L’archetipo, il punto di appoggio di molta arte considerata provocatoria del XX secolo è il lavoro di Marcel Duchamp, in particolare i suoi readymade. Il suo erede forse più illustre è un (non) musicista come John Cage. Fra parentesi, due persone dall’indole molto lontana da quella stereotipata del provocatore, impertinente ed eccessivo. Persone pacate, serene, dalla vita privata normale (un essere destinato alla contentezza si autodefiniva Cage), entrambe profondamente dedite a un gioco lento, pensoso e introverso come gli scacchi.
“Ma non è arte!”, si sente dire. “Non è un musicista”, mi son sentito dire tante volte a proposito di Cage dai colleghi musicisti. Voci dello sconcerto e della perplessità di fronte a uno scolabottiglie esposto in galleria o alla sintonizzazione casuale di una radio proposta in una sala concerti. Una cosa che irrita moltissimo è la totale rinuncia alla necessità di abilità tecniche. In alcune opere di Cage e Duchamp la tecnica richiesta (l’arte come mestiere) è pari a zero e questo risulta a volte insopportabile a chi ha dedicato tante energie all’acquisizione di un’abilità.
Ma le grandi forme dell’intuizione e della creatività si ribellano alle definizioni… per definizione. Senza voler prendere in considerazione l’effetto van Gogh (cui ho fatto riferimento nel precedente intervento), che ci dovrebbe sempre indurre alla cautela, delimitare precisi confini a proposito di opere-idee di questo tipo significa lasciarsene sfuggire un tratto essenziale: il loro dire sempre altro proprio nella loro intenzione di non rappresentare nulla.
Inoltre, nel Novecento, le reti si smagliano, i confini tra i saperi diventano incerti, le acque si mescolano. Non si possono leggere le esperienze di Duchamp o di Cage con le categorie proprie delle arti figurative o della musica. Gli spazi di pensiero aperti sono più ampi dell’area della singola arte. Ancora una volta l’arte deborda, diventa più di se stessa. Se si vuole criticare Cage con gli strumenti dell’analisi musicale, semplicemente si adopera uno strumento inadatto per quel compito. Se lo si ascolta con le stesse orecchie con cui si ascolta Shönberg sarà muto. Se si guarda Duchamp con gli stessi occhi con cui si guarda Picasso cosa può dire?
Ad ogni modo la grande forma dell’intuizione e della creatività, così come sguiscia a ogni tentativo di definizione, può essere anche molto generosa nell’accettarlo. Quindi va bene: il readymade di Duchamp non è arte! Non è del tutto corretto ma assumiamolo, così si sgombra il campo da un equivoco. Perché non considerarlo “solo” pensiero condotto con strumenti diversi dal linguaggio della parola? Se inteso in questo modo vale forse meno? Si tratta di misurarsi con l’essenza della cosa, non con il suo rientrare o meno in una casella.
“… Volevo far sì che la pittura servisse ai miei scopi e volevo allontanarmi dal suo lato fisico. A me interessavano le idee, non soltanto i prodotti visivi. Volevo riportare la pittura al servizio della mente […] Di fatto fino a cento anni fa tutta la pittura era stata letteraria o religiosa: era stata tutta al servizio della mente. Durante il secolo scorso questa caratteristica si era persa poco a poco. Quanto più fascino sensuale offriva un quadro – quanto più era animale – tanto più era apprezzato.
La pittura non dovrebbe essere solamente retinica o visiva; dovrebbe aver a che fare con la materia grigia della nostra comprensione invece di essere puramente visiva […] Per approccio retinico intendo il piacere estetico che dipende quasi esclusivamente dalla sensibilità della retina senza alcuna interpretazione ausiliaria.
Gli ultimi cento anni sono stati retinici. Sono stati retinici perfino i cubisti. I surrealisti hanno tentato di liberarsi da questo e anche i dadaisti, da principio. […] Io ero talmente conscio dell’aspetto retinico della pittura che, personalmente, volevo trovare un altro filone da esplorare.” (Duchamp)
Il readymade di Duchamp non è un’operazione estetica, ma una riflessione filosofica espressa in forma intuitiva, sintetica, “artistica”. Duchamp ha aperto una voragine che ha dato origine a quella che è forse la più profonda riflessione mai condotta sull’arte. Il colpo di genio è che questo non è stato ottenuto ponendo le questioni per mezzo del linguaggio verbale, ma usando le pratiche dell’arte stessa, e questo lavoro dall’interno ne ha moltiplicato immensamente gli effetti. Curioso notare che il famoso “Orinatoio” sia stato visto dal vero da poche decine di persone, non è mai stato esposto ed è stato velocemente disperso (quelle che si vedono in importanti musei sono delle repliche). Quella che è stata probabilmente la più influente opera del XX secolo… non esiste!!!
L’uomo non insegue la bellezza, ma la verità. La bellezza può essere guida per l’incapacitazione (almeno a me la bellezza estrema fa questo effetto: in arte Canova, Raffaello…). L’incapacitazione può essere guida per la verità. Il lavoro di Duchamp e Cage non guida alla bellezza o alla poesia. E nemmeno all’assurdo, allo spaesante, al disgustoso o all’angosciante di tanta arte del Novecento. Ad arte, l’arte di Duchamp e Cage non fa nulla, non rappresenta nulla, non evoca nulla, solo mostra. Nell’operazione del mostrare, questa arte da nulla rivela di tenere implicitamente in grande considerazione il nulla. E incapacita.
Qui mi fermo perché spulciando sul Web ho scoperto casualmente un testo in cui il significato del lavoro di Duchamp viene esposto con una chiarezza ed efficacia alle quali non riuscirei neanche lontanamente ad avvicinarmi. Passo quindi la parola. Mi ha sbalordito quanto l’autore sia vicino alla filosofia del mio maestro, Franco Bertossa, e a quanto io stesso, grazie a lui, abbia scoperto tramite la meditazione e l’autoindagine. L’opera dei grandi, a volte, rivolta le epoche, altre volte è troppo per essere capita: magari s’infratta come un fiume sotterraneo per poi riemergere a distanza. Altre volte ancora deposita importanti e influenti precipitati che condizionano le generazioni a venire, che ne rimangono affascinate e soggiogate, ma non sempre penetrandone lucidamente e consapevolmente i contenuti. Dopo un secolo il lavoro di Duchamp è considerato molto importante, ma non credo sia stato granché capito. Sicuramente fa eccezione lo scritto su Duchamp, che verrà pubblicato nella terza ed ultima parte di questo intervento.
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