Pratico arti marziali dal 1972 e Aikido dal 1980.
Ciò che mi ha convertito all’Aikido è la nozione, ma è meglio dire l’esperienza, del ki.
Quando mi furono insegnati i Quattro Principi del Ki del Maestro Tohei, fui immediatamente conquistato.
Ciò che più mi appassiona, in ogni ricerca, è il trovare i principi, ciò a monte di cui non v’è altro e perciò stesso è detto “principio”.
Il ki ha diverse interpretazioni e quella di Tohei sensei – ki come coordinazione e unificazione di mente e corpo – è davvero stupefacente.
Quando feci esperienza di quale potenza si sviluppasse concentrando la mente nel “punto unico nel basso addome” o di come “inviando ki” ad es. da un braccio, questo diventasse impiegabile, o come “mantenendo il peso al di sotto” il corpo non potesse venire sollevato perché compatto come mai altrimenti, la cosa mi affascinò e la mia ricerca ebbe un impulso nuovo ed inesauribile.
Da allora non pratico più per atterrare l’attaccante, ma per rispettarne il ki, per studiarne la mente, poiché, come Tohei sensei insegnava, la mente guida il corpo.
Una proiezione non mi soddisfa se non ho assaporato che il ki mio e dell’attaccante è stato rispettato.
Una persona, e un rapporto tra persone, sono caratterizzati essenzialmente dal ki che li attraversa.
In questo senso non cerco la vittoria, ma un sapore di non collisione che mi nutre e rivitalizza.
Ciò non significa che l’attacco non possa essere intenso e reale. Ho insegnato anche a professionisti della difesa personale così come ho imparato da loro e conosco i problemi dello scontro reale, anche se non amo per nulla ostentarli.
Un aikidoka esperto sa quali potenti energie si attivino durante una risposta di Aikido e che all’attaccante potrebbe accadere di venire spezzato in tre parti prima di toccare il suolo.
Naturalmente ciò fa sorgere, cosa che detesto, la adolescenziale domanda (un esperto mai la solleverebbe): ma se un aikidoka si confronta con un… pugile, un lottatore, un karateka… chi vince?
Domanda stupida.
Non esiste il pugile, ma quella specifica persona che sa più o meno di pugilato, e così con il resto.
I marzialisti sanno che ogni arte ha le sue peculiarità e che tra i praticanti ci sono quelli più o meno dotati.
Ogni arte va rispettata, perché qualcosa di inatteso sa sfornare e le variabili sono tantissime.
Mi è capitato di studiare con professionisti molto rinomati e famosi.
Uno tra questi, confidando nella sua indubbia superiore capacità di usare i piedi, mi afferrò entrambi i polsi chiedendo: – E ora che fai?
Si ritrovò a sbattere il volto contro il muro, perché l’aikido aveva la tecnica d’uscita da quella situazione, ma lui non la conosceva.
Credo abbia imparato qualcosa. Io pure.
Così mai mi permetterei di di dire ad un marzialista di altra disciplina “e ora che fai?”. Che ne so cosa sa fare? Potrei avere brutte sorprese…
Giorno dopo giorno studio il ki, poiché dietro ad ogni marzialista c’è una mente e la mente muove il corpo.
“L’aikido non ha forme predeterminate, perché l’aikido studia lo spirito”.
Ueshiba Morihei – fondatore dell’Aikido
Foto: Gozo Shioda, uno dei più impressionanti aikidoka, fondatore dello Yoshinkan Aikido