Del perfetto amore
di Emilio Rentocchini
€13
2008, 95 p.
Donzelli (Collana Poesia)
Intervista a Emilio Rentocchini
Cantare l’amore non è mai cosa facile, vuoi per il pericolo intrinseco di scadere in scialbe carinerie, vuoi perché inevitabilmente ci si ritrova a dover fare i conti con una tradizione pressoché immensa per quantità e in buona parte eccelsa per qualità; se poi la forma con cui ci si propone di evocarlo è il sonetto, da oltre sette secoli componimento amoroso per antonomasia e figlio della più alta letteratura italiana, allora l’impresa ha dell’eroico. Del perfetto amore, l’ultima raccolta di Emilio Rentocchini, è un omaggio al metro e al sentimento, ma anche un’occasione per esplorare nuovamente entrambi con la sensibilità tipica del nostro tempo. Tempo in cui, dopo il crollo dall’interno di ideologie, fedi, valori, anche l’amore è sentimento sguarnito da illusioni, calato nel quotidiano: la letteratura occidentale del Novecento, come anche la canzone d’autore europea e americana, hanno saputo cogliere il poetico pure nella spoliazione della passione come senso dell’esistenza, spiando amanti e innamorati nel grigiore di certi pomeriggi o sul limitare della vecchiaia, cogliendoli nell’attimo in cui il sentimento perde la brama, o langue, o muore.
I sonetti di Rentocchini racchiudono istanti di vita usuale, ripetuta – come la strada per andare al lavoro, il semplice scatto di una fotografia, la colazione, il passaggio di una Porsche in strada… Tutto parla l’idioma del singolare, di un sentire lontano dallo scontato che ghiaccia sì l’istante, ma che non è mai privo di una dolcezza sottile, appena accennata: il cuore stesso di una poesia che spalanca su una dimensione incantata, propria di certe intuizioni profonde. Tratti, la finezza e la sobrietà dei versi di Emilio Rentocchini, che si riconoscevano già nelle precedenti pubblicazioni, in cui la rivisitazione del dialetto di Sassuolo (Modena) e l’ottava di ariostesca memoria davano forma a un sentire che, per quanto intenso, non era mai urlato; in quest’ultima raccolta anche l’eros è avviluppato dalla delicatezza, ma spesso è anche una porta spalancata sullo sconosciuto, così che tonalità calde e fredde si alternano in componimenti che colpiscono luoghi riposti della nostra emotività, che raramente abbiamo l’occasione di frequentare.
La sconosciutezza è il riflesso che la realtà (e quindi anche il sentimento amoroso) rimanda allo sguardo del poeta emiliano: su tutto una patina di incompiuto e di lontano, per quanto si tratti di null’altro che di un ciondolo, del corpo di lei, di una notte stellata, di due insetti su un vetro. L’amore è dunque una via preferenziale alla contemplazione di qualcosa che non ha nulla di piano, nulla di rassicurante (pur essendo lontano da tonalità come l’inquietante o il pauroso); nei versi di Rentocchini esso è occasione di stupore attivo, di acume nell’osservazione: è varco privilegiato per uno sguardo che, per quanto pervaso da forte intensità, sa guardarla e coglierne il volto più sconcertante. Così in filigrana si colgono, dietro molti sonetti della raccolta, quelle che definiremmo “cronache di un’assenza”: attimi, narrati con sapienza e maestria nel cesellare il verso, che svelano qualcosa che somiglia più a una mancanza che non all’appagamento, proprio in occasioni in cui gli occhi dell’amata, il pensiero di lei, l’erotismo potrebbero limitarsi a suggerire solo pienezza.
L’Italiano – dopo il dialetto – e il sonetto – dopo l’ottava – costituiscono le due novità più evidenti di Del perfetto amore, rispetto a raccolte come Ottave; tuttavia la lingua del Rentocchini più recente (come già il suo dialetto, ad una prima lettura difficilmente comprensibile anche per un parlante) è un Italiano estremamente vivace, animato da calchi dialettali accanto a forme letterarie, linguaggio colloquiale e specialistico, rapidi riferimenti al mondo contemporaneo e del folklore… un Italiano che sa cantare spaziando sui molti spartiti da cui è composto, e che rende così davvero attuale un componimento poetico tanto “italico” quanto il sonetto. Quest’ultimo, come a riverberare la sostanza nella forma, non è ripetizione scontata di una formula altrimenti stantia: talvolta l’endecasillabo torna solo se si considera l’interezza della prima quartina, altrove lascia il passo al settenario, in altri componimenti ancora il ritmo e la musicalità sono garantiti più dal sottile gioco di assonanze, enjambement e rime che non da una rigidità accortamente schivata.
Verso e tematica di Del perfetto amore propongono dunque un identico “spazio vuoto”, in cui l’amore si svela come sconcertante presenza pur restando amore, e poeta e lettore si trovano testimoni di un bagliore insolito, che tinge il sentimento di impalpabile luce lunare.
Se chiedi al melograno perché brilla
in un cielo di plastica incolore
lui ti risponde con il suo splendore
ti tocca gli occhi e li distrae dal nulla…
E. Rentocchini, da Chiedi al melograno