Ne abbiamo avuto l’esperienza ma ci è sfuggito il significato
E avvicinarci al significato ci restituisce l’esperienza
In una forma differente, al di là di ogni significato.

(T.S. Eliot, da Quattro Quartetti)


Phi.mind 1. Introducendo le Scienze della Coscienza. Scuola della Filosofia della Mente e scuola della Fenomenologia.

Gli studi sulla esperienza cosciente sono una avanguardia di ricerca in campo scientifico e filosofico. Si occupano di un fenomeno tanto imprescindibile quanto elusivo, come acqua in cui tutti nuotiamo in ogni momento: il carattere ‘conscio’ che hanno talune esperienze, di tipo sia cognitivo (ricordare, calcolare, rappresentare, credere, domandare, scoprire, etc.) sia sensibile (percezioni qualitative di carattere visivo, sonoro, emotivo, etc.).

Prima del Novecento, in Occidente, la coscienza veniva intesa soprattutto come anima e legata al suo significato religioso, morale e ultraterreno: vigeva una impostazione dualista che divideva coscienza e corpo in due sostanze, dove la prima abitava il secondo per poi disgiungersi da esso. Il progredire delle scienze e della psicologia ha ridotto l’influenza di queste credenze e riaperto la questione della coscienza riportandola al campo sperimentale, sia oggettivo che soggettivo. Oggi per inquadrare gli studi sulla coscienza è utile riferirsi a due principali scuole di pensiero che si sono imposte a partire dai primi decenni del Novecento, la Filosofia della Mente e la Fenomenologia.

Mentre la Fenomenologia è l’approccio metodologico proprio della filosofia europea ‘continentale’ per indagare l’esperienza cosciente così come viene vissuta in modo diretto, la Philosophy of Mind che qui ci interessa particolarmente si radica nella tradizione della filosofia analitica anglo-americana. Si occupa soprattutto di dare buone definizioni delle categorie e degli oggetti: nel caso del problema di cosa sia la mente, si focalizza dunque sulla definizione degli stati mentali (credenze, percezioni, ricordi, azioni) e sul loro rapporto con il cervello/corpo (mind-body problem). La Filosofia della Mente è nata all’inizio del Novecento come reazione alla scuola ottocentesca dell’Introspezionismo, la quale non seguiva i metodi di osservazione e sperimentazione propri delle scienze naturali e che risultava vaga e senza risultati. Il suo forte stampo analitico la fa operare a partire da assunti e metodi oggettivi: osservazione dall’esterno (in ‘terza persona’), esperimenti, ricerca di meccanismi e di leggi causa-effetto.

Anche la Fenomenologia nacque agli inizi del Novecento come reazione all’Introspezionismo, ma si orientò fin da subito in direzione opposta: operando con osservazioni rigorose in prima persona (in ‘soggettiva’), piuttosto che in terza persona (dati oggettivi); la Fenomenologia descrive i fenomeni mentali senza cercare meccanismi né si occupa dei contenuti interiori (consci o inconsci) come la psicologia: piuttosto indaga strutture e articolazioni del vissuto cosciente che siano comuni e non variabili, con caratteristiche essenziali che ognuno possa rintracciare nella sua esperienza personale.

Fenomenologia e Filosofia della Mente sono quindi  impostazioni di ricerca, ‘gemelle’ ma assai differenti, la prima portando il focus sulla esperienza soggettiva e vissuta  la seconda sulla produzione e analisi di dati oggettivi sulla attività mentale. Si sono contrapposte per oltre cento anni ma di recente, come vedremo nelle future puntate di Phi.mind, la fenomenologia ha prodotto nuove proposte e ha  dato inizio a un fitto dialogo anche all’interno delle scuole analitiche, confrontandosi con i dati della ricerca scientifica.

Per tornare subito alla Filosofia della Mente anglosassone diremo che è passata attraverso diverse fasi, superandosi e adattandosi alle nuove scoperte filosofiche e scientifiche: all’inizio prese la forma del Behaviorismo con scienziati come J. Watson e F.B. Skinner, i quali riducevano la mente a comportamenti esterni corporei o linguistici, eliminando gli stati interni che li producono. Dagli anni Cinquanta del Novecento si è poi trasformata in quello che potremmo chiamare un “comportamentismo neurale”, conosciuto come Teoria dell’identità tra cervello e coscienza così come sostenuta dai filosofi J.J.C. Smart e D. Armstrong, per i quali ogni atto e sensazione possono essere ridotte a certi processi del sistema nervoso, verificabili empiricamente.

Con lo sviluppo della cibernetica e dell’informatica l’attenzione si spostò dal comportamento alle funzioni: a partire dagli anni Settanta del Novecento prevale quindi l’impostazione dei filosofi della mente Funzionalisti come H. Putnam e J. Fodor. Per loro gli stati mentali sono riducibili a funzioni computazionali, calcoli simili a quelli di un computer; la mente e la sua funzione ‘coscienza’ stanno al cervello come il software (programma informatico) sta all’hardware (computer fisico). Visto che questa scuola sembrava ancora riproporre una sorta di dualismo materia-informazione, si è evoluta a partire dagli anni Ottanta del Novecento una sua variante, oggi in auge, che si ripropone di eliminare ogni dualismo e riportare tutto alla materia fisica: è il Connessionismo, per il quale la funzione ‘mente cosciente’ è una emergenza da una rete fisica di connessioni, sia essa di neuroni o di reti neurali su computer.

Un esito estremo ma per nulla minoritario in campo filosofico anglo-americano è la posizione dell’Eliminativismo. Dal momento che in genere le teorie della Filosofia della Mente non riescono – e questo sarà il tema delle riflessioni che seguiranno – a spiegare in termini materiali o logici certi fenomeni mentali come sensazioni qualitative (qualia), desideri, significati e valori, diversi filosofi negli anni Novanta si sono dichiarati favorevoli alla eliminazione di questi fenomeni dal campo della realtà: per Daniel Dennett, Paul Churchland e Patricia Smith Churchland la coscienza è un costrutto illusorio del linguaggio, da eliminare in favore della ‘realtà’ delle reti nervose.

Oggi gli eredi della teoria dell’identità – siano connesionisti o eliminativisti – si possono ritenere la scuola preminente in Filosofia della Mente ma – per usare il linguaggio psicologico che questi autori rifiutano – un problema rimosso tende spesso a riemergere.

 

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