Insegno yoga da quasi vent’anni e circa 16 anni fa, casualmente, è accaduto che tre delle mie allieve siano rimaste incinte più o meno nello stesso periodo. Inizialmente hanno continuato a frequentare con gli altri ma molto presto ci siamo accorte che era necessario seguirle in modo particolare in quanto molte posizioni dello yoga non erano più consigliate per il loro stato.
Così, poichè loro non avevano alcuna intenzione di sospendere la pratica, nacque il corso “Yoga aspettando un bambino”.
A quel tempo io non ero ancora madre ma già da qualche anno mi interessavo alla gravidanza e alla preparazione al parto e avevo iniziato a rincorrere Frederick Leboyer in Svizzera e in Italia per partecipare ai suoi seminari.
Pur non avendo ancora partorito avevo la chiara convinzione che il parto fosse un evento del tutto naturale nella vita di una donna e non mi convincevano le tecniche che regolarmente vedevo insegnare a chi frequentava corsi di preparazione al parto: mi sembrava non avessero niente a che fare con ciò che stava accadendo. D’altro canto le donne avevano paura di partorire e volevano essere “preparate”.

La mia domanda allora fu “A cosa devono essere preparate le donne che aspettano un bambino?”
La risposta non si è fatta attendere: grazie alle donne che ho seguito durante la gravidanza e alle mie tre esperienze di maternità, mi sono resa conto che le donne hanno bisogno di essere preparate al silenzio e all’ascolto di sé. Non a strane tecniche respiratorie che le fanno somigliare a delle locomotive sbuffanti, che le allontanano completamente dalla sacralità della nascita e le lasciano esauste e sconfitte. Dal silenzio e dall’ascolto di sé la donna può trovare la sua strada per incontrare il bambino, una strada che non può essere percorsa allo stesso modo da due donne e neppure dalla stessa donna che è più volte madre perchè ogni volta è diverso. La tecnica è qualcosa di statico, di morto, come può adattarsi al parto che è vita e come la vita è imprevedibile (chi può mai sapere con certezza cosa gli accadrà fra un minuto?).
Lo yoga che insegno secondo la scuola di Gérard Blitz non porta a una tecnica ma a sentire. Le posizioni (asana) non sono forme da copiare ma opportunità per sentirsi. “Non dovete adattare il vostro corpo alla posizione, dovete adattare la posizione a voi stessi” ripeteva incessantemente Blitz.
Si parte da un lavoro sul corpo, sui muscoli, sulle articolazioni perchè rappresentano la parte più densa, quella che riusciamo a sentire con maggiore facilità. La donna impara a sentire il suo corpo, impara a muoverlo con attenzione e impara a rispettarlo. Il compito dell’insegnante è trovare la via per farle sperimentare uno stato di relazione consapevole col suo corpo.
Questo si ottiene proponendo una pratica semplice che non metta in difficoltà, che non crei un atteggiamento di scontro verso i limiti che ogni corpo può avere.
Partendo dall’esperienza anche breve di uno stato più consapevole la donna inizia la sua ricerca verso ciò che la allontana da questo stato; ancora una volta il lavoro viene fatto principalmente da lei, l’insegnante le ha solo fatto vedere una possibilità di essere. Questo è un punto fondamentale nella trasmissione dello yoga. Non si tratta, come spesso si crede, di insegnare una tecnica che, copiata, dà un certo risultato. Nello yoga il ruolo dell’insegnante è riuscire a trasmettere uno stato che lui stesso ha sperimentato e questa trasmissione è possibile solo se le persone sono interessate.

Dal corpo si passa poi al respiro, alla consapevolezza del proprio respiro (pranayama). Si insegna alla donna ad ascoltarlo e a sentirne l’importanza per lei e per il bambino. La si porta a sentire come uno stato d’animo ansioso alteri il respiro e come una respirazione insufficiente alteri il suo stato d’animo. Una respirazione calma invece rallenta l’attività vorticosa della mente e facilita l’ascolto.
Una donna che sa ascoltare se stessa sa ascoltare anche il suo bambino: sa quali movimenti gli fanno piacere e quali lo disturbano, sa quali suoni gradisce e quali lo infastidiscono. C’è un dialogo che comincia molto prima della nascita e che risulta utilissimo al momento del parto.
La donna sa che non solo lei sente la grande forza che si sprigiona in quel particolare momento ma anche il bambino e non lo vede causa del dolore che sente ma come un essere altrettanto sorpreso e spaventato da ciò che sta accadendo. Ma ciò che sta accadendo proviene sempre dal suo corpo, da quel corpo che, attraverso lo yoga ha imparato ad ascoltare e a rispettare. Allora è molto facile che la paura lasci posto alla fiducia, all’abbandono, all’attenzione a non ostacolare il bambino mentre nasce.
Non è “fare” ma “lasciar fare”.