Atha yoganushasanam – A questo punto vi trasmetto lo yoga che io stesso ho ricevuto.
Atha: a questo punto. Patanjali, il grande sapiente dello yoga, inizia così il suo Yogasutra.
Grandi commentatori, tra cui il mio stesso maestro, Gérard Blitz, concordano che Atha stia ad indicare un momento di maturazione più che un momento temporale. Significa “Ora che tu, mio aspirante allievo, sei pronto, io ti inizierò al mistero dello yoga”.
Che significa “pronto”? In questa domanda si riassume il problema della trasmissione di ogni sapere che non sia puramente tecnico, o, come diremmo oggi, trasportabile, libresco. Le vie iniziatiche implicano l’acquisizione di una consapevolezza. Che cosa significa consapevolezza? La migliore risposta che mi riesca di proporvi è:
un sapere
che mi riguarda, in cui ne va di me,
che mi risuona nelle viscere
a causa della portata delle sue implicazioni.
Come suscitare un tale sapere? Come riuscire nell’operazione di yoganushasanam, cioè di ridestare la consapevolezza – il sapere in cui ne va di me, che mi scuote le viscere per la portata delle sue implicazioni – che si acquisisce tramite lo yoga? Il sapere occidentale oramai non si cura, se non in campo artistico, di quanto lo studioso senta. Anche in campo teologico si approvano o condannano parole, proposizioni, libri. Si diviene religiosi credendo nelle parole.
Lo zen si autodefinisce “una via al di là delle scritture, che punta direttamente al cuore dell’uomo”. I shin den shin, dal mio cuore al tuo cuore: ecco la trasmissione di una consapevolezza. Non può prescindere dalla relazione maestro-allievo. Questa è per molti versi una pillola difficile da ingoiare. L’occidente non accetta questo tipo di relazione. E va bene così, poiché è giusto stare all’erta. Nel contempo è anche vero che un certo tipo di consapevolezza si acquisisce solo attraverso momenti, mezzi o persone del tutto particolari. I momenti e i mezzi ce li fornisce la vita, che ogni tanto ci scuote fin nelle ossa e ci costringe a guardare quel che non volevamo proprio vedere. L’oriente dice che molto può fare anche un maestro. Al maestro non ci si deve abbandonare, si vuole sopra ogni cosa abbandonarsi, poiché lo si riconosce capace di risvegliare in noi ciò senza cui la vita è priva di senso. Quando un tale abbandono matura, il maestro prende l’impegno: “Quando il maestro ti ha accettato, tu non sarai più abbandonato, sarai come una preda tra gli artigli della tigre”. Queste le parole di Ramana Maharshi.
Anche se un tale discorso risulta forse urtante per la mentalità occidentale, che in genere non vuole abbandonarsi proprio a nessuno, va comunque fatto, e molte testimonianze sulla attualità della illuminazione, del satori, potrebbero essere portate a conferma di quanto ho appena scritto.
II Yogashchittavrittinirodhah
Si ha lo stato di yoga quando s’acquieta il turbinio mentaleIII Tada drashtuh svarupe vastanam
Allora in noi il Principio-che-solo-guarda si riinstalla nel proprio originario stato
Yogasutra, Patanjali.