Saper accompagnare
Aiutare gli altri e se stessi ad affrontare la morte
di Frank Ostaseski
Mondadori 2006
In una società come la nostra, che considera la morte e il dolore (fisico e mentale) come storture della natura cui trovare una paradossale soluzione – solitamente chimica –, risulta certo difficile pensare all’accompagnamento di un malato terminale come qualcosa cui ci si debba formare secondo principi precisi, da affrontare in modo il più possibile consapevole e scevro da paure. Perlopiù ci si ritrova in questa situazione come sbalzati in un incubo, nel quale siamo spaventati almeno quanto il malato o il morente. Coloro che hanno alle spalle una pratica seria, o anche un credo sincero, spesso sanno quanto sia importante affrontare lecitamente la malattia e la morte, e di solito non ne sono spaventati: il contatto quotidiano con la propria interiorità permette loro di essere presenti nel momento della sofferenza e della morte, e di “contagiare” l’assistito con un coraggio altrimenti sepolto sotto la prospettiva della nientificazione.
Per tutti coloro che si trovano al capezzale di una persona gravemente malata o prossima al trapasso, Frank Ostaseski scrive questo che è un vero e proprio manuale, non solo per accompagnare consapevolmente e con forza d’animo chi soffre o muore, ma anche per scoprire la preziosità dei momenti più difficili, delle esperienze che temiamo perché indissolubilmente legati a un profondo dolore. Ostaseski, praticante di lunga data di Buddhismo Zen e fondatore dello Zen Hospice Project di San Francisco, parte proprio dal dolore, che accomuna inevitabilmente “accompagnatore” e “accompagnato” e che, attraverso un difficile ma essenziale percorso interiore, svela l’inconsistenza della separazione fra questi due ruoli; l’autore, se da un lato propone pratiche e meditazioni da sperimentare allo scopo di offrire al lettore strumenti validi per vivere un presente tanto penoso, dall’altro sottolinea come malattia e lutto siano occasioni impagabili per affacciarsi con inconsueta lucidità sulla consapevolezza di se stessi, altrimenti celata da frenesia e disattenzione di ogni giorno. Ostaseski non precisa in cosa consista tale consapevolezza: condurvi il lettore non è lo scopo del suo libro; piuttosto, egli presenta una nuova possibile relazione con la fine della vita e la sofferenza, lasciando che l’esperienza in prima persona – vissuta con sufficiente apertura – parli da sé.
Una divisione in tre sezioni principali – La preparazione, Il servizio e Il lutto – e un’ulteriore suddivisione all’interno di ognuno dei tre capitoli indirizzano la lettura in modo ordinato e coerente, permettendo il riconoscimento immediato e concreto delle diverse fasi dell’esperienza e, cosa fondamentale, delle diverse emozioni che solitamente emergono in ogni fase; Ostaseski azzarda una breve indagine sui principali fraintendimenti che determinano reazioni come il senso di colpa, la rabbia, il rancore, la paura, e sottolinea come certi sapori emotivi si somiglino o rimandino l’uno all’altro. Oltre ad evidenziare alcune delle sensazioni più violente relative al lutto, l’autore indica la possibile accettazione di tali reazioni, alla luce argentea dell’esperienza della morte in prima e seconda persona. Manca forse una più ampia elaborazione filosofica in questo bel libro, che può essere comunque molto utile a chi voglia prepararsi umilmente e concretamente a eventi tanto misteriosi e intensi: certo, se Ostaseski avesse inteso argomentare l’importanza di un’esperienza lecita di (accompagnamento alla) morte avrebbe dovuto probabilmente dedicare più di un volume alla sua trattazione; Saper accompagnare si rivolge invece a un pubblico che si presume già cosciente della sacralità di dolore e trapasso, dell’importanza di morire in un ambiente familiare e di ritualità come quella del bagno e della vestizione… cosa per nulla scontata in questa parte di mondo.
Il vero coraggio di queste pagine sta nella proposta di una guarigione non per forza relativa al corpo, e di un lutto che ripropone – amplificandolo – un sentire in realtà quotidiano; la guarigione assume infatti un significato più profondo di quello usualmente assunto: essa “è sempre possibile, anche se la malattia è incurabile. […] La guarigione come risanamento, dove per ‘sano’ si intende letteralmente ‘completo’, ‘intero’ […]. La guarigione, dunque, come riscoperta di una completezza originaria”. Il lutto, d’altra parte, non è semplicemente il periodo che segue il decesso di un caro, bensì il riproporsi della “reazione alle tante perdite, alle piccole morti che avvengono ogni giorno. Sono i momenti in cui non otteniamo riconoscimento, le volte in cui le nostre aspettative vengono deluse [,] quando ci tornano in mente le occasioni in cui la nostra negligenza ha ferito gli altri […]. A volte il lutto è per qualcosa che avevamo e abbiamo perduto; a volte, per qualcosa che non abbiamo mai avuto.”. Il dono più grande del libro di Ostaseski è lo spalancamento sulla consapevolezza che “il lutto è come un fiume che attraversa la nostra vita, ed è importante prendere coscienza del fatto che non finisce mai. In questo modo il nostro atteggiamento nei suoi confronti sicuramente cambia. L’intensità e la modalità di espressione non saranno sempre le stesse, ma il lutto in quanto tale ci accompagna, e il resistergli non fa altro che esacerbare il dolore.”.