Il primo numero di ASIA Antiche e moderne vie all’Illuminazione accoglieva uno spazio dibattito che verteva sul libero arbitrio. Furono pochi i contributi e me ne sono sempre chiesto il perché. Credo che i motivi siano molteplici.

Se il libero arbitrio esista o meno è questione filosofica di spessore.

Dalla risposta a cui perveniamo segue una vera e propria visione del mondo.

Gli scenari sono due: o siamo liberi, anche solo talvolta e parzialmente, oppure  mai.

Che siamo liberi di scegliere è un assunto quasi indiscusso e su di esso si fondano le norme comportamentali, giuridiche, morali e religiose. Si persegue in modo completamente differente un omicidio preterintenzionale da uno volontario. Si punisce (o si premia) un atto solo se accompagnato da un’intenzione volontaria supposta libera.

Le reminiscenze dello studio di catechismo mi riportano a “Cos’è un peccato mortale?”; “E’ un’offesa grave verso Dio, fatta in piena avvertenza e deliberato consenso”. Se sostituiamo “società”, “famiglia”, “umanità”, “ambiente” a “Dio” otteniamo la definizione di ‘reato grave’ valida in campo giuridico e sociale.

Io sostengo che questa definizione contenga un errore: credere che essere consapevoli di ciò che si sta facendo si accompagni alla facoltà di farlo o meno. Tutti i medici sanno benissimo (chi meglio di loro?) che fumare li predispone al cancro, ma molti di loro te ne parlerebbero fumando!

Si potrebbe dire che essi scelgono di fumare. Ma, mi chiedo io, chi sceglierebbe la prospettiva di morire soffocato da un tumore polmonare?

Credo che leggiamo come scelta il fatto di non riuscire a rinunciare.

Pratico la meditazione da oltre vent’anni e ho fatto un lungo percorso di auto osservazione confrontata con la pratica di molte altre persone. La meditazione che insegno è molto di simile al lavoro fenomenologico di Husserl, filosofo, maestro di Heidegger.

Osservando la mente ed i suoi processi da molto vicino, ho (abbiamo) potuto notare che vi è sempre una constatazione

a posteriori dell’emersione di pensieri, emozioni, pulsioni, azioni.

Sappiamo cosa pensiamo, sentiamo, facciamo, solo dopo averlo pensato, sentito e fatto. Anche la nostra reazione al pensato, sentito, fatto, cioè il livello di consapevolezza di ciò, a sua volta sottostà alla regola: è colto a posteriori.

Queste osservazioni corrispondono agli esperimenti neuro fisiologici di Libet, il quale ha appurato come vi sia un ritardo di 500 millesimi di secondo tra la nascita, nel cervello, di un’intenzione e il momento in cui il soggetto ne diviene consapevole.

Fate il seguente esercizio: fate un gesto libero, il primo che vi viene in mente. Forse vi siete grattato il naso, o avete sollevato un braccio… una cosa vale l’altra. Secondo Libet e i suoi esperimenti, tra il momento in cui nel vostro cervello si è mosso qualcosa che corrisponde a: muovere il braccio, e il momento in cui ne siete diventati consapevoli, sono passati 500 millesimi di secondo. Il gesto era già cominciato e in seguito lo avete confuso per mia decisione.

Chiedetevi anche perché, tra tutti gli atti possibili avete scelto proprio quello.

Ecco l’analisi fenomenologica: avete liberamente scelto o avete riprodotto quello che vi è venuto in mente? Per essere liberi avreste dovuto scegliere tra tutte le possibilità (infinite!).

– Ma, qualcuno obietterà, anche se mi fosse venuta in mente una sola possibilità, stava a me scegliere se aderirvi o meno. In questo sta la mia libertà! -.

Si conviene, infatti che nessuno sia responsabile dei pensieri che gli vengono in mente, ma solo, eventualmente in sede morale, del compiacersene o tradurli in azioni; dell’aderire ad essi. E nell’adesione o rifiuto starebbe tutta la questione della libera scelta.

Analizziamo allora l’atto dell’adesione ad un’idea, la sua trasformazione in atto.

A questo punto molti, innervositi da queste speculazioni, avranno già voltato pagina, o staranno per farlo. Ma, o hanno già chiari questi problemi e le risposte ad essi, o non sopportano il disagio che essi suscitano, ne vengono innervositi. Nel primo caso, spero che ci mandino le loro argomentazioni che pubblicheremo; nel secondo caso danno ragione ai miei argomenti: non sono neppure liberi di chiedersi con metodo, se sono liberi.

Anni fa, affrontai un intero pomeriggio di confronto filosofico-teologico con compianto monaco della comunità dossettiana. Ho una grande nostalgia di quella straordinaria persona, di cultura vastissima, che accettò di affrontare le grandi questioni col candore di un ragazzo. Giungemmo appunto, al problema dell’adesione. Egli diceva, e non poteva, da religioso, che dirlo, che ogni nostra libertà si deve ridurre a quei “sì” o “no” a Dio.

La struttura resta la medesima anche in campo morale-etico laico: l’adesione o meno alle idee e ai comportamenti che la società approva, alle sue norme.

Ma l’adesione da che dipende?

Se è veramente libera, allora lo è in assoluto, è cioè un atto gratuito e incondizionato; un atto senza causa, una creazione dell’anima.

E’ credibile?

Se è condizionata da fattori di cui siamo consci, allora si ripropone l’adesione a questi condizionamenti;

se i fattori condizionanti sono invece inconsci, allora salta la libertà, poiché il nostro atto potrebbe essere determinato proprio da quelle cause biologiche o psicologiche della cui influenza neppure ci rendiamo conto. Possiamo escludere che tali fattori sotterranei determinino le nostre forze e debolezze? Dovremmo piuttosto rassegnarci al contrario: pensate all’influsso degli ormoni, della stanchezza o dell’inconscio (come diceva Freud “Il super-io, sede inconscia delle istanze morali, è solubile nell’alcool”).

Resta perciò solo la libertà come atto spirituale, assolutamente incondizionato.

Mi chiedo, a questo punto, come questo possa avvenire.

Un atto senza cause, un atto puro! che non risulti condizionato in nessun modo da geni, ormoni, sostanze chimiche, cattivo funzionamento del sistema nervoso, educazione, sessualità, ignoranza, fattori sociali… Sarebbe un atto divino!!!

Forse qualcuno ne sarà capace, io no.

Atto puro di adesione… a cosa? A Dio? Al Sommo Bene? Ad una convenzione umana?

Le convenzioni umane cambiano col tempo. Ciò per cui ieri si veniva condannati oggi è norma… e chi ieri, per libera scelta morale, non aderiva ad atti proibiti, oggi che sono leciti è confuso e chi trasgrediva lo è altrettanto.

Adesione al Sommo Bene? Se Esso ci si rivela, perché dovremmo rifiutarlo? Chi sceglierebbe liberamente il peggio? Se non ci si rivela, come aderire a ciò che non conosciamo?

La prospettiva di non essere liberi ci spaventa come guardare nel cannocchiale spaventava i contemporanei di Galileo. Sovverte le nostre convinzioni e tutta intera la nostra visione del mondo.

Che ne sarebbe della morale? protestano molti.

Questo non è un buon argomento, poiché confonde le conseguenze con le cause. Non possiamo aderire a qualcosa di falso solo perché temiamo le conseguenze della verità.

Inoltre potrebbe emergere un sentimento morale nuovo, dico io, che non contemplerebbe buoni e cattivi, ma solo gente che soffre (malattie, mancanza di senso, solitudine, disperazione, ignoranza, ottusità da eccessivi ricchezza o potere, cattivo carattere, fame…) più o meno.

Io ho battuto. Aspetto che qualcuno risponda, anche se temo che l’argomento sia più tabù dell’incesto, che crei profondo disagio per le enormi implicazioni che comporta anche il solo prenderlo in considerazione e che verrà lasciato cadere ancora una volta nel vuoto.

Arthur Koestler scrisse che se si vuole verificare se chi parla nella mancanza di libero arbitrio, basti provocarlo con un pugno sul naso. Credo che l’argomento sia limitato, poiché nessuno crede che una vespa sia libera di pungerci, eppure, se punti, la schiacciamo. A volte anche se non ci ha punto. Vedere una verità e avere la libertà di essere coerenti con essa non coincidono. Ne sanno qualcosa i fumatori. Accade che conosciamo la verità, ma (appunto!) non abbiamo la forza di agire di conseguenza. Non vi riconoscete?

«Ogni nuova verità passa i seguenti tre momenti:

1. viene fortemente avversata;
2. viene messa in ridicolo;
3. viene infine accettata come autoevidente».

  Arthur Schopenhauer

 


Franco Bertossa, Libertà, «A.S.I.A. Antiche e moderne vie all’Illuminazione», n. 13/1999, pp. 1-2.


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