V’è una soglia di indagine dell’umana esperienza oltre la quale è necessario adottare strumenti idonei, non attualmente convenzionali in Occidente.
L’Occidente, d’altronde, non li ha mai sviluppati.
Varcare tale soglia a ritroso porta alla sorgente della coscienza.
In esso troviamo il sapore originario dell’io-persona e quello apersonale del senso di sé; troviamo l’intenzionalità e, in generale, le forze che tengono in essere le attività primordiali dell’esperienza umana.
L’India, onde approfondire il principio esperente e cosciente, ha sviluppato da tempi immemori lo Yoga e il Tantra.
Ma, a monte di Yoga e Tantra, ha sviluppato un fattore del tutto sconosciuto e forse anche insopportabile all’occidentale:
l’immobilità del corpo e della mente mantenuti per lunghi periodi.
Mi sono trovato, nel corso degli ultimi venticinque anni, a confrontarmi con intellettuali e scienziati occidentali sul tema della coscienza.
Ebbene, mi è stato via via sempre più chiaro che quando io dicevo coscienza, autoreferenza vissuta, fenomeno, intenzione, volontà, pensiero.. mi esprimevo a partire da una prospettiva che loro non potevano conoscere.
Ne seguiva che il dialogo era ed è impossibile a meno che essi non integrino la propria ricerca con la capacità di meditare, ossia di stare per lunghi periodi in immobilità totale, controllando le attività vitali quali il respiro e, soprattutto, il flusso dell’attenzione.
Ma, in Occidente, pochi si concedono a tale percorso disciplinato.
Vi sono alcune realtà pionieristiche, come i Summer Camps organizzati dal Mind and Life soprattutto in USA, rivolti a ricercatori in campo scientifico ed umanistico, ma in Europa non accade granché.
Vi sono anche gli sforzi dei promotori della Mindfulness, ma non hanno ancora sfondato il muro dell’utilitarismo psicologico-clinico.
Ho oramai oltre quarant’anni di esperienza nel campo dello yoga e della meditazione e ho sviluppato un senso “clinico” della situazione.
L’incontro tra Occidente e Oriente non è ancora avvenuto.
Esso avrà luogo solo allorché si svilupperà sul piano della filosofia integrata alla meditazione.
Ma a questo neppure il Mind and Life ha ancora mai pensato.
L’Occidentale manca di motivazione a questo passo.
Ha avuto, nei secoli, notevoli intuizioni filosofiche, ma non ha saputo svilupparle non sapendo permanere nell’esperienza di esse.
Che sarebbe stato un Cartesio se avesse potuto meditare..
Che un Kant, un Fichte e gli altri idealisti, fino a Gentile?
E che un Wittgenstein o Heidegger stesso?
Ma, a seguito di alcuni momenti genialmente intuitivi, la loro ricerca non ha avuto i mezzi per dispiegarsi e soprattutto per essere trasmessa a discepoli come esperienza.
Hanno consegnato tutta la loro sapienza alla scrittura così che, codificata dicono ali codici informatici di oggi, essa è diventata “cultura trasportabile”.
Ma, e lo sostengo con cognizione, l’essenziale non si può trasmettere attraverso il solo scritto.
Ecco che rifarebbe capolino la trasmissione orale, la quale non significa servirsi della sola parola invece che dello scritto, ma di tìutto l’insieme della personalità di chi insegna e trasmette e di chi riceve ed impara.
Chissà se nuovi filosofi – e perché no, scienziati – mai verranno attratti in numero tale da contribuire ad una necessaria svolta culturale per uscire dall’aridume della sola teoresi da un lato, e dell’oggettivismo dall’altra?
Sarebbe una svolta di civiltà.