Il nuovo metodo consiste nel non averne alcuno. L’”Atlante della letteratura italiana” di Luzzatto e Pedullà e le critiche di Alberto Asor Rosa
Vi offriamo oggi una riflessione che prende le mosse da una diatriba culturale rimasta sospesa: quella che vede protagonisti Alberto Asor Rosa, intellettuale di caratura internazionale, e Sergio Luzzatto e Gabriele Pedullà, autori di un Atlante della letteratura italiana in tre volumi, di cui il secondo è stato pubblicato a fine settembre dalla Einaudi, editrice ‘storica’ proprio delle opere di Asor Rosa. Mentre si attende l’uscita del terzo tomo del nuovo atlante letterario, si attende pure, dopo ormai quasi due mesi, l’esplicitarsi delle ragioni per le quali i due curatori hanno compiuto, nel redigere la loro opera, scelte quantomeno singolari, come quella di attribuire “il primato originario di Padova su Palermo, la messa in ombra della letteratura dell’Italia mediana (tra cui San Francesco e Jacopone), la sottovalutazione («prodigiosa» [secondo Asor Rosa]) dei fenomeni letterari a sud di Napoli, la superficialità sulle grandi opere della tradizione e numerose altre lacune ed errori di prospettiva nella definizione degli hubs (termine mutuato dall’ informatica) e cioè delle città-fulcro nelle diverse epoche (tra cui mancherebbe, per esempio, Ferrara)”. Dalle pagine del Bollettino di Italianistica (Carocci e La Sapienza), Asor Rosa aveva definito lo sforzo dei due studiosi “raptus di titanismo intellettuale”, accusandoli da un lato di non aver minimamente considerato, nello sbandierato intento di porsi come alternativi alla “dialettica hegeliana e crocio-desanctis-gramsciana”, sessant’anni di ricerche e dibattiti sviluppatisi proprio in questa direzione; sotto accusa sarebbe inoltre la totale mancanza di metodo di Luzzatto e Pedullà, mancanza cui goffamente tenterebbe di sopperire la grande quantità di materiale (cartografico e saggistico) compreso nel lavoro.
Perché appare importante soffermarsi su una querelle come questa, che tanto sembra lontana dalla tensione spasmodica di questi ultimi giorni, dagli spread, dai bot, dall’Europa e dal nostro portafoglio? Perché la querelle in questione tratta dei criteri con cui si scrivono i libri, quelli su cui si legge e/o si studia la storia della letteratura italiana, quindi una parte fondamentale della cultura di questo Paese. I libri sono il cibo di cui si nutrono (o dovrebbero farlo) le menti dei piccoli cittadini che sono i nostri figli, gli stessi cui stiamo preparando o ipotecando un futuro. Non occorre che si evidenzi l’importanza dell’istruzione e della cultura per un popolo… o forse sì, ed è questo il dramma.
Chi ha la fortuna di insegnare avrà forse già notato una serie di cambiamenti nei libri di testo delle materie umanistiche, e sarebbe sano chiedersi, anche a livelli meno alti di quelli dai quali tuonano Asor Rosa e colleghi, a cosa siano dovuti tali cambiamenti, se tutti seguano una precisa ricerca filologica o se, invece, non ci sia di mezzo una buona dose di revisionismo – che si tratti di Storia, Geografia o Letteratura. Se è vero che da anni risulta ormai obsoleto l’approccio storicista alla letteratura, è vero anche che non è ancora emerso un pensiero (perché questo manca: il pensiero) sufficientemente attendibile e condivisibile per sostituirsi ai ‘vecchi’ schemi; il rischio, quindi, è di assistere al rafforzarsi della tendenza denunciata da Asor Rosa in questo caso specifico: “…il nuovo metodo consiste nel non averne alcuno, il non averne alcuno viene proclamato con grandi clamori e scoppi di mortaretti come il nuovo metodo”. Ora, Luzzatto e Pedullà non hanno risposto ‘scientificamente’ (né intelligentemente) alle accuse mosse dall’autorevole collega: la loro contro-stroncatura ha seguito lo stile cui ormai ci ha abituato il talk-show quotidiano di questa brutta politica, limitandosi a una sequela di attacchi personali al limite dell’insulto, assolutamente priva di argomenti che supportino concretamente l’impostazione dell’Atlante. Tanto che non Asor Rosa, ma Pierluigi Battista si è sentito in dovere di rispondere in difesa dello studioso, contrattaccato in modo tanto basso (e poco utile).
Invece a noi piacerebbe proprio saperli, i perché di affermazioni come quella secondo cui la culla della letteratura italiana si sposterebbe a Nord, con buona pace di un Sud in cui, a quanto ci hanno insegnato fino ad ora, fiorivano componimenti che avrebbero poi costituito la base di una grande letteratura – quella che avremmo poi chiamato ‘italiana’. Ci piacerebbe sapere qual è il filo conduttore dell’abbondante materiale a disposizione del lettore, e ancora di più il pensiero dal quale attingerebbe l’innovativo approccio di Luzzatto e Pedullà. Lo vorremmo perché pensiamo che un intellettuale, se è davvero tale, abbia un preciso dovere, in primis, nei confronti della propria comunità di appartenenza: quello di argomentare ciò che sostiene, in particolare se egli si esprime in un’opera che pretende di rispecchiare il passato, e quindi il presente, della cultura – e quindi dell’anima – di un intero Paese.