Ne abbiamo avuto l’esperienza ma ci è sfuggito il significato
E avvicinarci al significato ci restituisce l’esperienza
In una forma differente, al di là di ogni significato.

(T.S. Eliot, da Quattro Quartetti)

 

Phi.mind 8. L’uomo palude di Donald Davidson. E una piccola variazione sul tema: la coscienza può agire casualmente sul mondo fisico?

Donald Davidson

Il modo ‘classico’ – ma non intendiamo con questo che sia chiaro e universalmente accettato – della filosofia della mente di stampo analitico per unire coscienza e materialismo senza ridurre la prima al secondo, è quello proposto da Donald Davidson, un altro famoso filosofo americano. Come un esperto sensale, ha combinato un matrimonio tanto bizzarro quanto duraturo tra il monismo materialista – per cui c’è solo materia cerebrale – e un “dualismo di proprietà” – per cui il cervello mostra due proprietà, materiale e mentali. Quindi c’è solo materia, ma Davidson definisce la mente una “materia anomala”, autonoma dalla materia fisica. Tra cervello e mente c’è una stretta correlazione, si muovono sempre insieme, anche se – come vedremo – non ci sono leggi psico-fisiche universali che dal cervello spieghino il mentale e viceversa.

Come anello nuziale che mantenga stabile questa strana unione, Davidson ha utilizzato il concetto di “sopravvenienza”: la mente sopravviene sul cervello come un strato di nuove proprietà, per cui le proprietà mentali sono agganciate alle variazioni di proprietà fisiche. Se da un lato Davidson afferma che gli stati mentali sono determinati dalla base fisica, dall’altro nega che essi dipendano direttamente dalla base fisica, mediante leggi universali di causa-effetto. Si tratta non di una identità o di una produzione di mente cosciente da parte del cervello, ma di una co-occorrenza e di una co-varianza. Per cui non riusciremo mai a tradurre attività e schemi del cervello in vissuti ed esperienze: la lacuna esplicativa resta.

Come per Putnam, anche per Davidson è rilevante tenere in considerazione, per capire il rapporto tra cervello ed esperienza vissuta, la nostra storia personale e il rapporto con il mondo. Evidenzia questo punto con un esperimento mentale in cui si immagina la nascita di un Uomo-palude del tutto simile a se stesso[1].

In questa storia Davidson passeggia in una palude: all’improvviso scoppia un temporale, viene colpito da un fulmine ed ucciso. Nello stesso istante, un altro fulmine, cadendo nella palude, ri-organizza spontaneamente un ammasso di molecole di carbonio e acqua in modo tale che esse prendono la forma che aveva il corpo e cervello di Davidson nel momento in cui il primo fulmine lo ha ucciso. Questo Uomo-palude è identico a Davidson atomo per atomo, ha registrati nel cervello tutte le sue conoscenze e schemi mentali, e si comporta come lui: torna dalla passeggiata, va a casa di Davidson e interagisce con i suoi cari, e il giorno dopo si reca al lavoro nel suo istituto universitario. Nessuno nota la differenza. Ma per l’Uomo-palude le persone e le parole della vita del defunto Davidson hanno ‘significato’?
Il filosofo americano crede di no, e argomenta che la conoscenza dei significati è il prodotto della storia personale, che l’Uomo-palude non ha vissuto. Il fatto che i due cervelli – il suo e la copia dell’Uomo-palude – siano identici non significa che le due menti siano identiche.

Un piccolo inciso: anche Davidson come Putnam si concentra sulle esperienze passate e sulle tracce che hanno lasciato, ma forse si potrebbe anche mettere in evidenza l’esperienza cosciente attuale. Possiamo chiederci: l’essenza della mente e dei significati è l’aver-sentito e l’aver-significato il mondo? O il sentire attuale, situato e incarnato nella nostra esperienza di ogni istante? O entrambe?

Sposare materialismo e dualismo permette comunque a Davidson – e in generale agli anti-riduzionisti scientifici – di affermare che la coscienza si dà solo in co-presenza con una base fisica, e che questa base – il cervello – è la causa di variazioni fisiche. In questo modo si spiega come, per la co-occorrenza di cervello e mente, anche un pensiero può farci cambiare umore, eseguire azioni, farci ammalare e guarire. Se mancasse il cervello nessuno scienziato ammetterebbe che la mente (immateriale) abbia efficacia sul corpo (materiale). Una coscienza di ‘altra natura’, staccata dal cervello, resterebbe solo un fenomeno di superficie (epifenomeno): la punta immateriale di un iceberg che osserva la materia senza poter fare nulla.

Per concludere allarghiamo per un istante questo ultimo tema: la coscienza può agire sul mondo fisico?
Davidson afferma di sì, perché insieme ad essa si muove un cervello fisico; secondo altri studiosi la coscienza è un’eco vuoto, un’ombra che scivola sul mondo senza modificare nulla[2]: “Possiamo guardare il mondo che passa ma non possiamo farci niente”[3].

Dal punto di vista empirico sono diversi i campi in cui sembra che il piano mentale agisca su quello fisico: in medicina gli studi clinici sui placebo[4], che dimostrano come la sola convinzione di guarire sia in grado di modificare la fisiologia del malato; o gli studi sulle malattie psicosomatiche, patologie fisiche che si sviluppano da stati mentali debilitati (depressione, angoscia, panico, ecc.); in fisica quantistica[5] e nello studio della neurodinamica[6] si possono portare i dati relativi al fatto che è l’atto di misura della coscienza osservatrice che determina un certo effetto sulla materia. In generale non si conosce alcun rapporto tra fenomeni in cui solo uno (la materia) sia efficace sull’altro (la coscienza) senza che questo eserciti a sua volta influenza sul primo in una causalità circolare[7]. Chiudiamo qui questa piccola parentesi, ma ricordiamo che il tema del potere causale della mente sulla materia è oggi uno dei più dibattuti negli studi sulla coscienza.

 

Riferimenti bibliografici

[1] Davidson, D. (1987), Knowing his own mind , “Proceedings and addresses of the American Philosophical Association”, 61: 441-458.
[2] Lo psicologo William James, e di recente il filosofo Franck Jackson, lo scienziato computazionalista Jackendorf e lo psicologo Max Velmans. È un modo per conservare il concetto di coscienza senza per questo uscire dalle spiegazioni causali di tipo scientifico. Cfr. Di Francesco M. (1996), Introduzione alla filosofia della mente, Nuova Italia Scientifica, Roma.
[3] Haugeland J. (1988), Intelligenza artificiale. Il significato di un’idea , Bollati Boringhieri, Torino, p. 40.
[4] Dobrilla G., 2004, Placebo e dintorni. Breve viaggio tra realtà e illusione , Il Pensiero Scientifico Editore, Roma.
[5] Wigner E.P. (1967), Remarks on mind-body question , in The collected Works of Eugene Paul Wigner, Part B Vol.VI, Springer-Verlag, Berlin Heidelberg 1995, pp. 247-260.
[6] Thompson, E., Varela, F. J. (2001), Radical embodiment: neural dynamics and consciousness , “Trends in Cognitive Sciences”, 5 (10), 418-425.
[7] Bitbol, M. (2007) Ontology, matter and emergence , “Phenomenology and the Cognitive Sciences”, 6 (3), 293-307.

 

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