Lo stupore per il ritrovarsi a esistere rappresenta il fattore essenziale di una mente profondamente desta.
La questione “perché c’è qualcosa invece di niente?” sta avendo, negli ultimi anni, una rinnovata eco e ciò a partire da pensatori – anche scienziati – d’oltreoceano. Forse qui da noi, vecchi europei, la domanda pare consunta al punto da risultare desueta, ma le menti filosoficamente più ingenue e fresche, particolarmente americane, la stanno riscoprendo. Prendo spunto quindi dal libro del filosofo statunitense Jim Holt [1],”Perché il mondo esiste? Una detective-story filosofica” [2], per esporre la lettura che seguì alla mia esperienza di risveglio all’essere – evento centrale della mia vita.
Quella che in prima battuta appare come domanda – “perché c’è qualcosa invece di niente?” – è, in realtà, un profondo stupore; ammesso che tale stupore sorga in noi, poiché la questione potrebbe anche lasciarci perfettamente indifferenti.
Non ci si può “porre uno stupore” come ci si “pone una domanda”.
Esso ci assale o meno.
“Perché c’è qualcosa invece che il nulla?” è una domanda malposta.
“Perché c’è qualcosa invece che nulla di quella cosa?” è meglio comprensibile.
Nel primo caso si è tentati di ipostatizzare il nulla ponendogli davanti l’articolo; nel secondo caso, invece, “nulla” non rischia di diventare un qualcosa, ma ha mera funzione pronominale. Ma il vero e proprio “nulla” non è neppure un pronome; esso è semplicemente “nulla”, non c’è – e questo è sensatamente il significato che ricopre nella domanda.
Per bene intendere la domanda rievocata da Holt, il “qualcosa” in questione deve giungere, all’estremo, a rappresentare il tutto, che non significa “l’insieme di ogni cosa”, ma “quel che differisce da nulla”. (Qui, senza Heidegger [3], non ce la si fa.)
Dobbiamo assumere il significato di niente per poter intendere il tutto, in quanto si sono reciprocamente “assolutamente altri”.
E qui sorgono le difficoltà.
Il nulla in questione – quello che contribuisce a suscitare lo stupore – non è sufficiente intenderlo logicamente.
Il significato di nulla ci deve assalire in un momento oltre-razionale e quando ciò accade si viene improvvisamente scossi anche da una profonda incapacitazione per l’esserci di quel che non è nulla, ma è “altro-da-nulla”, è ciò che usiamo chiamare “essente” o semplicemente “qualcosa” – come fa, con meno pretese di precisione filosofica, Holt.
Il “qualcosa” deve, dunque, giungere a rappresentare tutto – il tutto differente da nulla.
Se il “qualcosa” rappresenta tutto il differente da nulla, esso include necessariamente anche ogni ipotetica e supposta causa o ragione per l’esserci di quel qualcosa-tutto, ogni ipotetica e supposta causa o ragione che non può che essere intesa come essente.
Ma se sono essenti, le ipotetiche cause e ragioni non si confermeranno tali; piuttosto – facendo parte del tutto essente ovvero esistendo – esse stesse si riveleranno far parte del problema (in realtà, più che un problema, un mistero) espresso dalla domanda: “perché esiste qualcosa (includente cause e ragioni) e non nulla?”.
La risposta alla apparente domanda non può dunque esistere.
Ci resta, se ce ne capita la ventura, solo un abisso di irrisolvibile stupore.
(Che personalmente vivo con estrema gioia.)
Le righe filosofiche che meglio sintetizzano il filo che porta a tale domanda stupefatta, sono quelle di Kant nella “Critica della Ragion Pura” [4], dove un essere sommo viene posto come causa e ragione di ogni cosa esistente.
Ma è meglio leggere direttamente Kant:
“Non si può evitare, ma neppure si può sopportare, il pensiero che un essere, che ci rappresentiamo come il sommo fra tutti i possibili, dica a se stesso: io sono ab eterno in eterno; oltre a me non c’è nulla, tranne quello che è per volontà mia.
Ma donde sono io, dunque?”
Tale sommo essere rappresenta tutto ciò che esiste e può esistere – l’essente nella sua totalità, dirà Heidegger. Ma egli stesso differisce da nulla in quanto è e non vi sono ulteriori cause, ragioni, dimensioni, fondamenti da cui egli stesso possa provenire, poiché egli li rappresenta tutti.
Resta, pertanto, solo un profondo stupore così espresso: “Ma donde sono io, dunque?”
Kant non tornerà mai più sulla questione.
Perché eccedente ogni ragione.
Questa esperienza mi fece migrare dal cristianesimo al Buddhismo.
dal post facebook del 24 marzo 2022
[1] Jim Holt (1954) – saggista, filosofo e giornalista statunitense. [2] Jim Holt, “Why does the world exist? An existential detective story” (2012). [3] I riferimenti a Martin Heidegger (1889–1976) rimandano alla sua opera “Che cos’è metafisica?” (1929). [4] La “Critica della ragion pura” (“Kritik der reinen Vernunft”) è l’opera maggiormente nota di Immanuel Kant (1724–1804). Pubblicata nel 1781 e ampiamente rimaneggiata nella seconda edizione del 1787, è suddivisa in due parti: La Dottrina trascendentale degli elementi e La Dottrina trascendentale del metodo. (da Wikipedia)
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