Il 28 Settembre 2010 è uscito “Alien”, il nuovo disco del Maestro Giovanni Allevi contenente suoi inediti di piano solo, il suo “Alien World Tour” arriverà in Italia il 19 Febbraio al Palalottomatica di Roma per un grande concerto-evento che darà il via ad una lunga tournèe nei principali teatri d’Italia (per maggiori informazioni www.giovanniallevi.com).
Domanda
Maestro Allevi, mi è accaduto di assistere ad uno splendido concerto di Misha Maisky che eseguiva le suites per violoncello solo di Bach creando grande intensità, ma ho avuto l’impressione che lui stesso faticasse a sopportare l’energia che egli stesso suscitava, lo dimostrava il fatto che finita la suite, subito chiedeva l’applauso al pubblico. Anche lei suscita nei suoi concerti grande intensità, eppure riesce sempre a far rispettare qualche istante di sospensione prima dell’applauso del pubblico, che rapporto ha con l’intensità che lei stesso crea grazie alla musica che la attraversa?
Giovanni Allevi
Io mi nutro di quell’energia, cioè dell’intensità emotiva che il pubblico mi regala. Ma non è sempre la stessa, e questo dipende da molti fattori: la mia esecuzione, l’acustica, lo stato d’animo della platea nei miei confronti. In generale tendo ad apprezzare l’applauso partito magari in anticipo, o addirittura durante il brano. Io vivo in simbiosi con il mio pubblico, e quando è possibile, cerco di creare un unico respiro con gli ascoltatori. Anche perché, a differenza del M°Maisky, da lei citato (e la ringrazio del paragone per me forse immeritato), io eseguo in concerto la mia musica, e per questo la mia anima è totalmente esposta e messa in gioco; dunque l’applauso non è soltanto il riconoscimento di una bravura, ma qualcosa di molto più profondo.
D
Mi rendo conto che possa forse essere troppo pretendere dal pubblico di applaudire soltanto a fine concerto, ma non pensa che potrebbe essere utile alla musica educare il pubblico ad allungare quei momenti di silenzio in cui il suono ancora vibra nella sala, prima di scatenare applausi spesso disturbanti il senso di sacro evocato dalla sua musica?
G.A.
Devo tutto al pubblico, non essendo io protetto dalle stanze di una torre d’avorio o da un sistema predefinito. Per questo non ho l’atteggiamento di chi vuole educarlo, se non, magari inconsapevolmente, proponendo una musica che non è abituato ad ascoltare. Ma torniamo all’applauso. Nella mia suite sinfonica “Angelo Ribelle”, il quarto movimento è un Corale, molto rarefatto. L’ultimo accordo si spegne su di un pianissimo che sfuma sul silenzio. Quando l’ho diretto all’Arena di Verona, ho lasciato le braccia alzate, mantenendo quel silenzio per un tempo indefinito che mi è sembrato un’eternità. Anche i professori d’orchestra sono rimasti immobili con l’archetto fermo sulle corde. Ho sentito 12mila persone trattenere il fiato, partecipi della potenza straordinaria del vuoto, per poi sciogliersi in un applauso liberatorio, quando finalmente ho abbandonato giù le braccia. Queste per me sono cose belle, per cui vale la pena vivere!
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Nel suo libro “La musica in testa” e spesso anche nei suoi concerti parla di un suo attacco di panico; nel suo libro conclude il capitolo affermando che il panico è un dono, cosa può dire a tal proposito a tanti giovani che lo vivono tragicamente e negativamente per aiutarli a comprendere che in esso c’è qualcosa di promettente, quasi una sorta di voce che allude alla scoperta di qualcosa di vero?
G.A.
Volevo intendere che il Panico mi ha raggiunto in un momento di ebbrezza, non di difficoltà lavorativa o affettiva. Per questo ho voluto indagarne il significato profondo, a partire dalla sua etimologia. E’ il Tutto, il Troppo, l’energia creativa che irrompe nella nostra esistenza costringendoci ad un reset della personalità. Immagino che esistano delle forze archetipe, come l’ansia, il panico, l’eros, delle quali non abbiamo nessun controllo e responsabilità. Esse percorrono l’umanità come un fiume sotterraneo invisibile. Quando ci si manifestano dobbiamo solo farci travolgere. Pensare di ridurre queste forze potentissime a semplici risultati di piccoli problemi quotidiani, è un gesto di superbia.
D
Maestro, lei è un musicista decisamente anomalo, poiché in genere ci si aspetta dall’artista, di incontrare una persona tutta sentimento ed emozione, mentre lei è laureato in filosofia e perciò sa domandare filosoficamente anche sulla sua stessa musica, sul suo stesso essere artista, è capace di argomentare razionalmente e con logica, come dimostrano i suoi due libri. Quanto è importante, per lei, l’educazione al saper domandare?
G.A.
In genere le mie argomentazioni logiche portano tutte alla stessa conclusione, cioè la necessità di abbandonare la logica, ed affidarsi all’irrazionale, come via di salvezza.
Sarà la mia indole, la mia storia, ma continuo a non aver simpatia per il termine “educazione”, nel senso pedagogico del termine. Questo per me è il momento di gettarmi nella vita, a piene mani, mostrando la mia fragilità ed imperfezione, alla ricerca di quel lampo di poesia che si nasconde tra le pieghe dell’esistenza. Non è il momento delle domande.
D
Il suo nuovo album in uscita si intitola Alien, e so che è basato sulla forma sonata, ce lo presenta?
G.A.
E’ stata un’analisi a posteriori che mi ha reso consapevole di quanto i brani di Alien fossero molto più estesi del solito. Si erano presentati così, in una forma tripartita e bi-tematica, cioè nella struttura della sonata classica. Ma gli elementi musicali organizzati in quella forma, sono ritmiche Hip Hop, melodie ed armonie molto vicine al mondo Prog. Rock. Mi è sembrato di realizzare così l’ideale di una musica Classica Contemporanea, che da sempre perseguo. Inevitabilmente il mondo accademico, ha di nuovo storto il naso, e questa volta, con un guizzo sofistico, ha rinvenuto nella mia definizione un ERRORE, ossia l’OSSIMORO tra classico e contemporaneo. E giù sui forum e sui blog a parlare dell’ossimoro di Allevi. Ma diciamoci la verità: posso io essere così ingenuo, da proporre una definizione che contenga un errore logico tanto grossolano? Altre personalità prima di me, del calibro di Nietzsche e Goethe, avevano già affrontato e risolto il problema! La “classicità” NON è una categoria temporale, ma fa riferimento ad una armonia delle forme che è valida in qualunque contesto storico. Dunque classico-contemporaneo non contiene nessun ossimoro.
D
Miles Davis diceva: “la vera musica è il silenzio, tutte le note non fanno che incorniciare il silenzio”. Questa frase mi ha sempre fatto pensare alla musica e in genere a tutte le espressioni del cammino umano, come un percorso a ritroso verso l’essenziale più che un manifestazione di eccessi. Cosa ne pensa?
G.A.
Ci sono epoche in cui l’artista sente la necessità di esprimere gli eccessi, altre in cui, annoiati degli eccessi, si cerca di nuovo l’essenzialità. Quest’ultima credo sia la necessità dei nostri giorni. Forse stiamo abbandonando un’epoca neo barocca, traboccante di stimoli, distrazioni, dove la musica, soprattutto pop, è arrivata alla saturazione, che è noia. E’ lo stesso grande pubblico a farsi interprete di una nuova via, la scoperta di una nuova musica classica, fatta con strumenti di legno e metallo che siano una diretta emanazione dell’anima. Tornano sul palcoscenico collettivo la dinamica ed il silenzio, la tensione verso l’infinito e la sfida ai propri limiti.
D
Spesso la musica oscilla tra i due poli del romanticismo melenso o della provocazione a tutti i costi. Che ruolo giocano sentimenti come lo stupore, l’angoscia, il senso del mistero e quello del vuoto nella sua creazione artistica?
G.A.
La musica è sempre una manifestazione dello Spirito del Tempo, e trova in esso la sua giustificazione. Dunque evito di giudicarla, e di rivolgere lo stesso giudizio nei confronti di ciò che scrivo. Questo è anche dovuto alla mia natura: in genere prima faccio le cose, poi magari ci rifletto! Le emozioni e i sentimenti appartengono al vissuto intimo dell’ascoltatore, e per questo rappresentano per me una realtà insondabile e misteriosa. Io non voglio trasformare le mie emozioni personali in musica, nella speranza di suscitare le medesime in chi la ascolta. Il meccanismo è un altro: una musica arriva alla mia testa indipendentemente da ciò che faccio, dove mi trovo e come mi sento. Essa libera su di me delle emozioni, ma ad un’altra persona potrebbe fare un effetto del tutto differente.
D
Viviamo nei tempi della tecnica, dove tutte le esperienze umane sono ridotte ad oggetto di uso, consumo e manipolazione. Persino le emozioni, afferma qualcuno, possono essere il prodotto di una tecnica abilmente padroneggiata. A questo punto: le emozioni che la musica evoca derivano da un abile uso tecnico o la tecnica è necessaria ad esprimere meglio emozioni già presenti nell’animo umano?
G.A.
Eppure io continuo a sentirmi un individuo libero! Non un consumatore in balìa di strategie di marketing, perché alla fine sono io che scelgo cosa guardare, ascoltare, cosa mi piace cosa no. Credo che, sì, viviamo nell’era della tecnica manipolatoria, ma anche del recupero del sé, attraverso l’Arte, la Poesia, la Letteratura, la riflessione filosofica. La collettività è molto più profonda, intelligente e sensibile di quanto si possa immaginare. Tornando alla musica, non riesco a condividere un così stretto rapporto di causa effetto tra le strutture musicali e le emozioni che esse suscitano. O meglio, non me ne preoccupo.
D
Un altra domanda in tema: nell’ambito della sua creazione artistica quale è la differenza tra controllo e ascolto? Tra dominio e abbandono?
G.A.
C’è un momento, esattamente conseguente all’ispirazione (che è del tutto misteriosa) in cui entra in campo il rigore assoluto. Nella strumentazione orchestrale entrano in gioco le regole di buona condotta delle parti, che sono state cristallizzate in secoli di tradizione. Quella è la tecnica, che per essere padroneggiata, richiede anni di studio accademico durissimo, durante i quali, in sostanza, si analizza cosa hanno fatto i grandi prima di noi, e ci si “diverte” ad entrare ed uscire nel loro linguaggio. Ma l’ispirazione, cioè il momento in cui, mentre sei a fare la spesa o a riordinare casa, il tema principale di “300 anelli” cade nella tua testa, è assolutamente inspiegabile! In quel caso, bisogna lasciar fluire la musica in totale libertà, senza ostacoli di alcun tipo. In una sorta di abbandono.
D
“Sono alieno perché sono vero. In un mondo che ci vuole finti e ci spinge ad assumere modelli di comportamento preconfezionati resterò sempre alieno. La società ci vuole tutti forti e vincenti: io affermo la mia fragilità e la mia vulnerabilità. Infatti nella foto di copertina del disco mi spoglio, come a dire che esco dallo spazio e dal tempo, da ciò che ho fatto e che farò “. In un mondo come il nostro, dove i riferimenti assoluti sono venuti meno e tutti i valori si sono relativizzati, cosa intende per Vero?
G.A.
Un vero psicologico, che mi salva dagli effetti distruttivi dell’omologazione, tipica di una società in cui è fortissima l’ingerenza dei media sulla vita degli individui. O magari anche della schiacciante ingerenza dei pregiudizi, delle ideologie, che spesso vengono abbellite in “valori assoluti che purtroppo sono crollati”…per fortuna dico io. L’individuo torna alla propria verità: l’essere fragile, sensibile, unico ed irripetibile, in contatto con le forze archetipe dell’ansia, del panico e, la più potente, dell’eros. Ma soprattutto un vero musicale, che è realismo delle strutture. Ciò che conta e resta è la partitura scritta, con le sue note organizzate in determinate forme. Quello per me è il mondo dell’oggettività, che resta tale, indipendentemente dalle mie vicende, dal fatto che io possa apparire simpatico o sia detestato, dal fatto che la mia musica possa suscitare delle emozioni, che possa essere criticata o lodata.
a cura di Gianni Placido e Giampaolo Mazzoni
redazione asia.it
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