dal 12 al 19 Luglio 2008, Soprabolzano (BZ)
La parola “destino”, che nel titolo compare per ultima, dovrebbe stare all’inizio. Il suo senso stabilisce infatti il senso delle altre due. Le restituisce alla sua stabilità. Stabile è ciò che non può essere negato. Che cosa c’è di innegabile in ciò che diciamo “storia” e “aldilà”? E d’altra parte, sia la “storia”, sia l’ “aldilà” non sono forse interpretazioni e quindi qualcosa di negabile? Propriamente, l’intento di questi incontri riguarda il destino della “storia” e dell’ “aldilà”.
Riguarda quindi, innanzitutto, il senso autentico del destino – il suo differire da ogni forma di sapere e di agire di cui noi abbiamo notizia, e quindi il suo stare nell’ “inconscio” più profondo dell’uomo.
Eppure è nello sguardo del destino che la storia mostra la propria destinazione alla civiltà della tecnica e l’aldilà mostra di essere il destino stesso, cioè la stessa essenza più profonda dell’uomo.
Stiamo dicendo che il destino dell’uomo, cioè dell’ al di qua, è l’aldilà? Sì; ma a questa affermazione compete un significato esssenzialmente diverso da quello che la coscienza metafisico-teologico-religiosa sarebbe propensa ad attribuirgli.
Il destino non è “Dio” e non è nemmeno l’ “immortalità dell’anima”. E tuttavia il destino è qualcosa di infinitamente “più alto” di “Dio” e della “immortalità dell’anima”. È necessario pertanto che in esso appaia anche il senso autentico dell’ “altezza” e dell’essere “infinitamente” più alti di “Dio” e dell’ “immortalità”. E quindi è necessario che in esso appaia il senso autentico della morte.
Quanto si è detto implica che nello sguardo del destino la storia mostri una struttura dove il mortale è destinato d’apprima a Dio e poi alla civiltà della tecnica, che è la forma più rigorosa del divino.
Quello sguardo oltrepassa quindi la struttura della storia, cioè la relazione tra il mortale e il divino. Si tenterà di indicare, sia pure da lontano, il senso di questo oltrepassare.
Riguarda quindi, innanzitutto, il senso autentico del destino – il suo differire da ogni forma di sapere e di agire di cui noi abbiamo notizia, e quindi il suo stare nell’ “inconscio” più profondo dell’uomo.
Eppure è nello sguardo del destino che la storia mostra la propria destinazione alla civiltà della tecnica e l’aldilà mostra di essere il destino stesso, cioè la stessa essenza più profonda dell’uomo.
Stiamo dicendo che il destino dell’uomo, cioè dell’ al di qua, è l’aldilà? Sì; ma a questa affermazione compete un significato esssenzialmente diverso da quello che la coscienza metafisico-teologico-religiosa sarebbe propensa ad attribuirgli.
Il destino non è “Dio” e non è nemmeno l’ “immortalità dell’anima”. E tuttavia il destino è qualcosa di infinitamente “più alto” di “Dio” e della “immortalità dell’anima”. È necessario pertanto che in esso appaia anche il senso autentico dell’ “altezza” e dell’essere “infinitamente” più alti di “Dio” e dell’ “immortalità”. E quindi è necessario che in esso appaia il senso autentico della morte.
Quanto si è detto implica che nello sguardo del destino la storia mostri una struttura dove il mortale è destinato d’apprima a Dio e poi alla civiltà della tecnica, che è la forma più rigorosa del divino.
Quello sguardo oltrepassa quindi la struttura della storia, cioè la relazione tra il mortale e il divino. Si tenterà di indicare, sia pure da lontano, il senso di questo oltrepassare.
Emanuele Severino
Temi delle lezioni:
- Struttura della storia dell’Occidente
- Sul senso del destino
Sul senso dell’oltrepassare