Il prof. Bitbol, tornato a trovarci dopo la sua partecipazione alle Primordial questions about Consciousness 2006, ha proposto il tema dell’approccio della scienza e della spiritualità nei confronti della morte, tema già proposto in un convegno a cui ha partecipato a Roma, L’età della vita.
Il discorso verteva sul problema della prima persona, che è straordinariamente originale rispetto al pensiero scientifico in terza persona, a quello filosofico molto astratto o ad un approccio classico alla spiritualità.
Bitbol si rifà alle parole di Tolstoi e Wittgenstein. Il primo, riassumendo, dice di intendere cosa la scienza vuole scoprire ma, per Tolstoi, sulla strada della scienza non c’è la risposta che egli avrebbe voluto veder pacificata. Wittgenstein aggiunge che, se anche la scienza rispondesse a tutte le domande di sua pertinenza, il problema della vita e della morte rimarrebbero intatti. Allora Bitbol si chiede: Cosa manca nella visione scientifica?
Risposta: L’esperienza. Facile da dire ma difficile da capire cosa si intende, ci avverte.
La scienza trova le correlazioni, sa modificare l’esperienza, sa trovare la concomitanza tra esperienza ed eventi cerebrali, ma non sa nulla sull’esperienza qualitativa. Nagel dice: La scienza non ha nulla da dire rispetto a “what is it like to be [human, ndr.] ?”, cos’è essere un essere umano incorpato dal punto di vista di quell‘essere umano, e nel seguito dell’intervento Bitbol ci spiegherà perché.
La scienza dice che la morte accade quando l’omeostasi dell’organismo non può essere mantenuta. Inoltre, ogni manifestazione esterna della coscienza scompare quando il corpo non ha più questa omeostasi. Ma la scienza non ha nulla di rilevante da dire sull’esperienza diretta della morte, la cosiddetta esperienza in prima persona. Molti scienziati dicono che dopo la morte c’è semplicemente – niente. Esperienza di nulla. Questo, però, è un modo di proiettare l’idea della morte vissuta in terza persona in un’immagine di ciò che accadrà in soggettiva. Gli scienziati materialisti non sono pronti ad accettare che sono ignoranti su questo punto. Il problema è che si progetta l’idea della fine del corpo sulla fine dell’esperienza. Bisogna esplorare i limiti dell’oggettività sull’indagine in prima persona.
Perché è necessario fare questa distinzione? Ma allora qual è il metodo della scienza?
Eraclito duemila anni fa disse, come un imperativo: Seguite quel che è comune a tutti, non vi fidate di ciò che è intimo, privato.
Questo equivale a invitare ognuno a considerare solo ciò che può essere comune, oggettivato, condiviso, verificato con altri. La scienza, senza questo metodo, non avrebbe potuto ottenere i risultati che ha ottenuto.
Quali sono le conseguenze della visione oggettivante sul mondo?
Leggendo un articolo di giornale che parlava della correlazione tra gli Oscar e la quantità di scene violente all’interno dei film americani, il prof. Bitbol, insoddisfatto dalle ipotesi dei giornalisti che hanno redatto l’articolo, ha proposto la spiegazione che la morte è vista come un oggetto sperimentabile, visibile, concettualizzabile, in altri termini, oggettivato. La morte ha bisogno di essere pubblica e proposta a ripetizione nei film, in una sorta di esorcismo oggettivante. Allo stesso tempo, viene offerta con ossessione e una mistura di fascino e repulsione, un modo parossistico e fantasmagorico che, proprio perché è una rappresentazione inadeguata e sa di esserlo, viene ripetuta.
Il fatto che si possa rimettere in discussione l’esperienza della morte così come la spiega il metodo scientifico, per esempio attraverso il racconto di un’esperienza di pre-morte, mostra che il modo in prima persona non può non essere preso almeno in considerazione, anche se non possiamo verificare la veridicità di questi racconti. A questo punto dobbiamo vedere il rapporto in prima e in seconda persona con la morte.
Wittgenstein dice che la morte non è un evento della vita, e questo è appunto un tentativo di pensare quest’evento in prima persona. In qualche modo la morte è una non-esperienza. Allora cerchiamo di capire cosa significa essere nessun soggetto.
Se diciamo così, allora non c’è neppure nessun oggetto. Quindi neanche la morte può accadere. Schopenhauer attraverso questa idea va verso il pensiero di eternità del presente. Egli paragona l’adesso ad un Sole di presenza. Un soggetto che ha paura della morte è come un Sole che piange avendo paura di cadere nell’abisso dell’oscurità. Questo pensiero dipende dal pensiero kantiano del tempo, che lo vede solo come un modo del soggetto.
Allora, non c’è nulla come un dopo l’evento della morte. Schrödinger dice: quello che costruiamo nella nostra mente non ha il potere di distruggere la mente. Se la mente progetta la sua morte, quest’ultima non può prendersi la mente stessa.
Nell’esperienza della propria morte si produce come un attrattore che è sempre nel futuro. La morte, potremmo dire, è la soglia tra il tempo ed il non tempo.
Ci sono le esperienze di pre-morte, che parlano di una uscita del corpo e la visione di una luce, che assomiglia alle rappresentazioni cristiane o della tradizione tibetana della chiara luce radiante. Ammettiamo che queste esperienze siano vere. Allora, le persone protagoniste di queste esperienze hanno visto veramente qualcosa al di fuori di noi, che c’è dopo la morte. Se non sono vere, invece, diciamo che queste esperienze sono frutto di una produzione particolare di ormoni. Ma queste due possibilità hanno in comune di dare una spiegazione in terza persona. Proviamo a immaginare per qualche secondo cosa significa essere una persona in prima persona. E’ veramente importante sapere se ciò che stiamo esperendo nel momento in cui percepiamo un orizzonte di eternità è frutto di una natura o di una supernatura? No, queste alternative sono completamente senza interesse per la persona che vive ciò. In quel momento la persona è completamente
assorbita in ciò che sta vivendo e la spiegazione non ha più nessuna importanza.
Perché allora non si dà valore epistemico o si dà meno importanza a quei momenti rispetto allo stato di coscienza in cui si esperisce un mondo che può essere oggettivato?
Husserl usa due parole, Reel e Real. Stessa radice, ma Reel viene vissuto, è la sorgente delle cose reali, di tutti i giudizi che possiamo dare sulla realtà oggettiva.
Un approccio in seconda persona che Bitbol propone è compartecipare, condividere, l’esperienza della morte. Cita Joan Halifax, che racconta di aver conosciuto una giovane donna, malata terminale. La donna chiede a Joan: “Joan, vorresti dirmi come morire?”. E Joan risponde: “Jessica, non so come si muore. Sto imparando da te”.
L’idea è che la persona che sta morendo è la sola che può insegnare qualcosa sulla morte. Noi possiamo solo metterci in una disposizione empatica, mettendo da parte tutte le categorie intellettuali che ci aiutano a vivere nel nostro ambiente oggettivato, perché queste stesse categorie sono completamente irrilevanti in questa situazione.
Leggi l’estratto della conferenza del 24 gennaio 2007: Neurofenomenologia
Michel Bitbol
Michel Bitbol è attualmente Direttore di ricerca al Centro Nazionale della Ricerca Scientifica a Parigi, Francia. Lavora al Centro di Ricerca in Epistemiologia Applicata (CREA) a Parigi. Insegna Filosofia della Fisica Moderna per la scuola di dottorato all’università della Sorbona di Parigi. Ha studiato in varie università parigine, dove ha conseguito la laurea nel 1980, il dottorato di ricerca nel 1985 e l’abilitazione all’insegnamento della Filosofia nel 1997.
Ha lavorato come scienziato ricercatore dal 1978 al 1990, specializzandosi prima in idrodinamica del flusso sanguigno nelle arterie e, poi, nella microstruttura delle membrane dei globuli rossi
con tecniche EPR e NMR. Da 1990 è passato alla filosofia della fisica.
Ha atteso alla pubblicazione di testi di filosofia generale di meccanica quantistica di Erwin Schrödinger e ha pubblicato il libro Schrödinger’s Philosophy of Quantum Mechanics (Kluwer, 1996).
Ha anche pubblicato due libri in francese sulla meccanica quantistica e sul realismo in scienza, nel 1996 e nel 1998 rispettivamente. Più recentemente, si è focalizzato sulla relazione tra filosofia della meccanica quantistica e filosofia della mente. Ha pubblicato un libro in francese sull’argomento e ha lavorato a stretto contatto con Francisco Varela. Nel 1997 ha ricevuto un premio da parte
dell’Accademia delle scienze morali e politiche per il suo studio sulla meccanica quantistica. Attualmente sta studiando Sanscrito per comprendere più profondamente i testi basilari di Nagarjuna e
Candrakirti, per un nuovo progetto filosofico sul concetto di relazione in fisica e nella teoria della conoscenza.
Ha partecipato alle Primordial questions about Consciousness 2006, Loiano (BO), organizzate da ASIA Associazione Spazio Interiore e Ambiente.