Tratto da “René Magritte – tutti gli scritti” Feltrinelli

Riportiamo alcuni stralci di interviste concesse dall’artista belga e riportate nel volume René Magritte – Tutti gli scritti, edito da Feltrinelli. La straordinaria profondità di questo protagonista dell’arte novecentesca, al contempo così vicino all’estremamente semplice, può costituire una chiave preziosa per intendere la sua poetica. Buona lettura!

Da un’intervista rilasciata nel 1965 a Jean Neyens:

“…l’uomo è un’apparizione visibile, come una nuvola, un albero, una casa, come tutto ciò che vediamo. Io non nego la sua importanza, e d’altra parte non gli accordo un primato in una gerarchia delle cose che il mondo visibilmente offre. In effetti, se io faccio vedere un essere umano, è la sua esistenza che è in gioco, e non un’attività che egli potrebbe avere.

L’attività che egli potrebbe avere non evoca per me niente di misterioso, mentre la sua esistenza è un mistero, come d’altronde quella di ogni altra cosa. Nessuna cosa potrebbe esistere senza il suo mistero. E’ d’altra parte qualcosa di proprio della mente, sapere che il mistero esiste. Se io fossi solo un apparecchio fotografico, il mistero non sarebbe evocato. I miei quadri, pur presentando oggetti estremamente familiari, come per esempio una mela, suscitano degli interrogativi. E’ stato dunque evocato ciò che un tale oggetto ha di misterioso.

[…] Se potessi far vedere l’immobilità, o piuttosto far pensare all’immobilità assoluta, raggiungerei, credo, una certa perfezione, perché quest’immobilità assoluta corrisponderebbe a un arresto del pensiero, del pensiero che non riesce a superare un certo limite, che non può comprendere perché il mondo esiste. L’esistenza del mondo e la nostra esistenza è uno scandalo per il pensiero, è qualcosa di assolutamente incomprensibile, quali che siano tutte le spiegazioni che si possa cercare di darne.

[…] Quell’angoscia, che si può provare a proposito della realtà, è il momento privilegiato del pensiero. Ci sono momenti in cui quest’angoscia particolare sorge improvvisa e allora son certo che è il sentimento del mistero che mi coglie.

[…] Ci sono molti enigmi difficili da risolvere e davanti ai miei quadri si può pensare che si tratti di enigmi come quelli. Ma il mistero di cui si tratta è senza risposta per definizione. Ciò non implica né disperazione né speranza. Io non avrei in definitiva alcun diritto di pensare che sia incoraggiante o scoraggiante, è semplicemente così.”.

Da un’intervista rilasciata a Christian Bussy nel 1974:

“Non so quale sia la vera ragione per cui dipingo, così come ignoro quale sia la ragione di vivere e di morire. L’esperienza pittorica consiste nel cercare, senza speranza né disperazione, di cogliere l’impossibile”.

Da un’intervista del 1966:

“[…] Ciò a cui io penso costantemente è il mistero della vita. E’ una cosa che non si può rappresentare. La si può solo evocare. Perciò, negli ultimi quarant’anni, ho soltanto cercato di evocare il mistero. Lo vedo ovunque, in ciò che voi chiamate il commonplace. Il cielo non è misterioso? […] vita e morte, sole e luna, fuoco e acqua, tutto questo non è un mistero? Certo, possiamo analizzarli, sezionarli, trasformarli in equazioni, ma abbiamo risolto il mistero? Non sto parlando di Dio: è questa una parola che non capisco bene. Sto parlando della vita: mangiare, dormire, crescere, giocare, morire. Ecco perché mi interessa tutto, anche la banalità, se vuole, e perché trovo un’unione fra il cielo, una stanza, uno scrigno, un letto e una tuba. Io non giustappongo elementi estranei allo scopo di colpire. Descrivo i miei pensieri del mistero, che è l’unione di ciascuna cosa e di tutto ciò che conosciamo…”.

Sempre dall’intervista rilasciata nel 1965 a Jean Neyens:

“[…] Un pensiero ispirato è un pensiero che unisce cose visibili in modo tale da evocarne il mistero. Un esempio è un paesaggio notturno sotto un cielo illuminato dal sole. L’unione della notte e del giorno evoca senza dubbio il mistero”. (L’impero delle luci, 1954)

Da un’intervista rilasciata a Pierre du Bois nel 1966:

“[…] Non è dunque una rappresentazione del mistero quella che io cerco, bensì immagini del mondo visibile unite in un ordine che evochi il mistero.”.

Da un’intervista rilasciata a Suzi Gablik nel 1966:

“[…] La mente non può comprendere la propria ragion d’essere, e se non la comprende, neppure dei problemi che essa pone può comprendere la ragion d’essere. Ma noi sappiamo che non comprendiamo la ragion d’essere della mente.

Essa svolge molte funzioni, serve a molti fini, ma questa non è una ragion d’essere. Un pensiero vivo non è interessato a molte cose. Solo una cosa gli interessa veramente, ed è il fatto di esser privo di qualsiasi ragion d’essere. E’ questo il suo mistero. Questo è il fatto che gli è meno indifferente e che gli interessa di più. Ma perché questo mistero venga messo davvero in discussione, bisogna trovare i mezzi per farlo. Il mistero della mente è messo in discussione dal mio dipinto L’amabile verità. Non esiste una ragion d’essere concepibile per questo dipinto.”.

“[…] Non si può parlare del mistero, bisogna lasciarsene prendere. Altrimenti semplicemente si parla dell’esperienza, senza averla realmente.”.

“Avevo un grande entusiasmo quando dipinsi L’amabile verità, il momento dell’illuminazione è molto breve.”.

“[…] Quando la gente cerca di trovare significati simbolici in ciò che dipingo, cerca una situazione confortevole, qualcosa di sicuro cui aggrapparsi, per difendersi dal vuoto. E’ anche disposta ad usare oggetti senza cercare in essi alcuna intenzione simbolica, ma quando osserva i quadri non riesce a sopportare di non trovare per essi alcuna utilità. Così va in cerca di un significato che le consenta di uscire dall’incertezza, e poiché non capisce quale sia, dovrebbe meditare quando si trova di fronte al quadro.

L’immagine di Lautréamont, per esempio, l’incontro casuale di un ombrello e di una macchina per cucire su un tavolo da dissezione, potrebbe anche essere descritta, in un certo modo di espressione, come simbolica: di disordine, dal momento che le cose non si trovano dove dovrebbero essere; ma ciò equivale anche a lasciarsi sfuggire la poesia e il mistero intrinseci dell’immagine. La gente che cerca significati simbolici percepisce senza dubbio questo mistero, ma desidera liberarsene. E’ spaventata. Chiedendo: ‘che cosa significa?’ esprime il desiderio che tutto diventi comprensibile. Quando invece non si rifiuta il mistero, si ottiene una risposta del tutto diversa. Si chiedono altre cose. Un poeta amico mio, per esempio, quando vide per la prima volta L’amabile verità, disse: ‘Per un istante, fui preso dal panico’. E’ proprio questo instante di panico che ha importanza, e non una qualsiasi spiegazione di esso. Un istante di panico è quello che mi fa rientrare in me stesso. Questi sono gli istanti privilegiati che trascendono la mediocrità. Ma per questo non c’è bisogno dell’arte. Sono cose che possono capitare in qualsiasi momento”.

Da un’intervista per la radio Belga del 1962:

“Il surreale, o la surrealtà, è la realtà liberata dal senso banale o straordinario che le è associato. Il surreale è la realtà che non è stata separata dal suo mistero. Il pittore surrealista descrive il pensiero che può esser reso visibile dalla pittura. Questo pensiero evoca il mistero, il mistero senza cui nessun pensiero e nessun mondo sarebbero possibili.

[…] Nulla ha un valore spirituale finché ci lascia indifferenti…”.

Magritte scrive a Bosmans:

“[…] Nulla è una parola molto eloquente, mistero lo è forse meno in quanto sottintende per i ‘begli spiriti’ a qualche cosa da ‘penetrare’, da ‘spiegare’, cosa che significa che essi non sanno di che cosa si tratti. […] Heidegger evoca il mistero ponendo questa domanda: ‘Perché, in definitiva, c’è qualcosa piuttosto che niente?'”.

Da un’intervista del 1966:

“[…] Io non appartengo al mio tempo, né a Lessines o ad alcun altro luogo. Non sono la storia, la geografia effimere del mio tempo che mi toccano: è il fatto di esistere. Io non mi ci abituo facilmente.”.

Che effetto le fa il fatto di esistere, e il fatto che il mondo esiste?

Mi stupisce.

a cura di Rossella Tomasi
insegnante di Yoga e Meditazione ad ASIA
Tratto da “Antiche e moderne vie di Illuminazione”, n. 21