Al Festival della Filosofia 2009 abbiamo seguito la Lectio magistralis del prof. Giovanni Filoramo, docente di Storia del Cristianesimo presso l’Università degli Studi di Torino.
Il prof. Filoramo, nell’accogliente cornice di Piazza Garibaldi a Carpi, non ha mancato di sottolineare al pubblico, composto in maggioranza da giovani, l’importanza e l’attualità del tema proposto: “Religio”, da cui deriva il nostro Religione.
Seguendo un approccio filologico supportato da un accurato excursus storico, è infatti emerso come nella quotidianità troppo spesso dimentichiamo il significato delle parole che utilizziamo e i possibili intendimenti che si sovrappongono all’evento indicante la nascita di quello specifico termine. Quello che ai nostri occhi profani potrebbe sembrare un’indicazione di poco conto, era proprio il tema centrale dell’acuto intervento di Filoramo, il quale, con ogni strumento offertogli dalla ricerca storica, ha ricostruito la vita del termine Religio, spogliandolo e rivestendolo a seconda delle epoche e degli autori, di significati e modi d’uso differenti. Un’onesta ricerca in quel campo non può che sottolineare come siano gravi e profonde le conseguenze di una presa in considerazione del termine Religio in maniera superficiale.
Che cosa significava per gli antichi la parola Religio?
Ricordiamo due importanti interpretazioni del termine, la prima riconducibile a Cicerone e la seconda a Lattanzio. Cicerone ci parla della radice religio- in termini di relegere (raccogliere, unire), riferendosi a coloro che hanno un’attenzione scrupolosa per il culto degli dei; costoro venivano chiamati con ogni probabilità religiosi. Lattanzio, invece, ci parla di Religio come di religare (tenere insieme, vincolare, legare) sostenendo la centralità del vincolo radicale degli uomini con Dio.
Entriamo nella Lectio magistris e ripercorriamone alcune tappe: il termine Religio venne recuperato dai primi cristiani dal mondo pagano; l’uso di questa parola nell’antichità era rivolto ad ambiti molto diversi tra loro. Con Teodosio, però, ci fu una prima e importante svolta che portò all’ingresso nella dimensione politica della religione. Questo passaggio è gravido di conseguenze, evidenti fino ad oggi.
Gregorio Magno, poi, iniziò una vera opera di ri-semantica del termine Religio, così da epurarlo più o meno definitivamente degli elementi pagani presenti nella sua origine e storia. La stessa operazione fu adottata per i luoghi della religione: ai templi degli idolatri venne donata un’atmosfera cristiana.
Agostino introdusse un elemento dirompente e preponderante per il destino del termine Religio con la stesura, nel 387, del trattato: “De vera religione”. I romani inizialmente, nelle loro opere di conquista non accompagnavano una sottomissione dei singoli gruppi e popoli ad un credo specifico, lasciavano che ognuno continuasse a praticare il proprio culto. Il trattato di Agostino introdusse una componente al termine religione, facendo nascere così un connubio di eccezionale e temibile potenza: vera religione. Si sollevò così un problema di fede, di credo e del rapporto interiore del singolo con il vero dio. Ai contenuti religiosi cristiani venne attribuita verità, oltre che dottrinale, anche politica e sociale. Questa assunzione comportò inevitabilmente una divisione, una discriminazione tra religioni vere e false. Prima del trattato di Agostino, la Religio non aveva esteso a livello filosofico e politico il suo ruolo di unica religione vera.
Il problema sollevato da Filoramo a Carpi, e qui solamente accennato, è enorme. Conduce a riflettere sulla tradizione cristiana e sulla natura del confronto con altre tradizioni “religiose”. Qui, nasce l’esigenza di un’importante osservazione: l’uso che facciamo del termine religione è fortemente connotato, le lenti che utilizziamo per leggere gli altri sono colorate degli assunti che abbiamo respirato e vissuto. Quale atteggiamento può aiutarci nella discriminazione dei nostri assunti impropri?
Filoramo suggerisce di viversi come laici devoti, rispettosi dell’esperienza interiore di ogni uomo e liberi dalla conflittualità dell’assunzione di Religio, come discussa nella sua Lectio magistralis.
Ultimo ma difficile passo è quello di approfondire la domanda: questa devozione, priva di contenuti dottrinali, capace di un vero dialogo, da dove e da che cosa può nascere?
Guarda l’intervista a Giovanni Filoramo