comunque si cerchino principi da cui derivare tutta la matematica
ci sarà sempre qualche nuova idea non catturata da essi
Gabriele Lolli
Siamo andati a trovare Gabriele Lolli, Ordinario di Logica matematica all’Università di Torino e autore di numerosi saggi – ricordiamo ad esempio Sotto il segno di Gödel (2007) e Da Euclide a Gödel (2005).
Nell’intervista affrontiamo le conseguenze dei teoremi di incompletezza, sia nella matematica che nella cultura in generale. Di seguito riportiamo la trascrizione della video intervista (disponibile qui).
Domanda: Professor Lolli, perché Gödel è considerato un logico di prima grandezza, anche indipendentemente dai suoi teoremi di incompletezza?
Innanzitutto, oltre a quei teoremi ne ha fatti molti altri importanti che però sono noti agli esperti. Anche i non esperti tuttavia hanno colto questa aura che circonda Gödel. Il motivo credo che sia questo: Gödel ha cambiato la natura della logica. Una volta si studiava la logica pensando che in base a questo studio si imparasse a ragionare meglio. Si chiamava logica utens, degli utenti. La logica contemporanea ha un’altra ambizione. Esisteva anche, come si può capire dal fatto che esiste una logica utens, una logica docens, ma era più che altro un’aspirazione, e invece Gödel ha realizzato questo, cioè il fatto che la logica si studia non per ragionare bene, ma per capire come si ragiona. L’aspirazione a fare questo salto c’era anche prima però sono i suoi risultati che dimostrano che è un’impresa che merita, che vale la pena di fare perché in effetti si ottengono dei risultati.
Domanda: Gödel è famoso per i suoi teoremi di incompletezza. Di cosa si tratta? Può spiegarci in modo sintetico il loro significato?
E’ difficile esporre i suoi risultati in modo sintetico. Si rischia non solo di essere scorretti, perché qualche imprecisione è sempre ammissibile, ma di banalizzare; però si può provare. Quello che stabiliscono questi risultati noi potremmo dire che è questo: comunque si cerchi di trovare un certo numero di principi da cui derivare, ricavare, tutta la matematica, ebbene questo tentativo fallisce, nel senso che ci sarà sempre qualche nuova idea matematica che non è catturata da questi principi. La matematica è un insieme di campi, di argomenti interrelati fra di loro, collegati, ma non si possono ordinare in modo da partire da un inizio e inglobare tutto. Queste nuove idee magari non si conoscono al momento, possono non conoscersi, addirittura possono non esistere, cioè è possibile magari rispetto alla matematica esistente trovare questi principi da cui si ricava tutto, però verranno fuori di sicuro delle idee che sfuggono, c’è una creatività che non si può eliminare e naturalmente il fatto che si dica: “mai si potrà trovare”, questa è un’affermazione importante perché dice qualcosa su come lavora la nostra mente, almeno nella produzione della matematica.
Domanda: Questi teoremi sono citati negli ambiti più diversi, dagli studiosi dell’intelligenza artificiale fino ai sociologhi. Spesso l’applicazione di teoremi di logica matematica ad ambiti disciplinari così diversi sembra un po’ impropria. Lei che cosa ne pensa?
Alcune applicazioni in altri ambiti come quelli dell’intelligenza artificiale sono legittimi, altri invece sono forzati e scorretti. Posso citare il tentativo di ricavare dai teoremi di incompletezza il fatto che non possa esistere una teoria fisica del tutto, oppure addirittura conclusioni di tipo teologico, argomentando per analogia che per conoscere il mondo bisogna uscire dal mondo e quindi per uscire dal mondo bisogna che sia possibile che ci sia un essere fuori dal mondo: queste secondo me sono scorrette. Tuttavia bisogna dire che la volontà di applicare queste forme di ragionamento anche in ambiti impropri è forse un atteggiamento positivo, nel senso che vuol dire che si è sensibili alla lezione più importante di Gödel e cioè – potremmo dire sempre in modo semplificato – per capire bene un problema, una situazione, bisogna uscire da questa, guardarla dal di fuori, dall’alto. Si passa a un altro livello, da tutto il garbuglio di problemi entro cui eravamo prima immersi e in cui non riusciamo a orizzontarci, è come guardare un labirinto standoci dentro o al di sopra, lo si vede dall’alto. Questa è una lezione che si può anche didatticamente esportare, è molto utile.
Domanda: Malgrado i teoremi di incompletezza siano considerati fra i risultati più importanti della logica matematica del Novecento, in genere non sono obbligatori nei corsi di matematica, come spiega questa mancanza?
Ci sono diversi fattori da prendere in considerazione. Innanzitutto, c’è una tradizionale diffidenza dei matematici per la logica, risale ai tempi di Cartesio, quasi che si volesse insegnare ai matematici come devono pensare; poi c’è il fatto che l’ignoranza una volta che c’è si tramanda di generazione in generazione, è la cosa più facile da tramandare, magari le conoscenze si trasmettono in modo difficile, ma l’ignoranza senz’altro passa; quindi da una generazione all’altra non si sente l’esigenza di studiare queste cose se non le si conoscono. Però dovremmo anche onestamente dire che forse ci sono dei motivi più seri, e cioè che in effetti il teorema di Gödel, quello più importante, ma anche gli altri, non sono risultati dai quali si parta per ottenerne degli altri dello stesso genere; servono a capire delle cose importanti sulla matematica. Per fare un esempio: il sistema copernicano, rispetto a quello tolemaico, non solo ha un significato profondo sulla visione dell’uomo, il posto dell’uomo nell’universo, ma fornisce anche degli strumenti per cominciare a sviluppare in modo più agevole l’astronomia. Il teorema di Gödel ha invece un carattere più di far capire delle cose che non essere il punto di inizio per svilupparne delle altre. Noi logici non siamo completamente d’accordo con questo atteggiamento, riteniamo che una buona fetta di matematica nuova nasce anche e proprio da Gödel, però effettivamente bisogna anche riconoscere che non è maggioritaria, non è così importante come quella che si continua a sviluppare per i motivi più diversi, per lo sviluppo intrinseco della matematica, per le applicazioni eccetera. Quindi se qualcuno sostiene che questi argomenti in una preparazione matematica di tipo professionale non sono così rilevanti, in un certo senso può anche avere ragione.
Domanda: Hilbert ha cercato di formalizzare l’intera matematica esprimendola come puro calcolo simbolico anche se il suo progetto di fondare la matematica, come lei ha detto prima, ha trovato proprio nei teoremi di incompletezza una limitazione decisiva, tuttavia sembra che la sua impostazione formalista sia oggi prevalente fra i matematici. In questo contesto secondo lei che ruolo ha il significato nella concezione attuale della matematica?
Hilbert non deve essere ritenuto responsabile dell’eventuale formalismo inteso come modo di concepire e di fare matematica, perché quello che voleva fare Hilbert, e cioè formalizzare la matematica, era una specie di mossa tattica, o strategica – diciamo così -, e cioè di rappresentare in questo modo vuoto tutta la matematica, per poter fare sopra di essa dei ragionamenti del tipo di quelli che in effetti Gödel ha fatto. Hilbert sperava che i risultati ottenuti fossero stati in un certo senso, di una certa direzione, invece quelli di Gödel sono andati nella direzione opposta; però le basi per impostare il discorso erano state messe da Hilbert. Detto questo, io non credo che il formalismo sia una filosofia prevalente oggi nel mondo matematico, anzi, in realtà se si chiede a un matematico di descrivere il suo lavoro si otterrà una descrizione che naturalmente il profano non riesce, almeno di primo acchito, a capire, perché il matematico parlerà di una serie di mondi che lui immagina, che vede e in cui si trova immerso, in cui lavora. Il lavoro del matematico è fatto di immaginazione e dell’esame di entità che non si sa se sono una proiezione della sua mente, che ha costruito, oppure se sono delle realtà che lui descrive perché ha una facoltà per vedere queste realtà platoniche. È un fatto, però, che il discorso matematico non è per nulla formale, è quasi un discorso poetico, collega queste immagini, trova analogie, usa metafore. Il ragionamento matematico è molto difficile da ridurre al formalismo, soprattutto nella matematica contemporanea dove ci sono degli spazi, delle strutture a dimensione infinita o con delle caratteristiche che è veramente quasi impossibile formalizzare. È stata data di recente la dimostrazione del teorema di Fermat. Questa dimostrazione di un teorema dell’aritmetica dovrebbe essere riconducibile al formalismo dell’aritmetica, agli assiomi di Peano, ma nessuno neanche ci prova perché è talmente al di fuori, fa intervenire dei concetti, delle immagini, delle idee talmente complesse, che assolutamente non si vede la strada per ridurlo al formalismo. Il significato è tutto interno a questo rimando di un’idea con l’altra, è un significato che non arriva a indicare delle entità fisicamente esistenti, però è basato proprio sul fenomeno della corrispondenza fra una rappresentazione e un’altra forma di rappresentazione che è una delle possibili definizioni di significato.
Domanda: Cosa l’ha spinta a indirizzare i suoi interessi di studio e di ricerca verso la logica matematica? Inoltre, da un punto di vista personale cosa maggiorente la appassiona del lavoro di Gödel? Sappiamo che ha scritto libri su altri temi, quali sono i suoi interessi principali oltre a questo?
La disciplina mi ha attirato perché, se siamo d’accordo che questi risultati sono tra i più profondi che riguardano il pensiero umano, allora è anche da accettare che la disciplina entro cui sono fioriti abbia un significato importante, anche senza pretendere naturalmente di riuscire a ripetere gli exploit di Gödel, però tutti gli argomenti che si trattano in questa disciplina sono importanti. Né la filosofia, per esempio Kant che voleva stabilire i limiti, le potenzialità del pensiero, né la psicologia, sono in grado di dare dei risultati così stabili, così, non dico definitivi, ma fermi sulla mente umana. questa disciplina non solo invece li dà ma è anche uno strumento importante per coordinarsi e collaborare con altre discipline, per esempio le due che ho citato. Non credo che sia difficile negare il fascino che può avere che è quello che mi ha attirato. Di Gödel quello che colpisce me credo molti altri è la simultanea presenza di due capacità che non sempre sono collegate. Da una parte una maestria, una padronanza tecnica, proprio di calcolo, perché i suoi risultati dipendono pesantemente da dei calcoli, non sono solo parole e fantasie. Questa maestria veramente quasi unica si è manifestata non solo negli studi di logica ma anche in altri contributi che lui ha dato, per esempio alla cosmologia, sempre con una grande padronanza del formalismo, e nello stesso tempo la lucidità concettuale, cioè la capacità di vedere nei problemi quelli che sono i concetti più importanti. Lui affronta dei temi aggrovigliati, dove le persone non riescono a districarsi, anche perché non riescono a definire bene i problemi, perché non riescono a vedere bene i concetti implicati. Lui arriva e in questo gomitolo coglie il filo essenziale che srotola il gomitolo, e quando lo fa tutti si accorgono che gli elementi fondamentali per la soluzione erano davanti agli occhi di tutti solo che non erano stati espressi con la chiarezza che Gödel riesce a esprimere. Nello stesso tempo, questa lucidità e maestria tecnica si accompagnano ad una personalità che per altri versi è tormentata, quindi diventa un personaggio a cui ci si può affezionare perché è complesso, complicato e tuttavia riesce a produrre questi fiori, studiare i suoi lavori, la sua opera, è veramente un fatto educativo. Io non posso certo pretendere che i miei contributi siano neanche lontanamente confrontabili ma ho degli interessi più larghi. Un po’ è la disciplina stessa che invita, come dicevo prima, a collegarsi anche con le altre discipline in uno studio multidisciplinare delle problematiche del pensiero, della mente umana, e però non c’è solo l’aspetto della produzione di teoremi di matematica, ci sono anche dei fenomeni umani e sociali che si manifestano nella vita dei matematici. Per esempio ho dedicato un piccolo saggio al problema delle donne nella matematica, un problema che ha una storia millenaria. In realtà all’inizio le donne erano presenti, erano accettate, la moglie di Pitagora pare che avesse un ruolo importante nel circolo e anche nella produzione del pensiero pitagorico. Poi sono state soffocate, è stato impedito loro di collaborare, solo alla fine dell’ottocento hanno ripreso la loro presenza e sono state accettate, ma con fatica, le prime donne matematiche a Princeton sono state accettate nel 1956. poi ho dedicato un saggio alla vita quotidiana dei matematici, in particolare mi sono dedicato alla loro sensibilità umoristica, alla loro produzione di umorismo. Nel saggio Il riso di Talete ho cercato di spiegare perché i matematici che hanno questa immagine seria, paludata, oggetto di barzellette, invece loro stessi producono con molta ricchezza e con molto divertimento delle manifestazioni divertenti, umoristiche, danno un gran contributo all’umorismo, non solo passivamente, come oggetto di scherzo,ma anche attivamente, è una parte dei loro scambi, non ovviamente professionali.
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