Wittgenstein – Una guida
Luigi Perissinotto
2008, 136 p.
Feltrinelli
Dopo averla letta ci si rende conto che si sarebbe dovuta sentire la mancanza di una guida al pensiero di Wittgenstein come quella di Luigi Perissinotto, recentemente ristampata da Feltrinelli. In questo testo, sintetico e pregnante allo stesso tempo, uno dei maggiori studiosi italiani di Wittgenstein e professore ordinario di Filosofia del linguaggio presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, propone a un lettore non specialista un percorso attraverso il pensiero del filosofo austriaco, dal Tractatus fino agli ultimi scritti.
Il libro è scandito dalla citazione di frasi di Wittgenstein, che sono subito dopo spiegate e rappresentano l’occasione per sviluppare il tema ad esse connesso; in questo modo l’autore riesce a “illustrare per quanto possibile Wittgenstein con Wittgenstein”.
La tradizionale divisione fra il primo e il secondo Wittgenstein, qui è messa in secondo piano, a vantaggio di una interpretazione che coglie soprattutto la continuità della ricerca filosofica di Wittgenstein e gli elementi comuni che caratterizzano i due periodi, in coerenza con le intenzioni del filosofo viennese, che avrebbe voluto “pubblicare quei vecchi pensieri insieme con i nuovi”.
Il Tractatus logico-philosophicus è un libro sulla natura della logica e del linguaggio. In esso, fra l’altro, Wittgenstein chiarisce le differenze fra la scienza e la logica: la scienza individua le affermazioni che sono empiricamente vere, mentre la logica ha il compito di “tracciare, nel linguaggio, all’interno del linguaggio, il limite che divide nettamente il senso dal nonsenso”. In questo modo si può delimitare il pensabile, e di conseguenza l’impensabile, l’indicibile.
La scienza si occupa della contingenza, dei fatti contingenti, che potrebbero essere totalmente diversi da quello che sono, mentre la logica si occupa della necessità che deriva dal fatto “che un oggetto non sia pensabile o concepibile al di fuori delle sue possibilità di combinazione con altri oggetti”. Una macchia rossa, ad esempio, potrebbe essere di un altro colore, ma non potrebbe non avere un colore.
Dietro l’analisi del Tractatus c’è comunque l’idea di significato come corrispondenza: il significato di una proposizione è il “fatto” che si trova nel mondo e che ad essa corrisponde.
Ecco, quindi, il ruolo della filosofia: chiarire ciò che può essere detto e ciò che non può essere detto, “significare l’indicibile rappresentando chiaramente il dicibile”.
Con la sua seconda fase filosofica Wittgenstein non mette in discussione l’obiettivo, ma il modo con cui cerca di perseguirlo, e critica, in particolare, l’idea di significato che egli stesso aveva utilizzato fino a quel momento.
Le Ricerche filosofiche si aprono con un brano di S. Agostino nel quale il significato dei termini linguistici è insegnato ostensivamente, indicando gli oggetti a cui i termini sarebbero associati. Tuttavia il linguaggio non è utilizzato sempre in questo modo, anche se abbiamo sempre l’idea che a ogni termine che utilizziamo debba essere associato un oggetto.
Proprio questa è la causa di numerosi fraintendimenti filosofici; ad esempio quando abbiamo a che fare con la parola “pensare”, siamo portati a cercare uno stato o un processo che corrisponda al pensiero. Ma l’errore, o meglio la superstizione, consiste “nel dire che il pensare consiste in qualcosa”.
Le parole vengono usate in vari modi, secondo diversi “giochi linguistici”, e il loro significato è connesso al loro uso, piuttosto che a una ipotetica corrispondenza. Quando, tuttavia, andiamo a cercare le ragioni e le giustificazioni che ci sono dietro un certo agire o una certa convinzione, ci accorgiamo che le ragioni e le giustificazioni hanno un termine, e che “dove non vi sono più ragioni da dare, là ci si scontri con l’infondatezza irrimediabile dei nostri giochi linguistici”.
Ancora, quindi, Wittgenstein rimarca la distanza fra la scienza e la filosofia: infatti, la scienza cerca spiegazioni ai fenomeni naturali che ci appaiono sconosciuti e imprevedibili, e viene praticata con uno spirito che esclude da sé lo stupore e la meraviglia; ma secondo Wittgenstein “vi è uno stupore il quale segna, per così dire, il risvegliarsi dell’uomo al mondo, e non ha nulla a che fare con l’assenza di spiegazioni”. “Per stupirsi, l’uomo – e forse i popoli – deve risvegliarsi. La scienza è un mezzo per addormentarlo di nuovo”.