Comunicare e costruire in prima e terza persona: che significa?
Da un seminario tenuto da Roberto Ferrari presso ISIA, Istituto Superiore Industrie Artistiche – Università di Urbino – a.a. 2008-09.
I progetti
traggono la loro fantasia
dall’ordine.
(Luis I. Kahn)
Ricercare
In ogni attività di progettazione l’impegno di ricerca è imprescindibile, ed è questo che la rende così interessante. L’alternativa sarebbe quella di richiudere il progettare in una dimensione artigianale, nella auto citazione o auto celebrazione. Sviluppare una riflessione e un percorso di ricerca sul progetto richiede uno studio accurato e un dialogo interdisciplinare fruttuoso con le scienze e con il substrato di pratiche culturali, sociali, artistiche, informatiche nel quale siamo immersi.
Ma già fin dall’inizio la ricerca può prendere strade differenti.
In una prima accezione, l’interdisciplinarità può limitarsi a fondere il progettare con la tecnologia. Computer, programmi multimediali, banche immagini espandono enormemente le possibilità, permettono rielaborazioni e contaminazioni razionalizzano i processi. Si tratta di un approccio “muscolare” che utilizza enormi capacità di calcolo senza la consapevolezza che esse stesse sono nate da progetti, assunti di pensiero e intuizioni che è importante conoscere. Andare alla base del pensiero tecnico – tornare alla scienza e da essa alle sue basi filosofiche – è necessario per evitare che le tecnologie da strumento si trasformino in protagonisti unici. Che si sviluppi uno scenario in cui i diversi software e hardware dotati di interfacce sempre più intuitive per relazionarsi con l’uomo, “utilizzino” un numero sempre maggiore di dilettanti umani per competere, espandersi e dominare i progetti. Progetti per costruire case o per comunicare cultura.
È una concezione manageriale di progetto, così come definita dal Project Management Institute: “Un progetto è uno sforzo temporaneo intrapreso per sviluppare un prodotto od un servizio unico. Esso è temporaneo nel senso che deve essere ben collocato nel tempo, con precise date di inizio e fine. In caso di successo, il completamento di un progetto coincide col raggiungimento degli obiettivi prefissati, e deve essere unico, originale”.
Se parte da definizioni come questa la ricerca sul progetto tende a svilupparsi verso una innovazione fine a se stessa e un addestramento in tempi serrati, senza riflessione, senza esplorare di nuovi paradigmi e tanto meno le valenze etiche.
Se invece la progettazione aspira a divenire scienza ed etica nel senso di conoscenza integrata volta al meglio per il bene comune, occorre una ricerca veramente interdisciplinare: deve essere una conoscenza della realtà che integri l’esperienza oggettiva in terza persona con quella in prima persona, che possiamo confrontare e condividere in modo inter-soggettivo. Inoltre un progettare consapevole deve essere sostenuto da una forte riflessione filosofica che metta in luce eventuali assunti impliciti e possa indebolirli, semplicemente vedendoli agire nel nostro progettare. In questa direzione si muove il percorso di ricerca proposto dal Centro Studi Asia e dal suo Direttore Franco Bertossa, che cerca di integrare la dimensione oggettiva con l’analisi e l’indagine sull’esperienza interiore vissuta e in atto, da cui sono nate queste osservazioni sull’arte del progettare.
Informare/comunicare, alloggiare/abitare
Nel progettare comunicazione o architettura e vie di ricerca possono divergere, soprattutto in base alla finalità che ogni ricercatore si pone.
Se lo scopo è progettare vere abitazioni, chiese, ospedali e aeroporti, o far passare significati, una possibilità per il ricercatore è chiedersi da dove partire per progettare in modo consapevole e quindi necessariamente anche autoconsapevole. Questo tipo di ricerca integra l’attenzione per il contesto sociale con quella per la soggettività in atto nel gioco progettuale, soggettività che già implica vivere significati, domande, intuizioni. È una possibilità che nasce da una riflessione epistemologica: perché l’unico modo che abbiamo di pensare il progetto è di tipo oggettivo e funzionale?
Il progetto è anche – in modo implicito ed ineliminabile – un ritratto di ciò che sentiamo e del nostro modo di intendere noi stessi ed il mondo. Pertanto occorre distinguere due accezioni differenti di progettare: passare informazioni – o disegnare alloggi – in modo sempre più efficiente e performativo; e il comunicare significati – o proporre un abitare – radicato in un viver-si in prima persona.
Occorre riflettere bene, per evitare che la seconda si appiattisca sulla prima.
Riflettere
Per progettare siamo abituati a limitare la nostra azione consapevole agli elementi oggettivi: informazioni, modelli, teorie, concetti e forme su cui operare per giungere alla realizzazione del progetto. Il fulcro di questo processo è il rappresentare: con questo particolarissimo atto che è alla radice del pensiero occidentale mettiamo la realtà “in potenza”. La scomponiamo in parti, riduciamo le parti a schemi ripetibili, li ordiniamo in modo che ci permettano previsioni affidabili, e quindi applichiamo con successo quegli schemi in qualunque contesto.
Certamente è una modalità che offre – soprattutto grazie ai nuovi strumenti delle scienze informatiche e neurobiologiche – la sensazione di un grande controllo della materia progettuale, di dominio delle variabili e di continuo stimolo innovativo. Una sensazione rassicurante e straordinariamente efficace, che ci permette di ordinare il mondo in modo integrato e coerente.
Di per sè la progettazione “rappresentazionale” è una risorsa preziosa, una geniale capacità che abbiamo sviluppato. Diviene problematica solo quando si propone come pensiero esclusivo, quando pretende di coprire tutti gli ambiti, quando scivola nell’ideologia schematica e impersonale. Quando va a svalutare il vero protagonista del progetto, che è l’esperienza, l’atto progettante in azione: lo riduce infatti a mera percezione soggettiva, quindi relativa e dunque inaffidabile.
L’errore è elevare le rappresentazioni ed i modelli – che sono solo strumenti e non uno specchio fedele della realtà – a unica realtà.
Per questo è importante che la rappresentazione oggettiva sia affiancata in modo “stereoscopico” da altri strumenti che possano aprire il progettista anche al suo ambiente interno, alle sue proprie strutture di senso vissute – pre-personalistiche e pre-neurobiologiche – non per perdersi in esse ma per recuperarne nell’abitare, nel comunicare, la dimensione intenzionale ed intersoggettiva, empatica. Per sintonizzarsi non solo con gli specifici codici del nostro tempo ma anche col sentire l’altro e le domande che tutti si pongono. In questo senso la ricerca “in prima persona” non ha nulla a che fare con un supposto rifiuto della dimensione collettiva e sociale.
Cosa è la “dimensione vissuta”? Possiamo ad esempio esaminare il tempo “vissuto”: non è una rappresentazione, una misura di tempi, direzioni, riferimenti; non è un tempo tecnico, un ritmo di produzione e formazione; non è reversibile. Il tempo vissuto è una esperienza del tempo: l’istante inafferrabile, irreversibile, la protrazione inesorabile, la ritenzione e lo slancio, il flusso. Le due dimensioni non si escludono, si possono integrare consapevolmente, così come si integrano di fatto in ogni istante.
Allo stesso modo, l’utilissima rappresentazione del nostro spazio abitativo, che è estensione tri-dimensionale, spazio che avvolge e separa gli oggetti, che ne definisce prospettive, colori e ombre… non deve perdere la connessione con lo spazio fenomenologico vissuto: la dimensione certa ma indeterminata del qui, il punto di vista su un orizzonte, lo spazio interiore delle tonalità emotive e dell’empatia.
Un ultimo esempio: ciò che intendiamo come vita in biologia (organismo, evoluzione, cervello, cognizione, funzioni ecologiche, utilità come risorsa, etc.) in “prima persona” assume una profondità del tutto diversa: forme e colori degli animali che ci penetrano e incantano, e il nostro stesso respiro, il battito, l’identità, le sensazioni fenomeniche, gli atti di coscienza, la dimensione del capire e dei significati.
Un animale che “progetta” e costruisce la sua abitazione – ce ne sono molti tra ragni, vespe, api, termiti, formiche, uccelli, castori, etc. – non sta assolvendo una funzione biologica: sta estendendo la sua esperienza, il suo corpo, il suo sentire e lo sta trasformando in forme: carapaci di osso, nidi di seta, esagoni di cera, camini di fango.
Proprio per non escludere la dimensione dell’esperienza dallo studio della mente nelle neuroscienze sono nati programmi di ricerca come la neurofenomenologia di Francisco J.Varela, che fanno dialogare sperimentalmente biologia e fenomenologia.
Link correlato: Verso un progettare consapevole/2
Riferimenti bibliografici
AA.VV., Neurofenomenologia. Le scienze della mente e la sfida dell’esperienza cosciente, a cura di M.Cappuccio, Bruno Mondatori, 2006.
Franco Bertossa, I temi fondamentali della meditazione, Centro Studi Asia, Bologna 2003
Franco Bertossa, L’evidenza nascosta, Centro Studi Asia, Bologna 2004
Franco Bertossa, Marco Besa, Roberto Ferrari, Matrici senza uscita. Circolarità della conoscenza oggettiva e prospettiva buddista, in Dentro la matrice a cura di M. Cappuccio, Ed. Alboversorio, Milano 2004.
Roberto Ferrari, Sfere invisibili, all’interno degli habitat animali, catalogo mostra presso Museo della Figurina, Ed. Panini, Modena 2011.
Edgar Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Cortina, 2001.
Martin Heidegger, Lettera sull’Umanesimo, Adelphi 2000.
Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, Einaudi, 1995.
Ludwig Wittgenstein, Lezioni e conversazioni sull’etica, l’estetica, la psicologia e la credenza religiosa, Adelphi, 1967.
Luis I. Kahn, Buoni edifici, meravigliose rovine, Feltrinelli, 2005.