L’attivazione della conoscenza attraverso il collasso di sé sul nucleo di sé.
Gli antichi indiani individuarono tale nucleo nel “vedere”, significato che si allarga nel “sapere”.
“Veda”, dalla stessa radice di vedere, sta per “sapienza – so”, so perché vedo.
Ciò non resta nella sola dimensione astratta, ma si traduce nella individuazione e localizzazione pressoché topografica del “veggente”, di quel principio dell’esperienza in cui è possibile riassorbirsi attraverso diversi procedimenti.
I percorsi sensoriali vengono risaliti fino al fruitore di essi.
– Chi?
Appunto, ci sei.
– Non capisco..
Ancora meglio.
È la sede di OGNI atteggiamento cognitivo. Anche se lo neghi, lo fai in esso.
– Dove?
Proprio dove te lo domandi.
Questo va certamente meglio indicato, ma va soprattutto praticato.
Ecco la meditazione, Dhyana.
Assorbendosi nella originarietà di sé, accade che tale nucleo denso prenda a “parlare” attraverso le intuizioni che ha (hai) si sé, di te.
Una delle fondamentali intuizioni è che tale principio non può annientarsi.
È eterno e ciò non solo in senso temporale, ma in quello, appunto, di non annientabilità.
Con ciò si vince il nucleo essenziale del timore di morte.
Molti altri aspetti della verità del “vedere-sapere” vengono svelati nel corso della indagine meditativa, ma il toccare un che di assoluto ed eterno in te è buon inizio.
Ho parlato proprio di te.