Pierre Hadot, La filosofia come modo di vivere
(conversazioni con Leannie Carlier e Arnold I. Davidson)
Einaudi, 2008
Questo libro-intervista desta l’interesse per vari aspetti. Innanzitutto è un libro strutturato in domande e risposte, una sorta di lunga intervista-dialogo che vede protagonista Pierre Hadot, l’autore di Che cos’è la filosofia antica?. Il grande studioso francese si rivela attraverso un racconto della sua vita, dei suoi interessi e delle sue esperienze. Hadot, conosciuto ai lettori di filosofia anche per il suo saggio La cittadella interiore sulle Lettere di Marco Aurelio, viene interrogato da Jannie Carlier e Arnold Davidson e non nasconde di condividere con gli stoici la filosofia vissuta in opposizione a quella pensata. Si può parlare di due poli ben distinti, da un lato la speculazione, la ratio, dall’altra la pratica (che non è, naturalmente, assenza di ratio). Questa distinzione intellettuale non deve essere perpetrata per sterilizzare la propria esistenza, in quanto la tentazione di riportare qualunque esperienza vissuta ad un ragionamento in terza persona è, forse, una delle caratteristiche della nostra cultura. Piuttosto, occorre partire dalle proprie domande sul mondo per reimparare a vederlo.
Quindi, un secondo punto di forza del libro: lo studioso francese racconta di un’esperienza che ha cambiato la sua vita e la racconta all’inizio del libro al suo interlocutore:
«[… P]er lungo tempo ho avuto l’impressione di essere venuto al mondo solo a partire dal momento in cui sono diventato adolescente e rimpiangerò per sempre di avere buttato via, per umiltà cristiana, le prime note scritte che erano l’eco della mia personalità nascente, perché mi è difficile adesso ricostruire il contenuto psicologico delle scoperte sconvolgenti che ho fatto allora. […]
Successe una volta nella rue Ruinart, […] un’altra volta accadde in una stanza di casa nostra. In entrambi i casi fui invaso da un’angoscia insieme terrificante e soave, provocata dal sentimento della presenza del mondo, o del Tutto, e di me in questo mondo. In realtà ero incapace di esprimere la mia esperienza, ma in seguito sentii che poteva corrispondere a domande come: “Chi sono?”, “Perché sono qui?”. Provavo un senso di estraneità, lo stupore e la meraviglia di esserci. Nello stesso tempo, percepivo di essere immerso nel mondo, di farne parte, e che il mondo si estendeva dal più piccolo filo d’erba fino alle stelle. Il mondo mi era presente, intensamente presente. Molto più tardi avrei scoperto che questa presa di coscienza del mio essere immerso nel mondo, questa impressione di appartenenza al Tutto era ciò che Romain Rolland ha chiamato il sentimento oceanico. Credo di essere filosofo a partire da quel momento, se per filosofia si intende la coscienza dell’esistenza, dell’essere al mondo.»
Un terzo punto di forza del libro è il seguente. La pagina toccante che ho riportato sopra potrebbe essere ricondotta al sentimento di creaturalità: Dio, incredibilmente, mi ha voluto, Dio ha voluto me e il mondo. Invece Hadot respinge questa possibilità e fa riferimento alla mancanza nei Vangeli del riferimento sistematico al Tutto. E’ proprio il Tutto che rende il sentimento oceanico un sentimento esistenziale e che Hadot non trova nel Nuovo Testamento, in cui pure è presente la meraviglia di fronte alla natura, ma non scindibile dal riferimento a Dio e a Cristo. In questo si può notare che un segreto filo d’Arianna lega Hadot a Wittgenstein (di cui Hadot è stato il primo traduttore in Francia) e Heidegger. Per approfondire, vi rimando a Che cos’è metafisica?(1929) di Martin Heidegger e in particolare all’introduzione di Franco Volpi, che ricostruisce gli episodi di critica di esponenti del Circolo di Vienna al libro del filosofo della Foresta Nera e della sua difesa – in un primo momento censurata – ad opera di Wittgenstein.
Un altro punto interessante è l’esistenza – tesi avanzata da Pierre Hadot – di atteggiamenti universali dell’uomo che emergerebbero in epoche diverse con diversi nomi e che testimonierebbero che l’umano ha una sua struttura interiore ben precisa, da scoprire e da indagare. Ci viene fornito un parallelo tra l’atteggiamento di Pirrone, che cercava di raggiungere l’indifferenza perfetta allevando il maiale di sua sorella, e del filosofo cinese Lie-Tseu che aiutava la moglie nelle faccende di casa. Intendiamoci, oggigiorno è un dovere fare le faccende domestiche insieme al proprio coniuge, ma ai tempi un atto simile per un uomo significava uscire dalla morale condivisa, era un atteggiamento di indifferenza, un rifiuto di giudicare le cose, di dire: questo è bene, quello è male. In altre parole, era l’atteggiamento scettico proprio degli antichi greci.
Per concludere questa recensione, ancora due cose. La prima è un avviso, non aspettatevi un libro di semplice lettura. I temi affrontati sono tanti e Pierre Hadot è un uomo molto rigoroso, un filologo e uno studioso delle fonti, ma credo valga la pena cimentarsi nella lettura (e rilettura) dei dialoghi. Si impareranno tante cose su come leggere i testi antichi, sull’evitare di fraintendere una parola usata dai greci con la stessa usata dai filosofi moderni con un significato completamente diverso (es. scetticismo) e così via. La seconda cosa è una richiesta. Questo libro, come l’altro da me recensito dal titolo La fine della scienza, parte da un’esperienza dell’autore. Sarebbe bello costruire un certo numero di recensioni di libri che parlano chiaramente di esperienze esistenziali che hanno influenzato la vita dei rispettivi autori. E qui chiedo aiuto a voi lettori nel segnalare, attraverso i commenti, simili libri. Già Pierre Hadot, nella nota conclusiva, ha fatto un’antologia essenziale di personaggi che hanno parlato di esperienze esistenziali, riportando i passi significativi delle loro opere: Tchouang Tseu, Seneca, Pascal, Rousseau, Kant, Wittgenstein (la famosa “mi meraviglio per l’esistenza del mondo”) ed altri.
Se vi ho incuriosito, buona lettura…