Tratto dal libro di Ryôsuke Ohashi “Die Philosophie der Kyôto-Schule: Texte und Einführung”

Vi presentiamo la traduzione in italiano dell’articolo del filosofo giapponese Tsujimura Kôichi  tratto dal libro di Ryôsuke Ohashi “Die Philosophie der Kyôto-Schule: Texte und Einführung”, Verlag Carl Alber.
Il Prof. Tsujimura Kôichi, filosofo giapponese della Scuola di Kyoto, è stato studente di Heidegger, Tanabe e Nishitani e allievo zen di Hisamatsu.
Tsujimura rappresenta una figura ponte di incontro e dialogo tra Giappone ed Europa, un incontro che deve ancora trovare il suo compimento.

Il testo è stato gentilmente messo a disposizione del Centro Studi Asia dal Prof. Ohashi, che ringraziamo sentitamente.

Kôichi Tsujimura: Sul quadro paesaggistico di Yü-chien “Nella lontana baia tornano barche a vela”[1]

Premessa

Si pone il quesito: in quale maniera opere d’arte ben riconosciute costringono ad un nuovo orientamento del pensiero? Per poter, a mio modo, rispondere a questa stimolante domanda, vorrei trattare qui, sebbene io non sia un esperto di estetica o di storia dell’arte, il quadro di Yü-chien “Nella lontana baia tornano barche a vela” (Figura 1). Il pittore dell’antica Cina, Yü-chien, visse nell’epoca Sung a metà del tredicesimo secolo. Il quadro non è – come altre opere della pittura dell’antica Cina – un quadro paesaggistico in senso stretto, bensì un quadro del genere “montagna/fiume”. Ma per semplificare, qui lo chiameremo “quadro paesaggistico”.

La prima parte di questa prova consiste in una relazione storica. Nella seconda parte distingueremo quattro tratti caratteristici nei quadri paesaggistici di Yü-chien. Nella terza parte tenteremo una risposta alla domanda, come il suo quadro paesaggistico, “Nella lontana baia tornano barche a vela”, possa indurre un nuovo orientamento del pensiero o almeno stimolarlo.

 

II Parte

Certamente nei quadri di Dürer[2] e Altdorfer[3] si possono vedere i precursori in Europa di una autonoma pittura paesaggistica. Come genere proprio però lo si trova solamente nella pittura olandese del diciasettesimo secolo. Jan van Goyen (1596 – 1654), Salomon van Ruysdael (1601 – 1670) e Rembrandt sono i suoi rappresentanti più importanti. Possiamo tuttavia trascurare qui “Paesaggio in tempesta” di Rembrandt, in quanto questa opera – diversamente dai quadri di Yü-chien – non è un quadro paesaggistico fluviale; è fin anche troppo diversa per lasciarsi paragonare con uno simile.
Sia i quadri paesaggistici di Goyen “Paesaggio fluviale con barche di pescatori davanti a un paese” (1633) e “Paesaggio fluviale con mulino a vento” (1632) sia i quadri di Ruydael “Paesaggio fluviale con pescatori” (1643) e ” Paesaggio fluviale con traghetto e parrocchia dietro querce, in lontananza un porto di pescatori” (ca 1650) mostrano il paesaggio realisticamente in una prospettiva stabilita in modo univoco, la quale prende le mosse dal pittore posizionato fuori dal quadro. La visuale prospettica è stata caratteristica dal Rinascimento fino al secolo diciannovesimo nella pittura paesaggistica europea. I quadri paesaggistici di Yü-chien, che in Giappone sono ritenuti opere d’arte classica, si distinguono chiaramente da quelli europei citati, in primo luogo sotto quattro aspetti.

1. La circumspettiva

I quadri paesaggistici fluviali olandesi menzionati illustrano una cosa simile al quadro di Yü-chien “Nella lontana baia tornano barche a vela”. Tuttavia in lui non si riconosce in modo univoco una prospettiva. Vale a dire che al primo sguardo anche qui può sembrare che il pittore stia fuori dal quadro e da questa posizione dipinga prospetticamente. Ma se si esamina più precisamente, lo sguardo viene attratto su qualcosa di strano in prossimità del centro del dipinto: sui “due vecchi in una barca” nel quadro “Nella lontana baia tornano barche a vela”; e sull’ “isola montana Yun-shan” nel quadro “Luna d’autunno sul lago di Dong-tiang”. I quadri paesaggistici di Yü-chien contengono un’ unità di visuali molteplici, le quali si dipartono dal centro e non si sviluppano solo frontalmente ma si aprono da tutti i lati. Visuali simili, che si estendono in tutte le direzioni, non si lasciano catalogare come “prospettiva” (“Durchblick”), ma in conformità al fatto piuttosto come circumspettiva (Cirkumspektive /Umblick).
Che Yü-chien intendesse dipingere i suoi quadri della serie “Otto vedute dello Hsiao-Hsing” non prospetticamente bensì in modo “circumspettivo”, si desume dalla prima strofa della poesia d’encomio: “Terra sconfinata entra nella punta del pelo del pennello”. Egli dipinge il paesaggio in maniera tale che la “terra sconfinata” gli viene incontro, entra nella “punta del pelo del pennello”. Egli non sta dunque fuori dal “paesaggio sconfinato”, ma si trova proprio nel suo centro. Nel quadro “Nella lontana baia tornano barche a vela” il pittore sembra identificarsi con i “due vecchi in una barca”. Da questo centro in qua e su questo centro egli dipinge il paesaggio in modo circumspettivo. La stessa cosa vale per i suoi quadri “Luminosa foschia sul paese montano” e “Luna d’autunno sul lago di Dong-tiang”.
Che il pittore si identificasse con gli uomini o le cose rappresentati, è confermato da un’espressione Zen che Yü-chien doveva conoscere: “Dopo aver contemplato il paesaggio fino allo stremo, entro in barca nel quadro dipinto.”[4] Finché osserviamo semplicemente la “Terra di Hsiao-Hsing”, essa rimane ancora fuori dall’osservatore. Se tuttavia si guarda “strenuamente”, lo sguardo si trasforma in pittura, il pittore stesso entra nel quadro dipinto. Dipingere questa “Veduta di Hsiao-Hsing” in realtà vuol dire entrare nella veduta e dipingerla dal di dentro (in die Ansicht hineikommen und sie von innen her malen), cosa non possibile prospetticamente ma solo circumspetticamente.

2. L’assolutamente essenziale di ogni cosa

Il modo e la maniera di dipingere la “sconfinata terra” di Yü-chien consiste nel fatto che egli dipinge sempre solo il minimo essenziale. Questa proprietà stilistica viene alla luce in tutti i suoi quadri. Il suo stile è di gran lunga più asciutto, rapido e sobrio di quello della pittura paesaggistica olandese del diciasettesimo secolo. L’arte di Yü-chien è ancora più semplice e cruda di quella di Mu-chi. Mentre quest’ultimo nel suo quadro della serie “Nella lontana baia tornano barche a vela” (Figura 2) riproduce le montagne, gli alberi sul fiume e due barche a vela in modo propriamente concreto, Yü-chien ha dipinto il medesimo paesaggio in maniera tale che il monte si trova immerso nella foschia, gli alberi sono accennati solo da spruzzi di intenso inchiostro di china nero e le vele sono ammainate.

Al posto delle due vele [presenti] nel quadro di Mu-chi, vediamo in Yü-chien due vecchi in barca. La sua modalità di dipingere asciutta e repentina ha certamente a che fare con il sapere – poiché egli dipinse molte cose finite – di dover velare lo sconfinato. La limitazione all’assolutamente essenziale di ogni cosa è proprio ciò che lascia apparire la “sconfinata terra”. E’ noto che l’aperto spazio vuoto, ovvero il lasciar privo di ingombro, ricopre un significato di grande importanza nella pittura paesaggistica cinese come in quella giapponese. Tuttavia solo con l’aperto spazio vuoto non si può far comparire la “sconfinata terra”. Perciò questa deve essere dipinta in un tutt’uno con l’assolutamente essenziale di ogni cosa. Sotto questo aspetto Yü-chien è uno dei rappresentanti più radicali della pittura paesaggistica dell’est asiatico.
Il suo procedimento, disporre l’assolutamente essenziale di ogni cosa a favore della sconfinata terra, consiste nel fatto che egli esegue di colpo l'”intermezzo”, colmo di tensione, fra non-pittura e pittura. Un simile procedimento, che non vuole essere minuzioso, richiede di eseguire il quadro in modo del tutto spontaneo e al contempo in un [sol] tratto. Dopodiché però non si tratta di un semplice progetto, ma di un’opera compiuta. A Liang K’ai, che un po’ prima di Yü-chien, nella prima metà del tredicesimo secolo fu attivo per un paio di anni come pittore di corte, riuscirono entrambe le cose: la rappresentazione minuziosa come quella asciutta. Il suo quadro “Paesaggio nevoso” si differenzia molto dai lavori di Yü-chien per la sua sorprendente minuziosità.
E’ inoltre tipico dell’arte di Yü-chien – eseguire repentinamente l'”intermezzo” fra non-pittura e pittura e lasciarlo diventare un quadro – l’estremo contrasto fra levità e spessore delle pennellate di china date. Egli non ha nulla a che vedere con la prospettiva, secondo cui monti più o meno lontani venivano dipinti a china [con tratto] spesso e fiori vicini [con tratto] lieve, piuttosto mostra un chiaro-scuro che corrisponde al chiaro e allo scuro dell'”intermezzo” fra non-pittura e pittura.
I quadri paesaggistici di Yü-chien, che dipingono solo l’assolutamente essenziale di ogni cosa, hanno una certa astrattezza. E’ un tipo di astrattezza in cui si nega tutto ciò che è semplicemente umano e qualunque cosa terrena, in maniera tale che [l’umano e il terreno] si trasformano, attraverso la negazione portata a compimento, nella rispettiva espressione d’infinito. Per la loro “astrattezza” i quadri paesaggistici di Yü-chien, in particolare il suo quadro “Nella lontana baia tornano barche a vela”, sono stati ritenuti in Giappone opere d’arte il cui tratto fondamentale consiste nella “freddezza”[5]. Questa “freddezza”, che per l’arte medievale del Giappone direi essere quasi una delle categorie estetiche più significative, nega il mero calore umano ed esprime solitudine e algida purezza, quella “freddezza tagliente”, con la quale si caratterizza da noi l’acqua sorgiva. La “freddezza” come la “secchezza” sono un tipo di bellezza che viene alla luce solo quando tutto ciò che è concreto, incluso l’umano, è stato ad un tempo negato in tutto e per tutto. I quadri paesaggistici di Yü-chien sono in tal senso quadri “freddi”.

3. Consonanza di pittura e poesia

Il terzo tratto distintivo dei quadri di Yü-chien della serie “Otto vedute dello Hsiao-Hsing” consiste nella consonanza di pittura e poesia. A differenza di Mu-chi, Yü-chien annette ad ognuna delle sue otto “vedute” una poesia di encomio. Sebbene cinque di queste [vedute]siano andate perdute, fortunatamente si sono preservate le cinque rispettive poesie.
Ora noi tenteremo di illustrare il quadro “Nella lontana baia tornano barche a vela” sul filo conduttore del suo encomio. Ascoltiamolo ancora una volta: “Terra sconfinata entra nella punta del pelo del pennello./ Calate sono vele nel fiume d’autunno e celate nella serale bruma./ Non ancora è dileguato l’ultimo chiarore della sera, che già iniziano a sfavillare le lampade dei pescatori./ Calmi due vecchi in una barca parlano della terra di Jinag-nan”.
Non sappiamo se sia nato dapprima il quadro o la poesia. Tuttavia il quadro esprime così precisamente la poesia che la corrispondenza stessa porta ad espressione ciò che ogni cosa da sola non potrebbe far vedere.
Il verso iniziale: “Terra sconfinata entra nella punta del pelo del pennello” richiama l’origine da cui proviene il quadro. Ma soprattutto è possibile che la “sconfinata terra” entri nella punta del pennello? Non è questa una esagerazione cinese tipica in particolare dello Zen? Se intendessimo la “sconfinata terra” come la totalità di tutte le cose, certamente sarebbe impossibile farla venire alla luce. Non possiamo fare di una “terra sconfinata” un oggetto. In ogni momento tuttavia non solo è possibile, ma [è] proprio così che noi ci troviamo nel mezzo di una terra sconfinata, sebbene normalmente non ci avvediamo di questo fatto. Ma succede proprio questo, così la “sconfinata terra” entra nella punta del pennello, cioè in noi stessi. Il paesaggio si è trasformato in quello del nostro cuore. Qui succede un capovolgimento della “posizione dell’uomo nel cosmo”.
Il secondo verso: “Calate sono vele nel fiume d’autunno e celate nella serale bruma”, indica che le vele sono ammainate e quindi non più visibili. E insieme a questo viene espresso ciò che non è mostrato nel quadro, che è cioè sera e [tempo d’] autunno. I boschetti e gli alberi lungo il fiume, accennati con neri e scuri spruzzi d’inchiostro, producono l’espressione “bruma serale”. Senza la poesia forse non potremmo comprendere questa parte del quadro.
Il terzo verso “Non ancora è dileguato l’ultimo chiarore della sera, che già iniziano a sfavillare le lampade dei pescatori ” mostra il paesaggio al calante chiarore della sera, cosa che a mala pena potremmo scorgere dal quadro. A quest’ora le lampade cominciano a sfavillare. L’intero terzo verso esprime il velarsi del paesaggio nella direzione dell’ “oscuro”, mentre le luci che sfavillano nel buio si muovono in direzione del “chiaro”. Il verso porta ad espressione questo contenuto, che nell'”oscuro” è il “chiaro” e nel “chiaro” l'”oscuro”, cioè la compenetrazione così detta nello Zen di chiaro e oscuro[6]. La reciproca compenetrazione di chiaro e oscuro indicano l’insieme di in-differenza – l’oscuro nel quale tutto e qualunque cosa si cela – e differenza, quel chiaro in cui ogni cosa si palesa nella discriminazione. Allora per esempio nell’assenza di parola c’è parola e nella parola [c’è] assenza di parola. La poesia svela così il contenuto di una relazione del chiaro-oscuro tale che nel freddo paesaggio (cioè nell’oscuro) sfavillano gli esili tepori dei lumi irraggianti (il chiaro).
Il quarto verso “Calmi due vecchi in una barca parlano della terra di Jinag-nan” indica che la barca sta giungendo tranquillamente nel porto della baia e così i vecchi se la prendono comodamente; rilassati chiacchierano presumibilmente dei vecchi tempi e delle saghe della terra di “Jiang-nan”. Questo verso chiude significativamente la poesia d’encomio. Nel primo verso la “sconfinata terra” entra dentro l’umano. Nel secondo e nel terzo verso l’argomento preminente è il paesaggio, anche se le “vele” ammainate e le “luci” appena visibili accennano all’Esserci dell’uomo. Qui dunque l’uomo è “nel” paesaggio. Il messaggio del quarto verso riguarda principalmente i due anziani. Poiché parlano dello Jang-nan, qui il paesaggio è nell’uomo. La terra sconfinata, che inizialmente è entrata nella punta del pelo del pennello, alla fine assurge a tema di una distesa quanto inesauribile conversazione fra uomini. In questo senso il quarto verso è particolarmente appropriato come conclusione.
Al testo segue poi il titolo del quadro: “Nella lontana baia tornano barche a vela”. Esso compendia il tutto, quadro e poesia, e dice: questo è “Nella lontana baia tornano barche a vela”. La “lontananza” della baia accenna allo “sconfinato” della terra, nella cui lontananza gli uomini in barca fanno ritorno come i “vecchi”. In tale maniera il quadro si armonizza con la poesia.

4. L’espressione del cuore dell’Asia orientale

A differenza di molti quadri paesaggistici europei nel caso di Yü-chien stanno davanti agli occhi paesaggi ritratti non realisticamente. Può essere che Yü-chien così come Mu-chi abbiano veramente visto le “Otto vedute dello Hsiao-Hsing”. Tuttavia la questione, se i loro dipinti corrispondano o meno alle “reali” vedute dello Hsiao-Hsing, è irrilevante. Yü-chien così pure Mu-chi probabilmente hanno ideato i loro quadri sul filo conduttore del poetico titolo “Otto vedute dello Hsiao-Hsing” e portato ad espressione questa ideazione. Ciò vale in particolare per Yü-chien, in quanto egli è stato un eccellente poeta. Già il verso della poesia per il quadro “Neve di sera sul paesaggio, dove fiume e cielo s’incontrano” lo rende palese: “La distanza infinita di fiume e cielo è la distanza infinita del cuore”. Il paesaggio divenuto “cuore” e presente come “cuore” si fa “quadro” del cuore. In questo senso il dipinto deve essere distinto anche dall’espressionismo europeo, che rimane ancora più attaccato a ciò che è in qualche modo presente.
Tuttavia questo non significa che Yü-chien avesse trasformato in quadro qualcosa in un certo qual modo già ideato mentalmente. Per poter dipingere le “Otto vedute dello Hsiao-Hsing”, egli doveva aver colto nel proprio cuore il carattere di volta in volta essenziale, vale a dire l’ “anima” del paesaggio. Il segno cinese “hsin”, che in origine si riferisce alla figura del cuore, significa “centro”, “nucleo” sia esso quello umano oppure di una cosa.
Il “cuore”, vale a dire a questo proposito il carattere essenziale del corrispondente paesaggio dello Hsiao-Hsing, che Yü-chien ha assunto completamente in sé, trova espressione non solo nel dipinto ma anche nella poesia.
Il mio maestro tedesco Martin Heidegger osservò la relazione fra quadro e poesia nella pittura dell’Asia orientale, in quanto nella pittura europea non si riscontra un simile rapporto [7]. Tuttavia mi sembra che questa relazione non manchi del tutto neppure nella pittura europea. Poiché anche un dipinto dell’Europa occidentale normalmente porta un titolo. La famosa incisione di Albrecht Dürer per esempio porta il titolo “Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo”. Sebbene da un simile titolo avrebbe potuto dispiegarsi una poesia, la maggior parte dei titoli rimangono tuttavia estranei all’opera.
L’espressione del cuore dell’Asia orientale poggia a mio avviso sul fatto che la terra sconfinata penetra nella punta del pennello, oppure detto altrimenti, che la distanza infinita di fiume e cielo è l’infinita distanza del cuore. Il pittore, che può esprimere una cosa come questa, è quell’ “uomo” che è completamente libero da ogni forma e contenuto e perciò stesso può accogliere le forme e i contenuti di volta in volta necessari. I quadri di Yü-chien, in particolare il dipinto “Nella lontana baia tornano barche a vela”, esprimono, si potrebbe dire, il cuore di un simile uomo: sono i suoi “auto-ritratti” (Selbst-Bildnisse).

III Parte

Come può condurci il quadro di Yü-chien “Nella lontana baia tornano barche a vela” ad un nuovo orientamento del pensiero? Abbiamo già ricordato i pittori di paesaggio olandesi del diciassettesimo secolo. Ci sono quadri che ritraggono più o meno realisticamente il paesaggio in prospettiva, la quale si diparte da un pittore collocato fuori dal quadro. Qui diventa palese la corrispondenza di una simile pittura con la filosofia della soggettività moderna. Il pensiero moderno della soggettività non è soggettivo nel senso della preferenza e della arbitrarietà bensì soggettivo nel senso che pone ogni cosa come oggetto e la considera oggettivamente. E’ il pensiero soggettivo quello che rende possibile la conoscenza oggettiva ovvero la scienza oggettiva. Il “cogito” di Descartes mira, quando si rivolge alle cose fisiche esteriori, a discernerle nella prospettiva della “extensio” con la massima chiarezza e intelligibilità. Con ciò l’ “ego” appare quale soggetto del “cogito” non nella prospettiva della “extensio”, poiché esso costituisce proprio il punto di partenza di questa prospettiva. La pittura olandese dunque e il pensiero rivolto alle cose esterne di Descartes hanno alla fin fine un’unica e medesima struttura essenziale, dove il “cogito me cogitare”, cioè la coscienza di sé, corrisponde all’ “autoritratto” della pittura moderna. Se l’uomo moderno quale soggetto di ogni essente vuole discernere oggettivamente questo [essente] nella prospettiva che prende le mosse da sé stesso, la sua facoltà di discernimento a causa della finitezza unilaterale della prospettiva deve diventare una progressione senza fine e una coercizione alla progressione sconfinata, la quale costituisce il tratto fondamentale della tecnica moderna. Quantunque l’essere umano in quanto soggetto possa riconoscersi riflessivamente, rimane tuttavia indietro nella sua soggettività, nel Sé riflettente, sempre qualcosa di oscuro, che mai potrà essere illuminato con la riflessione. In questo oscuro della soggettività umana c’è sempre spazio per l’irruzione dell’arbitrio.

1.Ora, il quadro di Yü-chien “Nella lontana baia tornano barche a vela” così come altri suoi quadri non sono dipinti nella prospettiva di una direzione ma circumspettivamente verso molte direzioni. Se “il vedere prospettico” significa “guardando avanti guardare attraverso” (vorblickend Durchblicken) allora la circumspettiva consiste nella “visuale a 360°” (Umblick), la quale contiene in sé le direzioni del guardare avanti, del seguire con lo sguardo, del guardare indietro, sopra, verso, intorno, indietro e altre . Vale a dire che anche la circumspettiva appartiene all’essere umano. Questi sta nel mezzo della circumspettiva, è il suo “cuore”, quantunque non soggettivamente ovvero consapevolmente nel senso del moderno evo europeo. L’uomo che si trova nel mezzo delle cose, dispiega a partire da questo centro la circumspettiva di volta in volta in tutte le direzioni. Affinché tuttavia questa circumspettiva, vale a dire lo “sguardo a 360°” attorno all’uomo, sia resa possibile, egli non deve solo vedere e pensare il mondo circostante a partire da sé bensì al contempo [deve pensare e vedere] sé stesso a partire dal mondo che lo circonda. Questo richiede a noi, al nostro modo di vedere e pensare, un ulteriore ribaltamento della svolta copernicana (eine nochmalige Umwendung der Kopernikanischen Wendung) operata da Kant. Nel vedere e pensare gli uomini e le cose in “OIKOS”, cioè nella “casa” del mondo, il pensiero circumspettivo è così un “pensare ecologico”[8] in senso filosofico. Il pensiero circumspettivo è un mutamento di pensiero (Umdenken) rispetto all’intendere prospettico che ha pensato uomo e cosa conformemente alla relazione soggetto-oggetto.
Un tale ri-orientamento del pensiero è stato anticipato in una certa misura dal filosofo giapponese Kitarô Nishida (1870-1945) quando pensa il Sé-autodeterminantesi della singola persona (von dem Sich-Selbst-Bestimmen des einzelnen Menschen) a partire dal Sé-autodeterminatesi del mondo (von dem Sich-Selbst-Bestimmen der Welt), cioè in breve, il nostro “Sé” (Selbst) a partire “dall’autodeterminazione del mondo” (Selbstbestimmung der Welt).
Il quadro di Yü-chien “Nella lontana baia tornano barche a vela”, il quale ha reso in un dipinto persone che nella sconfinata terra fanno ritorno al porto di una lontana baia, ci richiede quindi un ritorno a casa del pensiero, dove il pensiero fa ritorno in modo ecologico-circumspettivo alla sua iniziale casa del mondo. Corrispondentemente Nishida reputa “l’operare artistico” “un membro della autorappresentazione del mondo storico” (ein Glied der Selbstgestaltung der historischen Welt).

2. Come si è detto, è un segno caratteristico dei quadri paesaggisti di Yü-chien che in essi sia dipinto solo l’assolutamente essenziale di ogni cosa. Questo significa: Yü-chien ha trovato uno stile in cui lo sconfinato o l’infinito si lasciano cogliere.
Per contro la filosofia contemporanea insiste sulla posizione della finitudine. Il pensiero di Heidegger per esempio, che rimane radicalmente finito, sia nel pensiero stesso che nella questione del pensiero, declina del tutto la non finitudine. Il rifiuto del non-finito va detto in generale per la filosofia contemporanea, specialmente a riguardo di quella dell’idealismo assoluto tedesco. Di fronte a questa tendenza della filosofia contemporanea nel quadro di Yü-chien appare la possibilità che la finitudine si tramuti nella corrispondente espressione d’infinito, per cui l’espressione si palesa secondo natura con semplicità, deve essere proprio povera e “senz’arte”. Questo potrebbe indurci ad un pensiero che nel semplice e nel non appariscente vede e pensa l’apparire dell’infinito o/e dello sconfinato.
In Yü-chien l’infinito si esprime in un battibaleno. Nel vero e vivo pensiero – sia in Europa come nell’Est asiatico – è necessariamente contenuto, vale a dire [è] la sua anima ovvero “cuore”, un lampo, un balenio del mondo (ein Erblitzen der Welt). Diversamente il pensiero rimarrebbe mera copertura concettuale ovvero espressione del ristagno dell’esperienza. Ma cosa significa balenio del mondo?
Significa un’occhiata-lampo (Augen-blick). La visuale a 360° (Umblick) del pensiero circumspettivo deve raccogliersi in una occhiata-lampo, la quale in quanto centro, “cuore” del guardarsi attorno, fissa quest’ultimo e lo dispiega.

3. Nell’arte di Yü-chien la pittura è in accordo con la poesia. Questo allude alla possibilità di un nuovo orientamento del pensiero che concorda con la poesia. “Poetare e pensare” ovvero “il pensiero poetante” fu tentato da Heidegger sulla via dell’ “altro pensiero” come quella del metafisico-concettuale (auf dem Weg des “anderen Denkens” als dem des metaphysich-begrifflichen). Il “pensiero poetante” da lui così definito tuttavia non è un misto di pensiero e poesia, bensì un pensiero che in quanto tale è poetico e in quanto poesia è pensiero. Le parole di Heidegger “Poetare e pensare” (Dichten und Denken), nel merito del quale ora non possiamo entrare, è un “discorso” (ein “Gespräch”) fra entrambi sul comune terreno del “linguaggio”(der “Sprache”).
Per contro la consonanza di poesia e pensiero (Einklang von Denken und Dichten), alla quale può condurci il quadro paesaggistico di Yü-chien, innanzitutto non è la consonanza dell’una e dell’altro sul terreno del linguaggio, bensì quell’accordo che solo rende possibile il luogo in cui un tempo hanno fatto irruzione linguaggio e pensiero. Questo luogo, al quale possiamo pervenire sia con il linguaggio che con il pensiero, è però il luogo d’origine di linguaggio e pensiero. Questo luogo originario è l’essere umano originario, che ciascuno di noi per natura è. Solo là si realizza la concordanza di poesia e pensiero, poiché il poetare si trova più prossimo all’origine rispetto al pensiero.
Come appena detto, il poetare non è limitato al pensiero. Il poetare può trasformarsi, così come nella cerimonia del tè in Giappone, nell’arte del giardinaggio e nella poesia Hiaku, in una forza priva di dominio che impregna profondamente la nostra vita. Il poetico in senso ampio del temine non è estraneo neppure agli europei. Il moralista francese Michel Montaigne si dice abbia affermato un tempo: “J’aime l’allure poétique”. Il poeta tedesco Friedrich Hölderlin ha espresso in versi: ” Colmo di benemerenze, e tuttavia poeticamente l’uomo abita questa terra”.[9] Rimane tuttavia la domanda: come può il poetico essere posto in accordo con il pensiero calcolante della tecnica moderna?

4. L’arte di Yü-chien l’abbiamo caratterizzata come espressione del cuore dell’Asia orientale. Cosa significa questo? Vuol dire che quell’essere umano che è liberamente diventato ogni forma e contenuto, proprie dell’umano, esprime sé stesso e per ciò stesso può accogliere di volta in volta come sue ogni forma e contenuto. Nel nostro caso un essere umano originario si esprime come le “Otto vedute dello Hsiao-Hsing”. Se definiamo l’essere umano originario come “Nulla”, cosa che di natura siamo, allora “espressione dell’Asia orientale” significa: espressione del Nulla [10]. Ma questo può aprire in pittura la via ad una corrispondente espressione del Nulla nel pensiero?
La possibilità di un nuovo orientamento del pensiero è stata nuovamente abbozzata da Nishida, la cui riflessione si fonda sul vedere “tutto ciò che ha una forma” (alles Formhaften) come “forma dell’in-formale” (Form des Formlosen). Con “tutto ciò che ha una forma” (Formhaften) Nishida intende l’ “essente”, mentre l’in-formale (Formlose) significa il “Nulla” nel senso citato. Perciò tutto ciò che è essente (alles und jedes Seiendes) in quanto “forma dell’in-fomale” è espressione del Nulla. Detto altrimenti: Nishida concepisce l’essente, cioè tutto ciò che ha una forma (alles Formhaften), come “essente in …..” e l’in-formale (ovvero ciò che non ha contenuto) come il “luogo del Nulla”. Poiché tutto ciò che è essente è “essente nel luogo del Nulla” (Seiende im Ort des Nichts), allora tutto ciò che è essente al contempo palesa con il fatto del proprio autoesprimersi (mit seinem Sichausdrücken) il luogo del Nulla. Cioè: questo tavolo è assolutamente tavolo solo nel luogo del Nulla e al contempo [è] in quanto espressione del luogo del Nulla come un sogno. Qualcosa è assolutamente qualcosa e al contempo non qualcosa. Questo vale per ogni essente. Solo il vedere, che vede ogni cosa essente in quanto essente nel luogo del Nulla, vale a dire qui in quanto rispettiva espressione del luogo del Nulla, permette di vedere l’essente non nella prospettiva dell’egoità (in der ich-haften Perspektive) bensì in quella della circumspettiva planetaria (in der welthaften Circumspektive), poiché il luogo del Nulla come dice Nishida non significa altro che il mondo (nicht anderes als die Welt bedeutet).
Che l’essente soprattutto in quanto tale possa esprimere nel luogo del Nulla il luogo del Nulla, richiede a noi di rappresentare l’essente in modo quanto più scarno possibile, vale a dire a questo proposito insieme al Nulla. Che l’essente esprima nel luogo del Nulla il luogo del Nulla, è il miracolo che rende possibile quale origine di pittura e poesia la concordanza di entrambi. L’espressione del Nulla rende dunque possibile ogni tratto fondamentale fin qui enucleato della pittura paesaggistica di Yü-chien. Inoltre dobbiamo sempre intendere il “Nulla” quale “essere umano originario” che proprio per il suo non-carattere può lasciar essere ogni essente così come esso è.
L’intendimento di vedere e pensare noi tutti e ogni essente quale espressione circostanziata del Nulla (als den jeweiligen Ausdruck des Nichts), che noi siamo in natura (von Haus aus), potrebbe suonare singolare.

Tuttavia è altrettanto sorprendente il pensiero che ciascun essente è un “ens creatum” da Dio. Entrambi gli intendimenti non sono paradossalmente così distanti l’uno dall’altro, come si pensa, sebbene fra loro vi sia un abisso insuperabile. Questo abisso fra “ipsum esse”, Dio è, e Nulla, che noi in natura (von Haus aus) siamo, non possiamo nè dobbiamo colmare: noi dobbiamo assolutamente sopportare (aushalten)[11].

Traduzione a cura di Elia Tosi

Note di Kôichi Tsujimura

1.  Il saggio venne redatto in lingua tedesca e inserito in:  Abhandlungen der Braunschweigischen Wissenschaftlichen Gesellschaft 36 (1984) pp. 135 – 152. Per via della lunghezza, venne omessa la prima parte, che dà una panoramica storica, e sono state inserite solo la seconda e la terza parte.
2. Albrecht Dürer, “Innsbruck” (1495), “Viste di Trient” (? 1495), “Areo” (1495). Vedi Peter Strieder, Albrecht Dürer, Wiesbaden 1977, pg. 16 – 21, 64.
3. Albrecht Altdorfer, “Paesaggio sul Danubio a Regensburg”.
4. Antologia delle massime del monastero Zen Hains (Zenrin-kushu), edita da Zenkei Shibayma, Kyôto o. J., pg. 157
5. Yukihiro Kurasawa, Taikyoku Momoyama no Bi (Polo e contro-polo, La bellezza nel periodo Momoyama), 10° Capitolo, La bellezza del “freddo”, Kyoto 1983, pp. 41-50.
6. Si veda Bi-yän-lu, traduzione di Willhelm Gundert, München 1964-1973, Volume 3, pg. 21.
7.  Per un nuovo approccio nell’allegare corrispondenti righe di significato a opere, quadri si veda Heinrich Rombach, Leben des Geistes, Freiburg 1977; Welt und Gegenwelt, Freiburg 1983.
8. Vedi Tomonobu Imamichi, Cosa è ecoethica? (In francese e giapponese, incompiuto).
9. Friedrich Hölderlin, “In lieber Bläue…”, Kleine Stuttgarter Ausgabe, Vol. 2, pg. 372. La traduzione del verso è nostra.
10. Debbo questa espressione al mio maestro Zen, Prof. Dr. Shin-ichi Hisamatsu.
11. Ringrazio il Professore Dr. Hiroshi Kôzen, Ordinario di Letteratura Cinese all’Università di Kyôto, per gli esaurienti e puntuali commenti delle poesie di Yü-chien. Ringrazio gli storici dell’arte, Prof. Dr. Nihei Nakamura, Ordinario alla Scuola di Pedagogia di Kyôto e il Professor YukihiroKurasawa, Ordinario all’Università di Kôbe per i preziosi consigli. Un ringraziamento di cuore va al Dr. Eberhard Scheiffele, Lettore di Germanistica e Filosofia all’Università di Kyôto per l’amichevole aiuto nella supervisione stilistica.