino ad ora escluse da qualsiasi attività economica e di credito.
«Secondo i dati dell’UNDP – United Nations Development Program (il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite), il 20% della popolazione mondiale ottiene il 95% del credito complessivamente erogato nel mondo. Nei Paesi in via di sviluppo, milioni di famiglie vivono con il reddito delle loro piccole attività economiche rurali ed urbane, nell’ambito di quella che è stata definita come economia informale. La difficoltà di accedere al prestito bancario, a causa dell’inadeguatezza o assenza di garanzie reali e delle dimensioni delle microattività, ritenute troppo ridotte dalle banche tradizionali, non consente alle microimprese di svilupparsi o di liberarsi dai forti vincoli dell’usura. I programmi di microcredito propongono alternative soluzioni per queste microattività economiche (agricolture, allevamento, produzione e commercio/servizi), pianificando l’erogazione di piccoli prestiti a microimprenditori o gruppi di questi che hanno forte necessità di risorse finanziarie, per avviare o sviluppare progetti di auto-impiego. L’incremento di reddito che ne deriva porta a migliorare le condizioni di vita dei loro nuclei famigliari, determinando contemporaneamente un impatto significativo a livello comunitario. Avendo come target di riferimento i poveri, i programmi di microcredito molto spesso prevedono, oltre a servizi di carattere finanziario, anche una combinazione di servizi di supporto alla microimpresa, come: formazione tecnica e gestionale; creazione di reti commerciali; condizioni per la raccolta di risparmio. In modo più appropriato, questi programmi assumono la denominazione di progetti di microfinanza.» «Il potenziale contributo del microcredito alla lotta alla povertà è ora riconosciuto anche dalle grandi istituzioni mondiali deputate a sostenere lo sviluppo: Banca Mondiale; Fondo Monetario Internazionale; Nazioni Unite. La sempre maggiore attenzione al microcredito ha portato all’organizzazione del primo Microcredit Summit tenutosi a Washington tra il 2-4 febbraio 1997, con la partecipazione di rappresentanti di ONG, intermediari finanziari e imprese impegnate nel sociale, gruppi di base del Nord e del Sud del mondo, agenzie delle Nazioni Unite, Governi nazionali, istituzioni internazionali. In questa sede è stato ufficialmente lanciato l’obiettivo di organizzare un “movimento” mondiale di operatori per raggiungere 100 milioni di famiglie, specialmente le donne di queste famiglie, tra le più povere in assoluto, con la concessione di crediti ed altri servizi finanziari ed aziendali per attività di auto-impiego e auto-sviluppo, entro l’anno 2052. » (fonte: www.utopie.it)
[9] Seguendo questo unico criterio, il credito viene erogato in maggioranza alle donne. Oltre al fattore “affidabilità”, le donne si trovano spesso escluse dalle attività economiche e lavorative autonome, quindi rispondono ad un altro obiettivo della banca: aiutare e raggiungere i più emarginati. Questa scelta della Grameen, ha migliorato notevolmente il ruolo della donna in ambito familiare, soprattutto in Bangladesh, India