Breve saggio sulla filosofia di Martin Heidegger di Manuela Ritte – Terza parte
Nella sua analisi Heidegger individua il pensiero oggettivante della metafisica come la causa del nichilismo: “La metafisica in quanto metafisica è l’autentico nichilismo. L’essenza del nichilismo si dà storicamente nelle vesti della metafisica; la metafisica di Platone non è meno nichilistica di quella di Nietzsche. Soltanto in quella l’essenza del nichilismo resta celata, in questa giunge pienamente in superficie.”[1] Per il filosofo tedesco nichilismo e tecnica sono le conseguenze di un determinato modo dell’uomo di rapportarsi all’ente. Che l’epoca moderna, “era atomica” e “civiltà del consumo“, sia contraddistinta dalla tecnicizzazione e dallo svanimento dei valori deriva dal fatto che l’atteggiamento dell’uomo è caratterizzato dalla volontà di mettere a propria disposizione, di avere a portata di mano la totalità degli enti, e di acquisire su questa il maggior dominio e controllo possibile.
Heidegger esplicita che questa volontà vuole rendere integralmente disponibile tutto ciò che è e può essere. Tutta l’Europa è secondo Heidegger toccata da questo problema, essendo “nella grande tenaglia tra Russia (…) e America”[2], dal momento che tutte rappresentano la stessa cosa, “lo stesso triste correre della tecnica scatenata.”[3]
Dice Heidegger: “L’essere abbandona ovunque l’ente e lo lascia tra le grinfie e le prese della reificazione. L’oggettività viene messa al posto dell’essere. L’ente si sgretola. E l’essere si è nascosto. E nonostante ciò tutto fa chiasso e va a tutta velocità e rinnega il vecchio e diffonde l’apparenza del nuovo. Il progettare incondizionato assicura all’oggettivo la possibilità del continuo e più rapido cambiamento, l’instabile nel durativo e ha la sua caratteristica nel puro apparire.”[4]
Il progetto di dominio sulla natura, il suo sfruttamento e infine la tecnica, corrispondono al tentativo dell’uomo di conoscere ciò che è nascosto. L’uomo vede nella natura l’altro, lo sconosciuto e il perturbante (das Unheimliche), perché rispecchia il mistero che egli stesso è. Però, siccome l’uomo non è capace di “abitare” il perturbante, comincia il processo di normalizzazione tramite il tentativo di controllo della natura.
Riprendendo e capovolgendo il pensiero di Max Weber sul mondo, entzaubert (senza magia), Heidegger parla della nostra Verzauberung, un incantesimo che si dà attraverso il mondo della tecnica. Heidegger vede il mondo moderno vittima di una malia e si chiede di una possibile uscita. La sua “diagnosi” è che l’età moderna si trova nel luogo del confronto più duro tra americanismo, comunismo e nazionalsocialismo. Le diverse posizioni iniziali vengono difese accanitamente, però tutto succede sullo stesso sfondo dell’età moderna incantata dalla tecnica: “Per questa lotta (…) l’uomo mette in gioco l’illimitato potere del calcolo, della pianificazione e del castigo di tutte le cose.” [5]
È il tempo della “compiuta insensatezza” e della “reificazione dell’ente”. Questo vuol dire che il mondo è diventato oggetto, impianto (Gestell).
In una conferenza tenuta nel 1953 e intitolala La questione della tecnica Heidegger dice che il bosco è una riserva di legname, la montagna una cava di pietra, il fiume una forza idraulica, il vento ciò che gonfia le vele. Tutto viene visto sotto il punto di vista della usabilità, tutto è Bestand, qualcosa di impiegato. Heidegger spiega questo concetto attraverso l’esempio della centrale elettrica impiantata nelle acque del Reno per fornire la corrente elettrica. “Nell’ambito di questo successivo concatenarsi dell’impiego dell’energia elettrica anche il Reno appare come qualcosa di “impiegato”. La centrale idroelettrica non è costruita nel Reno come l’antico ponte di legno che da secoli unisce una riva all’altra. Qui è il fiume, invece, che è incorporato nella costruzione della centrale.”[6]
Un altro atteggiamento sarebbe quello di costruire un ponte sul fiume, non deviando il suo corso e lasciandolo per quello che è. L’atteggiamento di produzione-manipolazione degli enti ha la sua origine in un pensiero metafisico che ha dimenticato ciò che gli è più vicino, l’essere. L’uomo non vede più se stesso e le cose sotto la luce del loro essere, ma esse diventano dei banali oggetti che stanno a disposizione dell’uomo.
Nel corso dell’intervista al settimanale tedesco Der Spiegel rilasciata nel 1966 e pubblicata per volontà del filosofo postuma nel 1976, spiega che ciò che lo inquieta maggiormente riguardo al mondo della tecnica, è il fatto che “tutto funziona (…) [e che] il funzionamento spinge sempre oltre verso un ulteriore funzionare”[7], senza che nulla sopraggiunga a interrompere questo meccanismo di funzionamento, così da condurre a interrogarsi sull’essenza della tecnica. Secondo Heidegger anche il Cristianesimo, che in quanto metafisica non è in nessun modo differente dal comunismo, non è una soluzione al problema, perché costringe il mondo e l’uomo in un modello conchiuso, in una visone del mondo, non rendendosi conto che all’inizio c’è un aperto che rende impossibile ogni conclusione, ogni tentativo di fissazione.
Tuttavia Heidegger non ha l’intenzione di rinnegare la sua epoca: il suo pensiero cerca di recuperare una prospettiva in cui il mondo diventa di nuovo un luogo in cui, come dice nella lezione universitaria La metafisica del 1935, “una cosa qualsiasi, un albero, una casa, un richiamo perde interamente l’indifferenza e grossolanità”[8]
Due interpreti del nichilismo: Jünger e Heidegger
Il primo a porre la questione del nichilismo è stato il filosofo Ernst Jünger in occasione del sessantesimo compleanno di Heidegger, nel 1955, il quale replicò al sessantesimo compleanno di Jünger. Delle tesi di Jünger, Heidegger si era occupato con molto impegno fin dai primi anni Trenta. I due interventi sono stati pubblicati in un unico volume intitolato Oltre la linea (Über die Linie). Jünger si è reso conto del carattere ormai planetario del nichilismo e del “carattere totale di lavoro di tutta la realtà” , prodotto dalla eterna volontà di potenza.
Già nell’opera Il lavoratore, Jünger aveva preannunciato l’avvento di una umanità nuova, costituita da operai-soldati che, in quella che veniva chiamata la mobilitazione totale, avrebbero trasformato il pianeta in una gigantesca fonderia industriale. Non attacca i valori vigenti come per esempio Nietzsche per risolvere il problema, ma cerca una buona definizione del nichilismo che “sarebbe da comparare all’individuazione della causa del cancro.”[9] Egli ha ancora la speranza di oltrepassare la linea critica, cioè il punto “dove si decide se il movimento del nichilismo finisce nel niente vuoto oppure se esso è il passaggio nell’ambito di una nuova dedizione dell’essere.”[10]
Jünger vede un possibile superamento del nichilismo nell’arte: “Il superamento e il dominio spirituale dell’epoca non si rispecchieranno nel fatto che macchine perfette coronano il progresso, ma piuttosto nel fatto che l’epoca prende forma nell’opera d’arte.”[11]
Heidegger ha riconosciuto l’importanza di diversi aspetti del lavoro di Jünger: “il grande merito di Jünger è di aver inteso che il nichilismo non è un fenomeno solo europeo, ma planetario. Non è una questione passeggera, ma riguarda interamente noi e tutta la nostra epoca. Inoltre Jünger ha messo in evidenza il “carattere totale di lavoro della realtà”, lo svanimento di ogni valore e senso e “l’impossibilità di un contatto con l’assoluto”.[12]
Da riconoscere sono anche i suoi tentativi di una prospettiva terapeutica, di una “cura” al nichilismo. Tuttavia quello che manca secondo Heidegger è la visione delle radici storiche e delle cause più profonde del nichilismo.
Vercellone in proposito, nel saggio Il nichilismo spiega: “La fenomenologia del nichilismo non è sufficiente, agli occhi di Heidegger, a rendere effettivamente conto del fenomeno. Mentre per Jünger la diagnosi è funzionale alla prognosi, per Heidegger un approccio “diagnostico” al nichilismo non rende conto del suo effettivo significato. Non è possibile, ai suoi occhi, uscire “temprati” dalla prova del nichilismo, finalmente capaci di affrontarlo e di superarlo.”[13] Secondo Heidegger non dipende dal fare della soggettività la realizzazione dell’oltrepassamento della metafisica. Metafisica e nichilismo sono così indissolubilmente intrecciati che non è possibile vedere il superamento del nichilismo in un suo trascendimento, “come una sorta di prova di forza volta ad affrontare il “deserto di ghiaccio” in cui si va estinguendo ogni risorsa di senso, ove il carattere totale di lavoro della realtà si fa sempre più pervasivo (…). Per Heidegger l’idea di soggettività proposta da Jünger costituisce un resto di quell’universo metafisico che s’identificava con l’avvento del nichilismo compiuto. Non ci sono residui di senso da salvaguardare; il nichilismo compiuto, il totale oblio dell’essere coincide piuttosto con il completo esautoramento della soggettività. Da questo punto di vista si rivela il limite dell’analisi jüngeriana, che costituisce un buon esempio di descrizione del fenomeno da analizzare ma non un suo effettivo intendimento.” [14]
Le diverse accezioni fornite alla preposizione “über” (oltre) sono molto indicative. Jünger intende “über” come “oltre”, aspira ad un oltrepassamento della linea del nichilismo, Heidegger intende “über” invece come “su“. Questo significa che vede una soluzione al problema solo in una interrogazione dal suo inizio.
Note
[1] M. Heidegger, Nietzsche, p. 343.
[2] M. Heidegger, Introduzione alla metafisica
[3] Ibid.
[4] M. Heidegger, La storia dell’essere
[5] R. Safranski, Heidegger e il suo tempo
[6] M. Heidegger, La questione della tecnica, in Saggi e discorsi, Mursia, Milano 1976, pp. 11-12.
[7] M. Heidegger, Ormai solo un Dio ci può salvare, Intervista con lo “Spiegel”, Guanda, Parma 1987, p. 134.
[8] Ibid., p. 345 s.
[9] M. Heidegger – E. Jünger, Oltre la linea, Adelphi, Milano 1989, p. 112.
[10] Ibid., p. 110.
[11] Ibid, p. 99.
[12] Ibid, p. 52.
[13] F.Vercellone, Il nichilismo, Laterza, Bari 1992, pp. 118-119.
[14] Ibid., pp. 119-120.