Sophie, fisica sperimentale moderna, Ferdinand, fisico teorico classico e Augustin, un appassionato di scienze naturali, amico di entrambi, insieme in caffetteria.
Sophie: Incredibile come passa il tempo! E’ già trascorso un anno da quando siamo stati qui l’ultima volta. Ma Venezia è sempre bella, in modo particolare ora, a novembre.
Ferdinand: In realtà nell’ultimo anno è successo molto e al contempo niente.
Augustin: Voi fisici! Sempre con queste doppie asserzioni che si contraddicono l’un l’altra. Ma come si può solo sopportare di avere cose simili in testa?
Ferdinand: Ci si abitua evidentemente col tempo. O è rassegnazione?
Sophie: Ogni asserzione alla fine però deve essere chiara e inequivocabile e deve poter essere verificata con un qualsiasi modello.
Augustin: Ecco! Che ne è dunque dell’asserzione che il tempo trascorre in modo così veloce? Come posso verificare questa affermazione? Come posso poi sapere se il tempo passa velocemente o lentamente?
Sophie: Qui hai colto nel segno, Augustin. Naturalmente una tale affermazione per me, in quanto fisica, è senza senso. Il tempo non passa velocemente o lentamente. Passa semplicemente.
Augustin: A volte però sembra che il tempo passi davvero velocemente. Purtroppo questo succede proprio in quei momenti in cui uno si sente particolarmente bene. D’altra parte, se qualcosa ci dà ai nervi o ci dà fastidio, il tempo trascorre molto lentamente.
Ferdinand: Questa è solo la tua sensazione soggettiva. Se tu misurassi il tempo con un orologio, verificheresti che una tale affermazione è senza senso.
Ferdinand: Evidentemente succede che le circostanze che determinano una percezione soggettiva del tempo si svolgono in realtà ad una velocità differente. Questo dipende probabilmente da quanta informazione deve essere di volta in volta elaborata e dalla natura di questa informazione.
Nella fisica abbiamo però imparato a definire il tempo attraverso processi che si svolgono con precisione e che si ripetono.
Ferdinand: Giusto, è ciò che intendevo. Per misurare il tempo, dobbiamo scegliere processi che si svolgono possibilmente in modo regolare e si ripetono con periodicità. In origine, ovviamente, questi processi erano il movimento degli astri, cioè l’anno e il giorno. Poi si è passati a procedimenti meccanici che si ripetono periodicamente, come per esempio il tocco del pendolo in una pendola o l’oscillazione del bilanciere in un orologio da tasca o da polso. Ed oggi per l’esatta misurazione del tempo si usa l’oscillazione periodica delle transizioni atomiche in un orologio atomico.
Augustin: D’accordo, ma come si combinano l’uno con l’altro questi diversi processi periodici dal punto di vista astronomico-meccanico-atomico?
Sophie: Questa è proprio una domanda interessante. E’ noto che ogni passaggio ad un sistema di misurazione più preciso comporti automaticamente il fatto che noi possiamo verificare le imprecisioni in anticipo.
Augustin: E cosa mi garantisce che un determinato processo che io scelgo come orologio sia di fatto proprio così periodico?
Sophie: Anche questa è una domanda molto profonda. In definitiva ciò può accadere solo paragonando fra loro diversi orologi e riferendosi anche a leggi di natura riconosciute come valide.
Augustin: Se prescindiamo da questo, il tempo allora scorre dappertutto in modo regolare e da sé.
Ferdinand: Questa era la vecchia concezione a partire da Newton, prima della teoria della relatività. Allora si riteneva che esistessero un tempo assoluto e uno spazio assoluto. Da un punto di vista un po’ naïf, lo spazio sembra un palcoscenico sul quale si svolge tutto e il tempo sembra scorrere in modo uniforme e inesorabile. Albert Einstein, e in realtà già prima di lui Ernst Mach, ha riconosciuto che l’ipotesi di un tempo e di uno spazio assoluti non siano giustificabili da nulla.
Sophie: Einstein ha fatto un grande passo in avanti, assumendo che possiamo parlare di spazio o di tempo solo se misuriamo entrambi in modo corrispondente. Questo significa che il tempo è ciò che viene misurato con degli orologi e lo spazio è ciò che misuriamo con degli strumenti di misura. Si tratta, quindi, di rapporti relativi tra ciò che è misurato e lo standard di misurazione. E se, per esempio, si modificano tutti i termini temporali, compreso l’orologio, non appena passiamo da un sistema ad un altro questo cambiamento di tempo non si noterà.
Augustin: Però ho sentito una volta dire che un gemello che parte con una astronave veloce può essere più giovane, quando torna, del fratello rimasto qui. Dunque si può allora misurare il diverso scorrere del tempo?
Ferdinand: Ma questo non vale per il gemello solo finché lui non guarda fuori dalla sua astronave. Quando entra nell’ astronave e parte, il tempo gli passa in modo del tutto uniforme e non nota alcuna differenza. In altre parole: secondo Einstein è possibile che processi temporali diventino più lenti quando, come nel caso del gemello, tutti i processi diventano corrispondentemente più lenti, anche l’orologio. Allora per l’astronauta non è possibile percepire nessuna differenza.
Augustin: Ma quando guarda fuori, noterà ben che gli avvenimenti sulla terra – che è stata lasciata indietro – si svolgono molto più velocemente.
Sophie: Al contrario. Dal punto di vista dell’astronauta, gli avvenimenti sulla terra appaiono più lenti e allo stesso modo, visti dalla terra, gli avvenimenti sulla nave spaziale.
Augustin: Ma non può essere! Come è possibile che, visto dalla terra, il tempo scorra più lentamente all’astronauta e, visto dall’astronauta, accada lo stesso sulla terra? E perché poi l’astronauta quando ritorna è più giovane?
Ferdinand: Questo è in relazione con il fatto che lui si trova in un così detto sistema inerziale. E’ semplice da chiarire: un sistema inerziale si presenta quando io non percepisco alcuna forza inerziale. Nel momento in cui però l’astronauta percepisce la forza inerziale, quando vira e viaggia verso casa, il sistema navigazione spaziale e il sistema terra non sono uguali, essi non sono equivalenti e questo in ultima analisi significa che, quando fa ritorno, l’astronauta è più giovane dei suoi compagni di classe.
Sophie: Con lo spazio è la stessa cosa. La lunghezza di un percorso è diversa per un astronauta e per le persone sulla terra. Tanto per loro quanto per lui, il percorso sembra di volta in volta all’altro più breve mentre ciascuno per sé stesso non se ne accorge perché contemporaneamente ad ogni distanza le scale di misurazione diventano più brevi.
Augustin: Anche questo lo posso solo accettare così come me lo dite. Ma da dove viene questo comportamento singolare? Come si può comprendere?
Ferdinand: Già, questa è una domanda non da poco. Esiste un ragionevole principio di base a cui può essere ricondotta.
Augustin: Non riesco ad immaginarmi che una cosa così complessa possa essere una derivazione di idee semplici.
Sophie: E’ proprio questa la cosa avvincente nello sviluppo della fisica moderna. Per quanto un fenomeno possa apparire complicato – la struttura che vi soggiace è spesso estremamente semplice e, in fin dei conti, bella. Ciò che abbiamo finora discusso sullo spazio e sul tempo sono le asserzioni centrali della teoria della relatività di Einstein, che si fondano su assunzioni di base assai semplici.
Ferdinand: Proprio così semplice non è. Le idee di base della teoria della relatività speciale, che d’altronde si chiama così, in quanto Einstein successivamente propose anche una teoria della relatività generale, è assai semplice. Si tratta dell’ipotesi che tutte le leggi fisiche debbano essere uguali in tutti i sistemi inerziali.
Ferdinand: Capisco che questo possa essere un po’ troppo tutto in una volta. Un sistema inerziale è un sistema che si muove in modo tale che lì non si avverte alcuna forza d‘inerzia. Forze d’inerzia si presentano per esempio quando accelero oppure viaggio in curva. Un esempio di sistema inerziale, invece, può essere un aereo che vola tranquillamente.
Sophie: La ragione più profonda di questo principio è il fatto che non esiste nessuna possibilità di stabilire se io mi trovo in un sistema che è in stato di quiete o in uno che si muove a velocità costante. Da un aereo che vola veloce, una pietra cadrà altrettanto perpendicolarmente come da un aereo fermo. Deve essere dunque garantito dalla regola delle leggi di natura che all’interno di un sistema inerziale tutti i processi scorrono simultaneamente, a prescindere da quanto velocemente il sistema inerziale si muova.
Augustin: E questo è sufficiente per sostenere la teoria della relatività?
Ferdinand: No, è necessaria anche la costante della velocità della luce. Questo significa che la velocità della luce calcolata è indipendente dal fatto che la fonte della luce si muova o meno. E poiché velocità è spazio percorso diviso per il tempo trascorso, questa sta in relazione diretta con la questione che abbiamo appena discusso della misurazione della distanza, vale a dire della direzione e del tempo.
Sophie: Per me la costanza della velocità della luce è già una conseguenza del principio della relatività. Secondo Maxwell la velocità della luce può essere espressa proprio dalle costanti del campo elettromagnetico. E poiché queste devono essere uguali nei diversi sistemi di riferimento, anche la velocità della luce deve essere uguale.
Ferdinand: A questo punto ritengo che tu stia sorpassando i limiti, ma comunque è pur sempre un’ idea originale.
Sophie: Per me il progresso essenziale sotto il profilo concettuale è che non si possa parlare in termini assoluti di qualcosa che presa in sé e per sé possegga una qualsiasi proprietà, bensì si possa parlare solo in riferimento a ciò che viene misurato, a quello che si può osservare. Questo vale in particolare per la fisica dei quanti, dove persino l’esistenza delle cose e le loro proprietà dipendono dal fatto che qualcuno le osservi e da come le si osservi.
Ferdinand: Ora stai di nuovo esagerando. Non vorrai mettere in dubbio l’esistenza del mondo, specialmente l’esistenza del mondo di milioni d’anni fa? Allora non c’era ancora nessun osservatore.
Sophie: Ma oggi ci sono degli osservatori che osservano il mondo di allora a partire dall’evidenza che è ancora presente. Un osservatore non deve necessariamente esistere contemporaneamente alla cosa osservata.
Augustin: Si dice che Einstein abbia chiesto una volta a Niels Bohr se davvero credesse che la luna sia qua se nessuno la guarda. Così avanti non vorremmo proprio andare. Ma cosa intendi con evidenza, Sophie?
Sophie: Anche questo riconduce ad Einstein, più precisamente al suo lavoro con Boris Podolski e Nathan Rose nel 1935. Qui Einstein esaminò per la prima volta sistemi che Erwin Schrödinger più tardi ha definito “intrecciati” (entangled).
Ferdinand: Queste parole vengono sempre imputate ad Einstein, tuttavia non è chiaro se egli effettivamente le abbia pronunciate. Tuttavia descrivono assai bene il suo atteggiamento da “realista locale”. Un realista locale assume che a) la cosa esiste indipendentemente dalla nostra osservazione e b) che le proprietà che io qui ed ora osservo sono indipendenti da quello che qualcun altro in un luogo remoto fa nello stesso istante. Proprio queste assunzioni sono compromesse dai sistemi incrociati (entangled).
Sophie: Consideriamo per esempio due particelle per le quali debba valere la condizione di provenire da una comune sorgente e di essere intrecciate (entangled). Questo significa che prima della misurazione relativamente alle proprietà, là dove i sistemi sono intrecciati, le particelle non posseggono alcun stato ben definito. Con la misurazione di una particella si induce questa ad assumere spontaneamente uno stato che è puramente casuale – senza cause occulte.
Nondimeno anche la seconda particella assumerà istantaneamente, vale a dire senza ritardi temporali, uno stato ben definito stabilito dal risultato ottenuto per la prima particella. Questa è un conseguenza dell’intreccio.
Augustin: Come si presenta questo stato ben definito della seconda particella?
Ferdinand: Dipende dal tipo di intreccio. Prendiamo come caso semplice due fotoni, vale a dire due particelle luminose, la cui polarizzazione può essere intrecciata. In questo caso sussiste una possibilità assai semplice, che entrambi i fotoni posseggano sempre la stessa polarizzazione.
Augustin: E’ anche molto facile da comprendere poiché entrambi sono stati prodotti alla sorgente dalla medesima polarizzazione.
Sophie: E’ proprio questa spiegazione che non funziona. Nessuno dei due fotoni possiede una polarizzazione, prima di essere misurato.
Ferdinand: Questa è il cuore del teorema di Bell. Il fisico irlandese John Bell nel 1964 ha dimostrato che proprio l’ipotesi secondo la quale i due fotoni posseggono già una polarizzazione, prima di essere misurati, contraddice le previsioni della fisica dei quanti. Vale a dire, egli ha ipotizzato – addirittura anche più in generale – che le particelle trasportino una qualche proprietà nascosta che stabilisce quale polarizzazione avranno nel caso in cui esse siano misurate. Egli ha poi dimostrato che un simile modello per misurazioni ben definite delle due particelle s’imbatte in previsioni le quali cadono in contraddizione con la fisica quantistica.
Sophie: E cioè, che queste misurazioni hanno luogo lungo direzioni non parallele. Ora la cosa interessante è che esperimenti condotti a partire dagli anni ’70 contraddicono inequivocabilmente il modello del realismo locale e riproducono chiaramente la teoria dei quanti.
Augustin: Non si può spiegare in maniera ancora più semplice?
Sophie: La cosa migliore è riferirsi all’esempio dei gemelli identici. Essi sono proprio uguali a partire da ogni loro caratteristica. Ora la cosa rilevante è che questo fatto ha una causa e una spiegazione realistica locale semplice. Entrambi sono portatori delle stesse informazioni ereditarie. Sono stati partoriti con le stesse precise informazioni genetiche. Sono questi geni che fissano dunque le proprietà. E questo è uno scenario locale, in quanto le caratteristiche di uno dei gemelli sono indipendenti dal tipo di osservazione che viene condotta sul secondo gemello. Questa ipotesi ci sembra talmente ovvia che di solito non viene ritenuta degna di menzione. Se però i nostri gemelli sono particelle quantistiche intrecciate, la natura non si ferma qua.
Sophie: Per favore, nessuna conclusione prematura. Nella dimostrazione di John Bell concorrono più ipotesi, fra cui la località è solo una di queste. Altrettanto colpevole potrebbe essere il nostro concetto di realtà: vale a dire l’ipotesi che esista una realtà con tutte le sue proprietà indipendentemente dal fatto che noi la osserviamo o meno.
Augustin: Quindi la fisica non è nemmeno in grado di dire dove stia il problema!
Sophie: Il problema sta nella natura del nostro modo di procedere. In generale in una dimostrazione o in una catena di dimostrazioni concorrono più ipotesi di base ed è difficile identificare quale di esse non sia valida nel caso in cui la dimostrazione si riveli errata – nel nostro caso dunque il teorema di Bell.
Ferdinand: Qui però inerviene anche il teorema di Kochen-Specker.
Secondo questo teorema, in situazioni di sufficiente complessità, non è possibile per principio imputare nello stesso tempo un valore a tutti i differenti risultati, che possono presentarsi misurando un sistema, senza che questo conduca a contraddizioni. Questo vale – cosa assai importante – per grandezze che possono essere misurate simultaneamente, che quindi – per dirla con il linguaggio della fisica quantisica – commutano reciprocamente.
Sophie: Secondo me alla fin fine tutto questo dimostra che il nostro concetto di realtà si trova in difficoltà, e che dovremmo parlare di proprietà della realtà solo quando queste proprietà vengono osservate effettivamente. Di più: quando io, come fisica, conduco un esperimento, sono io che determino, con la scelta degli strumenti di misurazione, quale proprietà può diventare realtà nella misurazione.
Ferdinand: Questo è troppo. Noi anzi abbiamo una realtà compiutamente determinata, proprio quella dello stato della fisica dei quanti. Ed esso per di più si sviluppa in modo perfettamente deterministico secondo l’equazione di Schroedinger così come sta scritta sulla sua magnifica croce tombale in ferro battuto ad Alpbach.
Sophie: Ma cos’è questo stato fisico-quantistico? Cos’è la funzione Psi? Secondo la mia opinione essa non descrive la realtà, ma contiene soltanto enunciazioni di probabilità su possibili risultati di misurazione. E cosa sono risultati di misurazione? Non sono altro che enunciazioni riguardo a strumenti di misurazione che possiamo osservare, dunque caratteristiche di oggetti classici, come per esempio la posizione di un indicatore.
Ferdinand: Ma tu non vorresti accordare alcuna realtà alla funzione Psi!
Sophie: Essa esiste solo nelle nostre teste, ha realtà esclusivamente nel senso che ho appena detto. E’ solo una rappresentazione.
Augustin: Ora questo è troppo. Ma sicuramente oggi noi non potremo risolvere queste domande filosofiche. Queste domande hanno un qualche significato pratico?
Ferdinand: Con mia grande sorpresa negli ultimi anni si è stabilito che l’intreccio (entanglement) non è solo una curiosità filosofica, ma possiede concreta applicazione nel campo del computer quantistico e in quello del teletrasporto.
Ferdinand: Ora non ci interessa occuparci del teletrasporto (das Beamen), poiché si perviene molto facilmente a fraintendimenti. In realtà il teletrasporto quantistico è ancora molto più interessante. Si possono trasportare tutte le proprietà di una particella su un’altra, che in linea di massima può essere molto distante, a piacere. Ciò succede per mezzo dell’intreccio. Si prende una coppia intrecciata, si invia una delle due particelle ad Alice e l’altra a Bob. Inoltre Alice ha ancora la particella originaria che intende teletrasportare. Intreccia ora le due particelle, che sono in suo possesso: la particella originaria e la sua compagna della coppia intrecciata. Tutte le proprietà dell’originale vengono trasportate istantaneamente, dunque senza alcuno scarto temporale, alla compagna della coppia intrecciata di Bob.
Augustin: Dunque allora non viene assolutamente trasportato l’originale!
Sophie: Sì, viene trasportata l’informazione che l’originale porta. Ma si può argomentare con il fatto che è proprio l’informazione il dato essenziale. Essa determina come gli atomi sono disposti in un oggetto e questa informazione contraddistingue precisamente l’originale, in quanto assolutamente singolare, in contrapposizione ad un altro originale.
Sophie: Non proprio. Per il fatto che Alice intreccia l’originale, esso perde tutte le sue caratteristiche individuali, perde la sua identità. Nella fisica quantistica del resto il clone è impossibile per principio.
Augustin: Ma per quale via l’informazione trasportata si rimette a posto?
Ferdinand: Questo è veramente interessante. Le due particelle intrecciate, quella presso Alice e l’altra presso Bob, formano proprio il canale quantistico, sul quale l’informazione viene trasportata. Dunque nel momento del trasporto non si dà alcun congiungimento!
Augustin: Mi ricordo, che nell’universo la velocità limite è quella della luce. Tu però hai appena detto che nel teletrasporto le proprietà sono trasferite istantaneamente, dunque senza ritardo. Allora evidentemente qui Einstein non aveva ragione.
Ferdinand: Non è così semplice. Prima ho tralasciato qualcosa di importante. Alice può certamente intrecciare le sue due particelle, ma il modo dell’intreccio, che qui si produce, non è chiaro. Negli esperimenti condotti fino ad ora, nei quali viene trasmessa la polarizzazione dei fotoni, si danno quattro diverse modalità di intreccio dell’originale da parte di Alice. Lei non può esercitare alcuna influenza su quale delle quattro modalità si produca. In ognuna delle quattro possibilità viene certamente trasportato lo stato dell’originale a Bob, ma lui – senza sapere quale delle quattro possibilità sia stata messa in atto da Alice – può non decifrare l’informazione. E la notizia in merito a ciò può giungere a destinazione presso Bob al massimo alla velocità della luce. Nessun problema dunque con Einstein.
Sophie: Io la vedo ancora in un altro modo. Non vorrei più parlare di trasmissione di informazione da Alice a Bob. In fin dei conti la misurazione dell’intreccio condotta da Alice cambia ciò che può essere detto riguardo alla complessiva situazione sperimentale. E la complessiva situazione sperimentale include proprio anche la particella molto lontana di Bob.
Augustin: A questo punto purtroppo devo passare la mano, per me diventa troppo astratto. Ma parlando di distanza: a quale distanza si può già dare il teletrasporto quantistico?
Sophie: Il nostro attuale record è di circa 400 metri. E’ accaduto in un esperimento, nel quale lo stato di un fotone è stato trasportato da una riva del Danubio ad un altro che stava sulla riva opposta del fiume. Ma possiamo sicuramente aspettarci di poter fare un giorno anche l’esperienza del teletrasporto dello stato di un fotone ad un altro situato su un satellite in orbita terrestre oppure del teletrasporto via satellite tra due punti molto lontani l’uno dall’altro sulla terra.
Augustin: Questo mi sembra proprio bello, ma perché dovrebbe essere anche buono?
Ferdinand: In ultimo ne va del fatto che un giorno probabilmente ci possano essere computer quantistici. L’output di un simile computer quantistico sarà uno stato quantistico, che in molti casi potrebbe alimentare a sua volta in quanto input un altro computer quantistico. Il teletrasporto quantistico sarebbe inoltre proprio un metodo ideale riguardo a ciò.
Sophie: Qualunque cosa derivi da queste applicazioni – domande relative all’indagine sui fondamenti a questo punto sono come minimo altrettanto interessanti. Sarebbe meraviglioso, un giorno, poter dimostrare che due particelle, anche se sono lontane l’una dall’altra migliaia di chilometri, possano intrecciarsi l’una con l’altra. Due particelle intrecciate, indipendentemente da quanto esse siano lontane l’una dall’altra, formano come prima un’unità.
Augustin: Questo però mette in discussione la nostra idea di tempo e spazio, quell’idea che discutevamo all’inizio.
Ferdinand: Si può dire anche che le correlazioni osservate tra due – o anche più – particelle intrecciate, siano completamente indipendenti dal relativo ordinamento spazio-temporale, nel quale sono effettuate le misurazioni sulle particelle individuali. E proprio poiché viene anche escluso uno scenario locale realistico, potrebbe essere che l’intreccio ci racconti qualcosa sull’essenza di spazio e tempo, dunque trasmetta un messaggio, che noi ancora non capiamo.
Sophie: Per me il messaggio significa che l’informazione è più importante della realtà. O più esattamente: realtà e informazione sono inscindibilmente congiunte l’una con l’altra.
Augustin: Ora però sto iniziando a sentire freddo. Facciamo due passi e guardiamoci ancora un po’ attorno.
Traduzione a cura di Manuela Ritte, Daniela Turolla, Elia Tosi, Giorgio Santi
Centro Studi ASIA.
Revisione finale di Anton Zeilinger.
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