Martin Heidegger trent’anni dopo
di Carlo Gentili, Friedrich von Hermann, Aldo Venturelli
Il Melangolo

Questo volume raccoglie le relazioni tenute in occasione del convegno Martin Heidegger trent’anni dopo, svoltosi a Bologna nei giorni 13-15 dicembre 2006 e organizzato dal Dipartimento di Filosofia dell’Università di Bologna e dal Centro Italo-Tedesco di Villa Vigoni, con il patrocinio dell’AISE (Associazione Italiana degli Studiosi di Estetica).

L’occasione del trentennale della morte di Heidegger (26 maggio 1976) ha fornito lo spunto per una riflessione in continuità con le iniziative realizzate negli anni passati, rivolte al pensiero tedesco di fine Ottocento e alle sue ripercussioni sul Novecento (in particolare i convegni Nietzsche. Illuminismo. Modernità, del 2000, e Metafisica e nichilismo. Löwith e Heidegger interpreti di Nietzsche, del 2004).

Come spiega Carlo Gentili – promotore del convegno e curatore del volume insieme a Friedrich-Wilhelm von Herrmann e Aldo Venturelli – tale iniziativa parte dalla consapevolezza che il pensiero di Heidegger rappresenta, «per la riflessione ad esso contemporanea e per quella successiva, un crocevia per il quale è inevitabile passare», innanzitutto per il fatto che esso ha «messo sul tavolo della discussione il destino del pensiero e della tradizione occidentale».

Questo «inevitabile» confronto ha cercato di tenersi lontano dalla tentazione di un bilancio, articolandosi piuttosto secondo le molteplici prospettive aperte dal pensiero heideggeriano: dal versante fenomenologico-ontologico al piano della riflessione etica, dalla filosofia del linguaggio all’estetica, fino all’analisi dei rapporti di Heidegger con i pensatori della tradizione europea.

A questo fine è stato invitato al convegno un ampio ventaglio di studiosi, tra i quali alcuni – come Friedrich-Wilhelm von Herrmann – sono stati allievi diretti di Heidegger; altri – come Ernst Nolte – hanno avuto modo di frequentare i suoi corsi; e altri ancora – come François Fédier – hanno conosciuto personalmente il filosofo tedesco negli utimi anni della sua vita. Hanno inoltre partecipato attenti conoscitori dell’opera e dell’eredità di Heidegger, tra i quali si segnalano Günter Figal, Franco Volpi e Alfredo Marini.

Un incontro di pensatori di tale importanza, ora testimoniato da questo volume, rappresenta un’opportunità preziosa innanzitutto per «interrogarsi su che cosa implichi per noi – che cosa richieda a noi – il fatto di dover intendere Heidegger». Questo è l’invito spiazzante che François Fédier rivolge a tutti noi in apertura del suo intervento intitolato Intendere Heidegger?, evidenziando ancora una volta la necessità di mettersi in gioco nel dialogo con il filosofo.

La difficoltà in cui ci imbattiamo immediatamente nel chiederci come intendere Heidegger consiste nella tentazione di precipitarci verso la risposta. A tutt’altro esito può aprire il tentativo (se non proprio il compito) di seguire quella che von Herrmann definisce la «costante traiettoria di sguardo ermeneutica» che Heidegger non ha mai abbandonato nel suo procedere – una traiettoria di sguardo che, a differenza dell’usuale intendimento di metodo, non consiste nell’applicare uno strumentario concettuale a un oggetto, bensì nel riportare sempre di nuovo le prospettive di comprensione al loro originario scaturire. In questo senso va letto il principio, esplicitato da Heidegger nel corso del semestre estivo del 1925, a cui ogni ricerca fenomenologica si attiene: «Prima della parola e prima della terminologia, sempre innanzitutto i fenomeni – e solo dopo i concetti! (vor dem Wort und vor dem Ausdruck immer zuerst die Phänomene und dann die Begriffe!)».

Indica proprio in questa direzione l’ulteriore sollecito di Fédier: «Secondo quale movimento avvieremo la nostra domanda? La poniamo per ricondurre ciò che è interrogato al nostro livello, oppure per metterci noi stessi in cammino verso ciò che, in essa, ci riguarda?». E se volessimo seguire questa seconda via, come dovremmo intendere l’intendere?

«Verstehen ist immer gestimmtes», scrive Heidegger all’inizio del § 31 di Essere e tempo, ossia il comprendere è sempre in un qualche modo “intonato”. Poiché nessun sapere è mai interamente avulso da un certo sapore, «il corpo stesso entra in risonanza con l’intesa» mostrando che «l’intendere è inseparabile dal vibrare».

Questo volume diviene così l’occasione per rendere la nostra comprensione consonante non tanto con Heidegger, quanto piuttosto con ciò che nel pensiero di Heidegger ci riguarda.