di Anton Zeilinger
Physics Faculty, Vienna University, Boltzmanngasse 5, 1090 Vienna, Austria
& IQOQI Institute for Quantum Optics and Quantum Information, Austrian Academy of Sciences, Boltzmanngasse 3, 1090 Vienna, Austria
Abstract
Quando si analizzano le varie interpretazioni della Meccanica Quantistica si nota che ogni interpretazione contiene un elemento che sfugge a una completa ed esauriente descrizione. Questo elemento è sempre associato con la stocasticità del singolo evento nel processo di misura quantistico. Pare che le implicazioni di questo limite a qualsiasi interpretazione del mondo non siano sufficientemente apprezzate, con le notevoli eccezioni, per esempio, di Heisenberg, Pauli e Wheeler. Se assumiamo che un fondamento più profondo della meccanica quantistica sia possibile, sorge la questione circa quali caratteristiche debba avere tale fondamento filosofico. E’ stato suggerito che la casualità oggettiva del singolo evento quantistico sia necessaria per una descrizione del mondo, in considerazione dell’influenza significativa che ha l’osservatore in meccanica quantistica. E’ stato inoltre suggerito che la sobrietà dell’interpretazione di Copenhagen dovrebbe servire da principio guida nella ricerca di una comprensione più profonda.
Negli ultimi anni si è notato un significativo incremento dell’interesse sui fondamenti della Meccanica Quantistica. Tale aumento è certamente in relazione con l’immenso progresso avvenuto durante gli ultimi due decenni negli esperimenti con sistemi quantistici individuali. Questo progresso tecnologico ha reso possibile la realizzazione della maggior parte degli esperimenti mentali (“gedankenexperimente”) che furono così importanti nei primi passi della teoria. Non solo questi esperimenti hanno confermato la teoria in ogni dettaglio: essi hanno anche aperto la strada per nuove direzioni sperimentali che potrebbero un giorno portare anche a nuove tecnologie. Mentre tali applicazioni sono ancora lontane dall’essere realizzate, aree quali la crittografia quantistica[1], la computazione quantistica[2] e le misure senza interazione[3], tanto per nominare alcuni esempi, certamente meritano l’attenzione ricevuta. Tutte queste attività hanno portato anche una maggiore attenzione ai problemi della comprensione e dell’interpretazione della meccanica quantistica. Sembra che in questo ambito un definitivo consenso non sia ancora stato raggiunto. A testimonianza cito autorità come Feynman, quando dice[4]: “Penso di poter dire con una certa sicurezza che nessuno oggi capisce la meccanica quantistica”, in cui apparentemente include anche se stesso, o come Roger Penrose[5], che descrive la sua opinione rimarcando che, mentre la teoria è incredibilmente in accordo con gli esperimenti e mentre è dal punto di vista matematico così profondamente bella, essa “non ha assolutamente senso”.
Perché anche fisici che hanno contribuito così significativamente alla teoria quantistica – Feynman addirittura ebbe il premio Nobel per una delle formulazioni matematiche di tale teoria – hanno scelto frasi così enfatiche e forti? Perché in media i fisici non sono sensibili a tali problematiche durante la loro formazione? Perché la comprensione della teoria, molto spesso, è focalizzata sul formalismo, mentre le questioni che spingono verso un significato più profondo solitamente non vengono affrontate?
Per vedere la situazione più da vicino, facciamo una breve analisi delle interpretazioni della meccanica quantistica. Possiamo notare che ci sono almeno due livelli per interpretare un formalismo, una teoria fisica. Il primo livello, basilare, fornisce le regole per determinare quali elementi del formalismo corrispondono a quali quantità misurabili o a quali fatti osservabili in una concreta situazione sperimentale. Queste regole sono costituite da una larga serie di istruzioni, la maggior parte delle volte non specificata ma solo implicita. Tali istruzioni riguardano il modo di lavorare con le asserzioni della teoria allo scopo di ottenere previsioni per futuri esperimenti o eventi, e le istruzioni sulla base delle quali procedere negli esperimenti per dimostrare o testare una previsione teorica.
Nel caso della meccanica quantistica incontriamo, su questo livello più basso, l’interpretazione statistica introdotta da Born, che io propongo di chiamare interpretazione statistica nel senso più stretto. Essa sostiene che il modulo quadrato della funzione d’onda rappresenta la probabilità per l’osservazione di un certo risultato, per esempio la probabilità di trovare l’elettrone all’interno di un certo volume di spazio. Su questo livello di interpretazione esiste un consenso quasi completo tra i fisici, poiché, come è stato sottolineato prima citando Penrose, le previsioni che possono essere ottenute dalla teoria applicando queste regole combaciano perfettamente con tutti gli esperimenti.
Ci sono, quindi, problemi o difficoltà? Sembra che essi emergano non appena abbiamo a che fare con concetti quali comprendere, significato, o senso. Essi appaiono quando ci chiediamo cosa possa significare la meccanica quantistica per la nostra visione del mondo (Weltanschauung) o anche quando ci facciamo domande dopo esserci chiesti del perché della teoria in un senso molto ampio. A questo livello c’è sicuramente un problema. Propongo di chiamarlo il problema interpretativo della meccanica quantistica nel senso più generale: si tratta di un problema interpretativo ad un metalivello.
Come caso interessante nella storia della fisica vorrei menzionare lo sviluppo della teoria della relatività ristretta di Einstein. Quasi tutte le equazioni relativistiche apparse nell’articolo di Einstein pubblicato nel 1905 erano già conosciute antecedentemente[6], principalmente attraverso Lorentz, Fitzgerald e Poincarè – semplicemente come tentativo d’interpretazione di dati sperimentali. Ma solo Einstein creò i fondamenti concettuali da cui, assieme alla costanza della velocità della luce, scaturirono le equazioni della teoria della relatività. Egli fece questo introducendo il principio di relatività, il quale asserisce che le leggi della fisica devono essere le stesse in tutti i sistemi inerziali. Io sostengo che è proprio l’esistenza di tale principio fondamentale, su cui è costruita la teoria, la ragione per cui noi non vediamo una moltitudine di interpretazioni della teoria della relatività. Noi accettiamo, per esempio, che le equazioni della teoria inevitabilmente implichino che gli orologi avanzino realmente con differenti velocità, come osservato nei sistemi di riferimento che si muovono relativamente l’uno rispetto all’altro, e che questo sia effettivamente un fatto riguardante lo scorrere relativo del tempo in questi sistemi di riferimento.
La situazione è piuttosto differente nel caso della teoria quantistica, in cui non abbiamo un principio generalmente accettato che possa servire da fondamento della teoria. Infatti, a mio parere è proprio questo il motivo per cui coesiste una gran varietà di interpretazioni diverse – in senso più ampio. E’ importante notare che quasi tutte queste interpretazioni sono in accordo per quanto riguarda la previsione di risultati sperimentali ben definiti. Perciò, come è da aspettarsi da una interpretazione nel senso più ampio, non c’è alcun modo – nemmeno nel lungo periodo – di differenziarle sperimentalmente. Per cui, invece di tentare di decidere quale di queste interpretazioni[7] sia quella corretta, proporrei, in questo articolo, di sforzarci di imparare dal fatto che varie interpretazioni coesistono. A questo scopo, ora, parleremo brevemente delle importanti caratteristiche di alcune interpretazioni attualmente esistenti.
Per prima cosa, analizziamo brevemente la formulazione di Bohr della interpretazione di Copenhagen: in questa interpretazione abbiamo a che fare con un fenomeno quantistico, inteso come un’entità unica che comprende sia il sistema quantistico osservato sia l’apparato di misura classico. Quindi non ha alcun senso parlare delle caratteristiche del sistema quantistico in se stesso, senza specificare esplicitamente gli strumenti di misura. E ha ancora meno senso attribuire a un sistema quantistico variabili simultaneamente complementari come posizione o momento, in quanto gli apparati necessari per determinarli si escludono reciprocamente. Per esempio, è fondamentalmente impossibile costruire un apparato che misuri simultaneamente sia la posizione sia il momento con una arbitraria precisione, e perciò richieste di precisi valori simultanei di quantità complementari non hanno alcun senso. Nell’interpretazione di Copenhagen, la funzione d’onda è solo il nostro modo di rappresentarci quella parte della nostra conoscenza della storia di un sistema, la quale è necessaria per calcolare future probabilità di specifici risultati di misure. E si deve sempre tenere conto del fatto che ogni stato è lo stato di un apparato classico con le sue caratteristiche ed i suoi osservabili di tipo classico. Per dare un esempio, nel caso dell’esperimento della doppia fenditura la funzione d’onda permette di calcolare sia la probabilità di trovare l’elettrone mentre passa attraverso una certa fenditura sia la probabilità circa il punto in cui apparirà nello schema d’interferenza, mentre l’osservazione di queste probabilità implica sempre dispositivi sperimentali reciprocamente esclusivi. Una previsione sperimentale che superi questa limitazione non è, per principio, possibile[8]. Così, in particolare, è per principio impossibile predire con certezza sia attraverso quale fenditura passerà l’elettrone sia dove esso apparirà nello schema d’interferenza.
Una posizione opposta viene assunta dall’interpretazione causale o degli ensamble – sto evitando di usare il termine “interpretazione statistica” (in un senso più ampio), poiché questo termine è applicato anche a posizioni piuttosto differenti[9]. L’interpretazione causale originariamente fu proposta da Bohm[10] e da de Broglie[11]. Bohm mantiene esplicitamente le previsioni della meccanica quantistica, mentre de Broglie permetterebbe un cambiamento del formalismo. In questo lavoro io mi riferisco principalmente alla posizione di Bohm. Secondo Bohm, la funzione d’onda supporta un potenziale addizionale – il potenziale d’azione, come lui lo chiamò. Questo potenziale, quando inserito nell’equazione di Hamilton-Jacobi della fisica classica, porta a ben determinate traiettorie delle particelle individuali. Nel caso dell’esperimento della doppia fenditura, per esempio, ogni particella ha una traiettoria ben definita e passa attraverso una delle due fenditure in accordo con questa interpretazione. Lo schema d’interferenza emerge quindi a causa della specifica forma del potenziale d’azione, che agisce in modo tale che pochi cammini finiscano nei minimi d’intensità della figura d’interferenza piuttosto che nei massimi. Questa interpretazione ci permette perciò – al contrario dell’interpretazione di Copenhagen – di parlare del cammino della particella anche in quei casi in cui il dispositivo sperimentale è strutturato per rivelare la figura d’interferenza. E’ importante notare che ciò è collegato con la fondamentale impossibilità di controllare le condizioni iniziali. E’ perciò, per principio, impossibile selezionare una specifica traiettoria per la particella attraverso un restringimento della fenditura di entrata, perché qualsiasi cambiamento delle condizioni al contorno determina un cambiamento nel potenziale d’azione e di conseguenza una serie completamente nuova di possibili traiettorie. E’ perciò impossibile dimostrare la validità dell’assunzione che sta a fondamento dell’interpretazione di de Broglie-Bohm, cioè che una particella ha una traiettoria caratteristica.
Un’altra interpretazione, piuttosto differente, è l’interpretazione dello stato relativo[12] di Everett, che abitualmente viene chiamata interpretazione dei molti mondi (Many-Worlds Interpretation). In essa tutte le ramificazioni della funzione d’onda esistono nello stesso tempo, motivo per cui viene asserito che non avviene alcun collasso della funzione d’onda. Questa interpretazione sostiene che c’è una scissione dell’universo nelle ramificazioni individuali, per mezzo del quale in ognuna di queste ramificazioni viene realizzato un componente della funzione d’onda. Di conseguenza viene asserito che l’osservatore, pure, esiste in ogni ramo in uno stato differente ed è perciò anch’esso scisso. Il concreto “io”, la mia consapevolezza, è hic et nunc in uno stato ben definito e quindi può essere trovato in una certa ramificazione dell’universo, in quello in cui solo uno, vale a dire uno particolare dei possibili risultati di uno specifico processo di misura individuale può essere realizzato. L’interpretazione dei molti mondi è tuttavia fondamentalmente incapace di prevedere in quale ramificazione posso fare esperienza di ritrovarmi. L’asserzione che l’osservatore coesiste in molti stati differenti è intrinsecamente non verificabile.
Questa breve e sintetica comparazione di tre differenti interpretazioni[13], che portano alle stesse previsioni sperimentali, ci dice cose differenti. Primo, che i fisici apparentemente sono stati dotati di un’immaginazione creativa. Secondo, che in una interpretazione è possibile connettere una quantità con una caratteristica ontica – cioè l’esistenza -, mentre ciò è semplicemente negato nell’altra interpretazione. Per esempio, l’interpretazione di deBroglie-Bohm associa a ogni singola particella sia un momento ben definito che una posizione ben definita in ogni istante. Come altro esempio, l’interpretazione di Everett parla dell’eguale esistenza di tutti i risultati possibili di un processo di misura. Entrambi gli esempi hanno a che fare con assunzioni che sono nettamente rigettate dalle altre interpretazioni menzionate. Terzo, e più importante, ogni interpretazione, per lo meno, lascia inspiegato un elemento. Cioè, ogni interpretazione fallisce quando tenta una descrizione completa di un singolo evento. Si deve far notare che anche due più recenti interpretazioni, l’interpretazione Transazionale[14] e l’interpretazione a Storie Consistenti[15] condividono questa caratteristica di inspiegabilità del singolo evento. Nell’interpretazione Transazionale il vettore di stato viene considerato un’onda fisica reale emessa come un’ “onda di offerta” basata sulla procedura di preparazione dell’esperimento. L’interazione quindi completa il fenomeno attraverso l’emissione di un’ “onda di conferma”, termine con cui abitualmente si chiama il collasso della funzione d’onda. La particella quantistica, per es. il fotone, l’elettrone ecc., quindi viene considerata essere identica alla transizione finale. In questa interpretazione è fondamentale il fatto che la conclusione della transizione avviene in corrispondenza di un non spiegato input al processo. Nell’interpretazione a Storie Consistenti abbiamo una situazione simile perché anche in essa l’evento osservato è un input fondamentale, nel senso che determina la gamma di possibili storie consistenti con l’osservazione fatta. Non viene fatto alcun tentativo di spiegare perché un evento specifico accade in aggiunta sulla base delle storie consistenti che sono state costruite per essere consistenti con l’evento osservato.
Abbiamo così osservato nella nostra breve discussione che il singolo evento ha un ruolo veramente specifico in meccanica quantistica. Mentre questa è una caratteristica naturale dell’interpretazione di Copenhagen, essa resiste a ogni tentativo di spiegazione nelle altre interpretazioni in un modo che và al di là anche della piena soddisfazione dei requisiti della consistenza. Deve essere così, poiché il formalismo della meccanica quantistica non fornisce affatto un punto di partenza alla descrizione del singolo evento e tutte le interpretazioni menzionate fanno riferimento allo stesso formalismo. Con la nota eccezione di un sistema quantistico in un autostato dell’osservabile scelta, la meccanica quantistica fa previsioni solo riguardo a un insieme di molti eventi singoli. Queste sono previsioni molto precise circa la media dei risultati di misure aspettati, circa la loro distribuzione e i loro errori statistici. Il problema della misura può essere per lo meno distinto in due parti. Primo, la spiegazione del perché in una matrice di densità gli elementi esterni alla diagonale spariscono e, secondariamente, la spiegazione di quale evento nel sistema della matrice di densità diagonale è osservato in un esperimento. Mentre ci sono stati considerevoli progressi negli ultimi anni per quanto riguarda la prima questione[16], è risaputo che la seconda questione non trova una risposta all’interno della meccanica quantistica lineare. Quindi pare che la meccanica quantistica non sia in grado di “spiegare perché eventi (specifici) accadono”, come messo in luce da John Bell[17]. Ancora per dare un esempio specifico non è in alcun modo possibile prevedere attraverso quale fenditura passerà una particella quando incontra un sistema a doppia fenditura.
Il desiderio di spiegare perché uno specifico evento accade ha portato a numerosi tentativi di riformulare la meccanica quantistica, in modo tale da renderla consistente con osservazioni esistenti e con il mondo classico che emerge da essa. Uno dei primi tentativi fatto da Bialynicki-Birula e Mycielski[18] sostiene la necessità di introdurre un termine non lineare nell’equazione di Schrödinger, che impedisce ai pacchetti d’onda di distribuirsi al di là di ogni limite. Esperimenti con neutroni[19] sono rientrati in limiti superiori per un possibile termine non lineare di quel tipo così piccoli, che qualche caratteristica quantistica rimarrebbe in un mondo macroscopico, contrariamente alle intenzioni iniziali dei proponenti. Un’altra proposta per una variante non lineare[20] ha mostrato[21] di rendere possibile la comunicazione superluminale sfruttando correlazioni Einstein-Podolsky-Rosen tra due particelle. Infine, il cosiddetto programma di riduzione dinamica deve essere menzionato per aver proposto di aggiungere all’evoluzione lineare dell’equazione di Schrödinger un processo non lineare e stocastico che porterebbe ad un meccanismo per la riduzione del pacchetto d’onda nel singolo processo di misura e che esclude la sovrapposizione di stati macroscopicamente distinguibili. L’enorme progresso sperimentale che sta avvenendo nella precisione della fisica atomica deve indurre ad aspettarci che nel giro di pochi anni avremo esperimenti definitivi sulle proposte modificazioni non lineari della meccanica quantistica e non ho alcun dubbio su quali saranno i risultati di tali esperimenti.
Questa impossibilità di prevedere il singolo evento, nel senso che non è possibile, nemmeno all’inizio, arrivare ad un’accurata e dettagliata previsione e descrizione del particolare processo che porta a un particolare evento, appare abbastanza presto nel corso dello sviluppo della meccanica quantistica. E fu sùbito elevato a principio fondamentale proprio nel senso che è generalmente accettata la natura puramente statistica delle previsioni della meccanica quantistica. Guardando alla storia della scienza, questo è uno straordinario conseguimento, poiché solo con il teorema di Bell è divenuto possibile escludere fin da subito una descrizione più dettagliata, che per essere in ragionevole accordo con il senso comune, deve ovviamente essere locale. Tale descrizione sarebbe stata per lo meno immaginabile in precedenza. La tendenza generale della maggior parte dei fisici dell’epoca, tuttavia, era la convinzione che una descrizione più dettagliata, ma che – per quanto potenzialmente interessante – non potesse essere verificata, fosse irrilevante quanto, secondo Pauli, l’antica questione di quanti angeli possano stare sulla punta di uno spillo.
Io propongo che questa impossibilità di descrivere in modo completo il singolo processo casuale all’interno della meccanica quantistica sia una fondamentale limitazione del programma della scienza moderna di arrivare ad una descrizione del mondo in ogni suo dettaglio. In altre parole, propongo che questo fatto sia evidenza di un elemento nella descrizione della natura che sfugge a una razionale e dettagliata dissezione nelle parti costituenti.
E’ notevole il fatto che il problema associato con il singolo processo in meccanica quantistica non abbia trovato pressoché accoglienza nella visione del mondo (Weltanschauung) dei fisici. In generale, l’impossibilità di descrivere il singolo processo viene accettata come una conseguenza delle regole quantistiche e come una limitazione della possibilità classica di descrivere il mondo. Comunque ci sono interessanti e notevoli eccezioni. Per primo, Pauli, di cui cito una lettera (13 Ottobre, 1951) a Markus Fierz nelle seguenti righe[22]:
“Das physikalisch Einmalige ist vom Beobachter nicht mehr abtrennbar – und geht der Physik deshalb durch die Maschen ihres Netzes. Der Einzelfall ist occasio und nicht causa. Ich bin geneigt, in dieser “occasio” – die den Beobachter und die von ihm getroffene Wahl der Versuchsanordnung mit einschließt – eine “revenue” der in dem 17. Jahrhundert abgedrängten anima mundi (natürlich in “verwandelter Gestalt”) zu erblicken. La donna é mobile – auch die anima mundi und die occasio.”
Così, secondo Pauli, una limitazione della fisica appare come una caratteristica del mondo nel singolo processo non completamente descrivibile. E’ notevole che Pauli veda questo come l’espressione di un’anima mundi. Salvo dire che tale posizione è in disaccordo con il modo di vedere il problema della maggior parte dei fisici di oggi.
E’ istruttivo analizzare la situazione dal punto di vista della complementarità di Bohr. Secondo l’interpretazione di Copenhagen non è possibile né ragionevole ricercare le proprietà di un sistema quantistico in quanto tale. Dal momento che possiamo solo comunicare cosa abbiamo trovato attraverso il nostro linguaggio classico, questioni riguardanti le proprietà di sistemi hanno senso solo, strettamente parlando, come questioni circa le proprietà classiche di un apparato classico. Così, anche qui c’è un limite fondamentale all’esperienza della realtà, chiaramente una limitazione a una completa conoscenza del mondo. Questo fatto è interpretato da Wheeler[23] in modo tale che egli interpreta il singolo processo in meccanica quantistica – il fenomeno quantistico – come un atto elementare di creazione.
In una applicazione dell’asserzione di Bohr, che dice che un fenomeno quantistico comprende sia il sistema quantistico che l’apparato di misura, Wheeler sostiene che noi, come osservatori, siamo liberi di decidere in quale modo portare a conclusione un fenomeno quantistico. Noi decidiamo, scegliendo l’apparato di misura, quale fenomeno può divenire realtà e quale no. Wheeler spiega questo attraverso l’esempio del ben conosciuto caso di un quasar, del quale possiamo vedere due immagini attraverso l’azione della lente gravitazionale di una galassia che si trova tra il quasar e noi stessi. Attraverso la scelta dello strumento da usare per osservare la luce proveniente dal quasar, possiamo decidere qui e ora se il fenomeno quantistico cui prendono parte i fotoni sia l’interferenza delle ampiezze passanti da entrambi i lati della galassia o se determinare il cammino che il fotone prende da un lato o dall’altro della galassia. In entrambi i casi il singolo processo contiene di nuovo un elemento che non può essere controllato. Per esempio se decidiamo di misurare il cammino del fotone – cioè di farlo diventare realtà – non abbiamo alcuna influenza su quale dei due possibili cammini del fotone esso venga attualmente osservato.
Questa è la ragione per cui Wheeler etichetta il singolo fenomeno quantistico come un atto elementare di creazione. Noi, come osservatori, giochiamo un ruolo significativo in questo processo poiché possiamo decidere, scegliendo l’apparato di misura, quale fenomeno quantistico venga realizzato. Inoltre non possiamo influenzare lo specifico valore ottenuto attraverso la misurazione. Infine, dal momento che facciamo parte dell’universo, secondo Wheeler l’universo crea se stesso osservandosi attraverso di noi.
Una posizione veramente interessante e compiutamente riferita è quella presa da Just[24] da un punto di vista psicoanalitico. Egli confronta la riduzione spontanea e discontinua della funzione d’onda nel processo di misura meccanico quantistico con il processo di realizzazione spontanea (“Aha-Erlebnis”), al quale, secondo la sua opinione, si applicano esattamente le stesse caratteristiche.
Abbiamo quindi portato gradualmente il ruolo dell’osservatore al centro della nostra discussione, un ruolo espresso da Clauser, nella sua analisi fatta assieme a Shimony della presente situazione EPR-Bell, come segue[25]: “forse un albero non sentito cadere in una foresta dopotutto non produce alcun suono”. Su quella questione ci sono importanti differenze di concezione tra Bohr, Heisenberg, Pauli e, naturalmente, Einstein. Una discussione particolarmente interessante, apparentemente, avvenuta tra Bohr e Pauli negli anni cinquanta riguarda la questione del cosiddetto osservatore “distaccato” in meccanica quantistica[26]. Possiamo citare ancora da una lettera (15 Febbraio, 1955) di Pauli a Bohr[27]: “… Es erscheint mir durchaus angebracht, die konzeptive Beschreibung der Natur in der klassischen Physik, die Einstein so emphatisch beibehalten möchte, das Ideal des losgelösten Beobachters zu nennen. In drastischen Worten hat der Beobachter nach diesem Ideal gänzlich in diskreter Weise als versteckter Zuschauer (spectator) aufzuscheinen, niemals als Handelnder (actor), die Natur wird dabei in ihrem vorbestimmten Lauf der Ereignisse allein gelassen, unabhängig davon, auf welche Weise die Phänomene beobachtet werden.”. Pauli parla della situazione della meccanica quantistica più in là nella stessa lettera: “Da es erlaubt ist, die Beobachtungsinstrumente als eine Art Verlängerung der Sinnesorgane des Beobachters zu betrachten, betrachte ich die unvorhersagbare Änderung des Zustands durch eine einzelne Beobachtung – trotz des objektiven Charakters jeder Beobachtung unter gleichen Bedingungen – als eine Aufgabe der Idee der Isolation (Loslösung) des Beobachters vom Lauf der physikalischen Ereignisse außerhalb seiner selbst” [28].
Ecco di nuovo una sottile posizione assunta da Bohr che scrive in “L’unità della scienza”[29]: “Komplementarität bedeutet in keiner Weise ein Verlassen unserer Stellung als außenstehende Beobachter, er muß vielmehr als logischer Ausdruck für unsere Situation bezüglich objektiver Beschreibung in diesem Erfahrungsbereich angesehen werden. Die Erkenntnis, daß die Wechselwirkung zwischen den Meßgeräten und den untersuchten physikalischen Systemen einen integrierenden Bestandteil der Quantenphänomene bildet, hat nicht nur eine unvermutete Begrenzung der mechanistischen Naturauffassung welche den physikalischen Objekten selbst bestimmte Eigenschaften zuschreibt, enthüllt, sondern hat uns gezwungen, bei der Ordnung der Erfahrungen dem Beobachtungsproblem besondere Aufmerksamkeit zu widmen”. Questa è una posizione altamente raffinata che vede da una parte l’osservatore come distaccato, ma che dall’altra ammette l’importanza dell’interazione tra i dispositivi di misurazione e i sistemi fisici, dove i dispositivi di misurazione possono essere certamente scelti dall’osservatore secondo la sua volontà. Mi sembra che le implicazioni di tale posizione non siano ancora state pienamente capite e apprezzate.
Tornando ora a Heisenberg[30], notiamo che egli vede questo problema in relazione alle grandi difficoltà che, secondo lui, anche scienziati ben conosciuti come Einstein trovano nel capire e nell’accettare l’interpretazione di Copenhagen della meccanica quantistica. Spesso viene fatto notare che le radici di queste difficoltà giacciono nella separazione Cartesiana. Questa separazione, secondo Heisenberg, ha penetrato l’anima umana profondamente nei tre secoli dopo Cartesio, e ci vorrà molto tempo prima che essa possa essere rimpiazzata da una posizione veramente differente circa il problema della realtà. Secondo la mia opinione la posizione di Einstein non è rappresentata fedelmente da Heisenberg perché Einstein capì la posizione di Bohr molto bene, ed è mia impressione che Einstein non l’accettò semplicemente per evitare le radicali conseguenze che essa implica. Io suggerisco che la posizione di Heisenberg possa essere capita in un modo tale che, secondo lui, il paradigma epistemologico sul quale noi potremmo costruire un fondamento della meccanica quantistica non è ancora stato trovato. Se questo è vero allora la meccanica quantistica, che indubitabilmente è corretta in quanto fornisce previsioni corrette, ci sospende nell’aria quasi in uno stato di suspense tanto più quanto abbiamo a che fare con il suo fondamento paradigmatico.
Evelyn Fox-Keller[30] ha sostenuto, come un’altra allusione alla mancanza di tale paradigma, che esiste una repressione cognitiva del problema dell’interpretazione da parte della maggioranza dei fisici. Per quella maggioranza le questioni riguardanti il significato della meccanica quantistica trovano risposta una volta per tutte nell’interpretazione di Copenhagen, e tutte le ulteriori domande vengono rifiutate come segno che l’indagatore non ha capito l’argomento. Ulteriori domande vengono definite “solo filosofiche” e perciò non si confanno ad un fisico. Ma, se ci si interroga in profondità su cosa viene detto nell’interpretazione di Copenhagen, si ottiene una varietà di risposte. Secondo Fox-Keller anche questo è un segno di evasione, per mezzo del quale si evade la necessità di una nuova struttura cognitiva che differisce radicalmente da quella esistente. Fox-Keller chiama la vecchia struttura oggettivismo classico; e secondo essa la confusione riguardante le interpretazioni della meccanica quantistica consiste, quindi, nel tentativo di conservare una o più componenti della posizione classica. Ciò può essere, tuttavia io suggerisco che la ricerca di interpretazioni differenti da quella di Copenhagen molto spesso sia motivata dal tentativo di evitare le sue radicali conseguenze, il che è un atto di repressione cognitiva da parte di chi le propone.
Se, seguendo le citazioni di Pauli e Heisenberg, accettiamo il fatto che ci potrebbe essere il problema di una adeguata fondazione filosofica in meccanica quantistica, sorge la questione a cosa dovrebbe somigliare il nuovo paradigma, quali dovrebbero essere le sue caratteristiche. Qui ci è sicuramente di aiuto analizzare quali caratteristiche differenziano la nuova teoria da quella vecchia. Naturalmente il quanto d’azione è la prima caratteristica a saltare all’occhio, specialmente per il fatto che c’è una minima azione universale che può essere scambiata in un processo fisico. Io propongo che questo fatto, che emerge dagli esperimenti ed è integrato nella teoria, debba attualmente derivare dal nuovo paradigma. Se l’esatto valore numerico del quanto d’azione possa o debba venir fuori da una fondamentale ricerca è certamente una questione aperta. Se dovesse essere così, allora molto verosimilmente ciò avverrebbe ricavando il valore numerico dai numeri adimensionali formati da costanti di natura differente come, per esempio, la costante di struttura fine e la lunghezza di Plank. Mentre è in corso una ricerca per interpretare le caratteristiche del mondo attraverso un principio antropico, richiedente consistenza con l’esistenza di osservatori umani, tale sforzo può essere molto insidioso, come ho tentato di esprimere in un articolo umoristico[32]. Personalmente dubito che la chiave per una comprensione più profonda si trovi in una spiegazione del valore numerico del quanto d’azione in se stesso. Proprio perché i problemi epistemologici della meccanica quantistica sono immuni rispetto ad una variazione della grandezza del quanto d’azione all’interno di un ampio intervallo, ancora una volta, è il fatto che un quanto d’azione ci sia che è davvero significativo nella ricerca del nuovo paradigma.
La seconda caratteristica della meccanica quantistica che dovrebbe esserci d’aiuto in questa ricerca è il modo con cui calcoliamo in meccanica quantistica la probabilità che un processo accada. Invece di sommare semplicemente le probabilità dei differenti modi con cui un processo può accadere i fisici sommano le radici complesse di quelle probabilità, le ampiezze di probabilità, una procedura per cui esistono regole precise. Un punto importante, qui, è che questo metodo può essere applicato solo quando l’apparato sperimentale è tale per cui non si possono distinguere i differenti modi con cui un processo può accadere, nemmeno all’inizio[33]. Se, dall’altra parte, l’apparato dovesse essere tale da permettere di distinguere questi differenti modi, le stesse probabilità dovranno essere sempre sommate.
Due caratteristiche significative appaiono nella discussione. Primo, ancora vediamo il ruolo dell’osservatore in modo veramente fondamentale. Egli è libero di decidere, attraverso la scelta dell’apparato sperimentale, se certe modalità del processo fisico siano distinguibili o meno. Secondo, il formalismo è tale che, ogni qualvolta tali modalità indistinguibili siano presenti sperimentalmente, l’impossibilità di distinguerle è presente pure nel formalismo. Questa caratteristica è sicuramente più adeguata rispetto alla situazione della fisica classica, in cui possiamo sempre mentalmente separare il complesso nei suoi costituenti e in cui il comportamento stocastico dell’intero complesso è il risultato del comportamento dei suoi costituenti individuali, che possono essere pensati come definibili con qualsiasi precisione. In fisica classica, questo può essere fatto anche in situazioni in cui non abbiamo modo di distinguere realmente i costituenti individuali e il loro comportamento. In contrasto, le regole meccaniche quantistiche dicono in forma colloquiale: “tu non dovresti nemmeno pensare di distinguere l’indistinguibile”. Ciò che è realmente affascinante è proprio che dalla maniera in cui la meccanica quantistica tratta della differenziazione tra distinguibilità e indistinguibilità, qualcosa di nuovo viene fuori, cioè il fenomeno dell’interferenza.
Consideriamo ancora una volta l’impossibilità di una descrizione dettagliata del singolo evento statistico nel senso di una fondamentale impredicabilità. Suggerisco che è molto importante il fatto che mentre possiamo definire, attraverso la scelta dell’apparato, quale di due grandezze complementari possa manifestarsi, per esempio la posizione o il momento, non abbiamo alcuna influenza sul valore della grandezza. Perciò, come osservatori, abbiamo un’influenza qualificativa ma non quantitativa sui fenomeni quantistici. Quest’ultima, l’impossibilità di un’influenza quantitativa, è strettamente connessa con la finitezza del quanto d’azione. Questa io la vedo una conseguenza necessaria della prima, l’influenza qualificativa, in modo tale da assicurare che l’osservatore non abbia un controllo totale sui fenomeni della Natura. L’osservatore, perciò, attraverso il suo porre domande in modo sperimentale può – per così dire – mettere da parte la Natura, scegliendo un apparato sperimentale piuttosto che un altro, per dare risposte a questioni differenti che si escludono a vicenda – ma al prezzo di non essere in grado di esercitare un’influenza quantitativa, un’influenza il cui risultato specifico si materializzerà. La mia impressione è che una tale posizione differenziata, come l’ho formulata prima, non sia incompatibile con i sottili argomenti prima citati di Bohr, né con i punti di vista di Pauli e di Heisenberg. E’ quindi suggestivo richiedere una fondazione paradigmatica della meccanica quantistica per includere questi ruoli differenziati dell’osservatore.
La non-località quantistica, come è stato espresso più fortemente nel caso dell’EPR, secondo la mia opinione è una conseguenza dei punti appena menzionati, se si concede che i fenomeni quantistici possano essere estesi a tutte le distanze. Consideriamo, per esempio, il caso della misura dello spin di due particelle correlate. Prima della misura è fondamentalmente impossibile assegnare qualsiasi direzione di spin alle due particelle coinvolte. Gli sperimentatori possono quindi decidere direttamente lungo quale direzione una particella possa ricevere un valore definitivo, semplicemente orientando il proprio apparato di misura lungo tale direzione. Facendo questo essi definiscono inoltre la realtà dello spin per l’altra particella, se accettiamo la definizione di Einstein-Podolsky-Rosen di un elemento di realtà[34]. Ancora una volta notiamo che l’osservatore non ha influenza sul fatto che lo spin venga trovato parallelo o antiparallelo alla direzione scelta. Il che significa, di nuovo, che egli non ha un’influenza quantitativa sulla Natura.
E’ altamente probabile che il nuovo paradigma conterrà aspetti olistici. Questo consegue nel modo più diretto dal fatto che nell’interpretazione di Copenhagen è impossibile dissezionare un fenomeno quantistico nelle sue parti. Ciò può essere espresso dicendo che la preparazione di un fenomeno quantistico, la sua evoluzione e la sua osservazione, formano un’unica entità che, seguendo sia Bohr che Wheeler, possiamo chiamare fenomeno quantistico. Aspetti olistici seguono anche dal fatto che in un sistema a molte particelle non è possibile, nemmeno per correlazioni perfette, assegnare in anticipo proprietà ai singoli elementi del sistema[35]. Tali proprietà possono essere assegnate solo nello specifico contesto dell’intero apparato sperimentale per tutte le particelle prese assieme. Tra l’altro, in ogni caso, esse si mostrano solo nelle correlazioni. Questa, secondo me, è un’altra brillante corroborazione del punto di vista di Bohr[36].
Ho di proposito evitato domande come: C’è un confine tra microfisica e macrofisica? E’ necessaria una nuova forma di logica per i processi quantistici? La consapevolezza soggettiva ha un’influenza attiva e dinamica sulla funzione d’onda? Tali questioni o altre simili sono state proposte da molti fisici, ma, secondo la mia opinione, essi sono stati vittime del cosiddetto rasoio di Occam: Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem. La bellezza dell’interpretazione di Copenhagen consiste proprio nel fatto che essa opera con una serie minima di entità e concetti. Inoltre, qualsiasi posizione che necessiti di un cambiamento del formalismo quantistico[37] nel senso che esso porta a un cambiamento delle sue previsioni, secondo me è a dir poco improbabile di fronte all’eccellente accordo tra i metodi sperimentali e le previsioni teoriche.
Dobbiamo sottolineare il fatto che attualmente c’è una tensione tra l’eccellente accordo della meccanica quantistica con tutti gli esperimenti e la ricerca di un nuovo paradigmatico fondamento della teoria. Questo è stato formulato molto chiaramente da Rabi[38]: “Il problema è che la teoria è troppo forte, troppo impositiva. Sento che stiamo perdendo di vista un punto fondamentale. La prossima generazione, non appena avrà trovato quel punto, si batterà la testa con le nocche e dirà: come hanno potuto non afferrare l’essenziale?”.
Per finire cito una lettera di Einstein a Schrödinger del 22 Gennaio 1950: “Es ist einigermaßen hart, zu sehen, daß wir uns immer noch im Stadium der Wickelkinder befinden und es ist nicht verwunderlich, daß sich die Kerle dagegen sträuben, es zuzugeben (auch sich selbst).”[39] Persino oggi sembra esserci un po’ di verità in questa affermazione, anche se io, come spero sia divenuto chiaro dopo le mie spiegazioni di prima, non posso essere d’accordo con le opinioni di Einstein né con quelle di Schrödinger riguardo all’interpretazione della meccanica quantistica. Va comunque a loro credito che essi hanno ambedue chiaramente quali cambiamenti radicali nella nostra visione del mondo (Weltanschauung) necessiti alla fine la meccanica quantistica. Cambiamenti che potrebbero essere così radicali che è certamente ragionevole e comprensibile investigare a fondo tutte le altre possibilità prima di spiccare il balzo. Per quanto ne so io, la posizione più radicale riguardo a tale salto è stata assunta da Pauli, come ho tentato di spiegare sopra, e potrebbe veramente accadere che un giorno seguiremo le sue indicazioni. Comunque è ancora altamente raccomandato seguire la direzione indicata dall’interpretazione di Copenhagen, ovvero, non fare alcuna assunzione non necessaria che non sia supportata da un completa analisi di ciò che significhi realmente fare un esperimento.
Questo studio è dedicato al Prof. K.V. Laurikainen in occasione del suo 80 compleanno. Vorrei ringraziarlo molto per il fatto di portare l’attenzione della comunità dei fisici sul pensiero davvero non convenzionale di Pauli, e lo ringrazio personalmente per rendermi disponibile molto del suo lavoro prima della pubblicazione.
Note e Riferimenti
Edizione italiana: “Crittografia quantistica”, Le Scienze, n. 292, pp. 88-96, 1992.
“Che ciò che è fisicamente unico non può più essere separato dall’osservatore – e perciò cade attraverso la rete della fisica. Il singolo caso è occasione e non causa. Io sono propenso a vedere in questa “occasio” – che include l’osservatore e la sua scelta dell’apparecchiatura sperimentale e della procedura – una “ricomparsa” dell’ “anima mundi” (naturalmente in una “forma modificata”) che era stata espulsa nel diciassettesimo secolo. La donna è mobile – anche l’anima mundi e l’occasio.”
[24] Wilhelm Just: Vom Mythos der exakten Wissenschaften (Sul mito delle scienze esatte). Conferenza tenuta il 14.2.1985 alla Universität Zürich per il “Physikalische Gesellschaft” (Physical Society). Manoscritto non pubblicato.
“…mi sembra abbastanza adeguato definire la descrizione concettuale della natura in fisica classica, che Einstein vuole mantenere così enfaticamente, l’ideale dell’osservatore distaccato. In parole drastiche lo spettatore deve, secondo questo ideale, apparire in una maniera pienamente discreta come spettatore nascosto. Egli non può mai apparire come un attore. La natura è in tal modo lasciata da sola nel suo corso predeterminato di eventi, senza alcuna attenzione alla maniera in cui i fenomeni sono osservati”.
Edizione Italiana: Neopositivismo e unità della Scienza, trad. it., con introduzione di E. Paci, Milano, Bompiani, 1958.
“La complementarità non significa in alcun modo l’abbandono della nostra posizione di osservatori distaccati. Al contrario, essa dovrebbe essere vista come una logica espressione della nostra situazione concernente la descrizione oggettiva in quest’area dell’esperienza. La realizzazione che l’interazione tra i dispositivi di misurazione e i sistemi fisici è parte integrante del fenomeno quantistico, non ha solo rivelato un inaspettato limite della visione meccanicistica della natura che attribuisce proprietà definite agli oggetti in se stessi, ma ci ha forzati a prestare una speciale attenzione al problema dell’osservazione quando ordiniamo le esperienze”.
[30] Werner Heisenberg: “Physik und Philosophie”, Hirzel, Lipsia (1944). “Fisica e filosofia”, Il Saggiatore, Milano, 2003.
[35] D.M. Greenberger, M.A. Horne e A. Zeilinger, Phys.Today (Agosto 1993) 22.
[39] Lettera di Einstein a Schrödinger del 22.12.1950, da “Briefe zur Wellenmechanik” (“Letters on Wave Mechanics”), publ. K. Przibram, Springer-Verlag, Vienna (1963) 36-37.
“E’ piuttosto difficile accettare che siamo ancora allo stadio di bimbi in fasce, e non sorprende che i ragazzi siano recalcitranti ad ammetterlo (nemmeno a loro stessi)”.
Pubblicato in: “Vastakohtien todellisuus”, Festschrift for K.V. Laurikainen U. Ketvel et al. (Eds.), Helsinki University Press, 1996.
Traduzione a cura di Fabio Negro, Linda Altomonte, Paolo Ferrante.
Revisione scientifica: Paolo Pendenza, docente di Matematica e Fisica presso un liceo scientifico di Trento