Ne abbiamo avuto l’esperienza ma ci è sfuggito il significato
E avvicinarci al significato ci restituisce l’esperienza
In una forma differente, al di là di ogni significato.
(T.E. Eliott, da Quattro Quartetti)

 

Phi.mind 20. Il metodo delle interviste. Il Sentire sorgivo di Claire Petitmengin e le sensazioni significative

Il metodo della Neurofenomenologia utilizza, oltre ai resoconti in prima persona da persone addestrate nell’osservazione interiore, anche tecniche di ‘guida’ nelle descrizioni delle esperienze. Questa posizione intermedia tra esperienza e descrizioni, tra prima e terza persona, è denominata appunto “seconda persona” ed è occupata da un mediatore, un ‘tu’ che interagisce verbalmente ed empaticamente con il soggetto che fa il resoconto dell’esperienza.

Questa figura si rende necessaria perché il soggetto che non ha mai ricevuto un addestramento meditativo o non si è mai occupato di ascoltarsi in modo ordinato, incontra diverse difficoltà nella applicazione del metodo della riduzione fenomenologica1. Egli tende a focalizzarsi sulle ‘cose’ che sente (gli oggetti dell’attenzione, come il ‘rosso’ del tavolo, la ‘ruvidezza’ della carta vetrata, ecc. ) ed in particolare quelle che conosce ( le rappresentazioni, come ‘IL tavolo’, ‘LA carta vetrata’, ecc.); piuttosto che sul ‘come’ le sente e conosce (il fatto che ogni esperienza è ‘esperienza di’, vale a dire ‘esperienza per una coscienza’), e sul come ne diventa cosciente. È la stessa difficoltà che interviene anche a livello filosofico quando si fanno coincidere i qualia intesi come stati fenomenici esperiti (un ‘conoscere qualcosa’ che gli anglosassoni chiamano know what) con l’atto del sentire, che è il ‘modo’ (know how) in cui tali ‘cose’ ci si presentano e attraverso cui ne diventiamo coscienti. Perché i resoconti dell’esperienza siano affidabili per la ricerca scientifica, è importante che i soggetti non confondano l’esperienza con una sua rappresentazione e per questo le descrizioni fenomenologiche hanno un carattere processuale, vale a dire che le categorie impiegate non sono rigide e prestabilite ma scaturiscono dal movimento stesso della descrizione. Si tenta di mettere in luce la dinamica vissuta attraverso cui un concetto o un oggetto vengono a costituirsi per un soggetto.

Claire Petitmengin, ricercatrice francese che ha studiato a lungo con Francisco Varela, utilizza un insieme di tecniche elaborate con lo psicologo Pierre Vermersh per far accedere le persone alla dimensione della propria esperienza vissuta. Queste tecniche guidano l’attenzione attraverso sottili distinzioni come quelle tra ‘cosa conosco’ e ‘come conosco’ e sono chiamate “interviste di esplicitazione”2. Come già accennato (Phi.mind 19) questi metodi si sono già rivelati utili per anticipare e controllare gli attacchi epilettici3.

Attraverso i metodi in prima e seconda persona Claire Petitmengin si è dedicata ad indagare anche le dimensioni meno evidenti e verbalizzate del sentire originario, quello che Husserl avrebbe nominato come “modo di coscienza antepredicativa” poiché in esso il linguaggio per nominare il contenuto dell’esperienza è ancora assente. Abbiamo incontrato la suddetta dimensione dell’esperienza all’inizio di Phi.mind 13, e di seguito in Phi.mind 16 parlando dei breakdowns di Francisco Varela. Esso sarà propriamente il tema di questa ultima parte del nostro percorso, relativa ai recenti sviluppi del problema dei qualia.

Un antecedente importante della propria ricerca Claire Petitmengin l’ha trovato nei lavori del filosofo e psicoterapeuta Eugene Gendlin e nel suo processo di focalizzazione e accesso al “senso sentito” (ingl. felt sense)4 ovvero una sensazione fisica significativa ma pre-verbale e non ancora chiara, esperita nel corpo. Grazie alle tecniche di esplicitazione Petitmengin ha insegnato a diversi soggetti  a restare in contatto con un sentire ancora confuso e indefinito, che ha chiamato dimensione sorgiva5. Si tratta del sottofondo che accoglie e da cui si sviluppano costantemente le nostre sensazioni qualitative (qualia), lo stesso sottofondo che guida le nostre azioni e concezioni6. La dimensione sorgiva del sentire è pre-concettuale e pre-discorsiva, e precede anche la separazione in distinte modalità sensoriali. È posizionata alla sorgente dei pensieri, delle percezioni di forme e qualia, dell’io personale. Si tratta di una “sensazione significativa (ingl. felt meaning) non definibile da qualità specifiche (es. emozioni, sentimenti, etc.) perché resta in una indeterminatezza dalla quale rapidamente cambia modalità e caratteristiche. Per focalizzarla, l’attenzione va puntata più sulle sue intensità dinamiche che su sensazioni qualificate:  i felt meanings possono avere precise localizzazioni nel corpo (petto, stomaco, gola, ecc.)7 e nel contempo sfumare in uno spazio privo di confini e permeabile in quanto proveniente da una più profonda dimensione dell’esperienza. Nelle parole di Claire Petitmengin:

“Tale sensazione di permeabilità è spesso accompagnata da una trasformazione del sentimento di identità individuale: il sentimento di essere un ‘sé’ distinto che diviene più ‘leggero’ e che svanisce. Esperti praticanti di meditazione samatha-vipasyana descrivono tale istante iniziale, molto rapido e normalmente ante-riflesso, in cui il mondo interno e quello esterno, il soggetto e l’oggetto, sono ancora indistinti. Questo istante può essere facilmente riconosciuto quando si è sorpresi, o quando ci si sta per svegliare, o quando si è molto rilassati, per esempio quando si sta passeggiando nel bosco. Sopraggiunge un suono, e per un istante, tu non sai chi sei, dove ti trovi, non sai perfino che quello è un suono7.

I felt meanings hanno la caratteristica di essere vissuti con profondo coinvolgimento, che assume talvolta un carattere totalizzante. Ossia non resta legato alla specifica situazione o relazione che l’ha innescata, ma può estendersi immediatamente ad ogni esperienza. È un’esperienza del ‘tutto’ che ha in sé il carattere del ‘sentirsi sicuri’ e – aggiungeremmo – un senso di ‘certezza indubitabile’ non relativo ai contenuti – indefiniti e sconosciuti – né alla specifica tonalità emotiva, ma al fatto stesso del sentire:

“Qualsiasi tonalità prevalga (esplosiva, nostalgica ecc.), rinnovare il contatto con questa dimensione sorgiva ci dà una sorta di sicurezza, una sensazione di essere unificati, di essere un tutto.”8

Sulla soglia del sentire significativo qualsiasi metodologia, sia essa fenomenologica, meditativa o psicologica, arriva al proprio limite. Lì nasce la possibilità di esperire profondamente il sentire più iniziale e il suo carattere di indubitabilità (declinato nei sapori della certezza, della unità, della sicurezza) senza occuparci di contenuti o modalità ma solo del fatto stesso dello star-sentendo.

Un aspetto fondamentale che abbiamo sfiorato è che il sentire iniziale è intrinsecamente pre-concettuale, e quindi precede l’atto di riflessione che costituisce il pensiero ‘io’, la nostra identità personale. Tuttavia quando entriamo in contatto con questo sentire ce ne sentiamo pienamente coinvolti. Come mai? Chi ne sarebbe coinvolto?

Vedremo come esaminando il rapporto tra sentire originario – ante-reflesso, trasparente a sé ma nel contempo concreto e corporeo –  e questa autocoscienza primitiva, si scopra che sono intimamente connessi e quasi coincidenti.

 

Riferimenti bibliografici

1 Depraz N., Varela F., Vermersh P. (2003), On Becoming Aware, John Benjamins, Amsterdam.

2 Petitmengin C. (2006), Describing one’s subjective experience in the second person: an Interview Method for the Science of Consciousness, “Phenomenology and the Cognitive Sciences”, Volume 5, Numbers 3-4, December 2006 , pp. 229-269.  Trad. in italiano a cura di Fabio Negro: Descrivere l’esperienza soggettiva in seconda persona: un metodo intervistico per la scienza della coscienza

3 Petitmengin C., Navarro V., Le Van Quyen M. (2007), Anticipating seizure. Prereflective experience at the centre of neurophenomenology, in “Consciousness and Cognition“, num. 16, pp.746-764.

4 Gendlin E. (1962), Experiencing and creation of meaning. A Philosophical and Psichological approach to the Subjective, Northwestern University Press, Evenston, Illinois.

5 Petitmengin C. (2007) Towards the source of thoughts. The gestural and transmodal dimension of lived experience,Journal of Consciousness Studies” , vol. 14, n° 3, pp. 54-82. Trad. italiana a cura di Fabio Negro: Verso la sorgente dei pensieri. La dimensione gestuale e transmodale dell’esperienza vissuta

6 Petitmengen, 2007, p. 68-69.

7 Petitmengen, 2007, p. 70.

Petitmengin 2007 p. 56.

 

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