In occasione del convegno internazionale sulla coscienza promosso dal Centro Studi ASIA, abbiamo intervistato Tupten Jinpa, Presidente dell’Institute of Tibetan Classics di Montréal, Canada.

Sullo stesso argomento vedi anche le interviste a Michel Bitbol e Nicolas Humphrey 

Di seguito l’intervista in formato testuale.

 

Domanda: Che cosa sia la coscienza umana è una domanda che risale ai primordi della storia del nostro pensiero: lei pensa che oggigiorno siamo più vicini ad una risposta di quanto lo si fosse in passato?               

Jinpa: Non sono sicuro che la risposta sia più vicina oggi che un tempo. È certo che essa era e rimane un grande mistero per un lungo periodo nella storia del pensiero umano. Non solo in Occidente, ma anche in Oriente la coscienza umana è rimasta un mistero non solo per i religiosi, ma anche per i filosofi ed i pensatori; la differenza oggi è che anche la scienza, per la prima volta nella storia, sta entrando nel dibattito. Ora abbiamo un nuovo soggetto all’interno delle ricerche sulla coscienza e questo crea un ambiente del tutto nuovo, una situazione davvero diversa rispetto a prima. Nel passato i ricercatori in questo ambito furono per lo più i filosofi, i mistici ed i pensatori religiosi, e forse per certi versi anche i poeti e gli scrittori di letteratura, e da ognuna di queste prospettive emergevano punti di vista diversi ed idee molto interessanti per quanto riguardava la coscienza, ma nessuno di questi poteva vantare alcun privilegio sugli altri. La discussione rimaneva, potremmo dire, ad un livello più democratico. Ora però abbiamo un nuovo membro in questo gruppo di studi, e questo nuovo membro ha molto maggior clamore sulla realtà di quanto ne abbiano gli altri, almeno per quanto concerne i fatti di cui si occupa. E se la coscienza è riconosciuta come un altro fatto dalla scienza, ogniqualvolta essa si dovesse pronunciare sulla coscienza, questo avrebbe un impatto maggiore sull’intendimento di “coscienza” da parte della comunità umana. Perciò in quel senso penso che ci sia di più in ballo, ma per ciò che riguarda la soluzione del mistero della coscienza io non credo che ci siamo vicini.

Domanda: La ricerca sulla mente oggi include molte  domande quali per esempio “Io sono il mio cervello?”, oppure “C’è una vita oltre la morte?” oppure ancora, “La vita ha un significato?”. Che cosa pensa del ruolo della scienza nel rispondere a queste domande? Ed inoltre, secondo lei, abbiamo bisogno di altre discipline per rispondere a tali domande?

Jinpa: Sì, è vero che, inevitabilmente, queste sono diventate parte importante dell’intero bagaglio di domande riguardanti la coscienza perché la questione della coscienza si collega direttamente a quella della continuità dell’individuo. Quindi la grande domanda riguarda che cosa accada dopo la morte fisica, se ci sia la continuità della persona o se ci sia una continuità di una qualche forma di coscienza. Nel passato le persone non utilizzavano il termine “coscienza” bensì il termine “anima”, perlomeno nel contesto religioso. Sappiamo che le grandi religioni in qualche modo concordano tutte sul fatto che la morte fisica non sia la fine della persona. Su come questa continuità dell’individuo dopo la morte sia da considerarsi ci sono ovviamente molti punti di vista. In oriente la reincarnazione è da sempre un concetto davvero molto importante, sia dal punto di vista filosofico che etico e religioso, non solo per i buddisti ma anche per gli indù, mentre per la tradizione giudaico-cristiana l’intendimento riguardava piuttosto una sorta di viaggio, di cammino dell’anima verso Dio. Ora che la scienza è entrata nel dibattito penso che essa, o meglio gli scienziati stessi come individui, poiché perlopiù essi hanno una forma mentis materialista secolare, che piaccia o meno dovranno tenere in grande considerazione che la continuità della coscienza è stata storicamente sempre una parte importante dell’intera discussione. Sul fatto che la scienza possa realmente indirizzare sulla risposta a queste domande io non lo so; dal mio personale punto di vista non credo che lo possa fare perché dobbiamo capire che la scienza, non importa quanto sia potente, è un modo di conoscere, ed è un modo di conoscere che è modulato su di un concetto molto particolare di che cosa sia conoscere; e il “conoscere”, nel senso scientifico, è un fatto oggettivo che è validato attraverso processi intersoggettivi di verifica, verificando la ripetibilità dell’esperimento e così via. E domande sulla continuità della coscienza dopo la morte, non riesco proprio a vedere come la scienza potrà trattarle. Inoltre, considerando anche  la natura stessa della coscienza, la cui proprietà principale in ultima analisi è l’esperienza soggettiva in prima persona, dato il modo in cui la scienza è intesa, visti i paradigmi scientifici, non posso concettualmente immaginare come la scienza possa maneggiare questo singolare campo dell’esperienza cosciente soggettiva. Non lo so proprio.

Domanda: Rimanendo sull’argomento dell’esperienza soggettiva: Nel Buddismo il ruolo di una cruciale esperienza, quella di sfondare tutte le concettualizzazioni, è molto importante. E credo che nello Zen la verifica della realtà di questa esperienza sia anch’essa molto importante. Vorrei farle due domande. Se nel Buddismo tibetano ci sia qualche modo per verificare tali esperienze e come, nel dialogo interculturale, lei crede che si possa parlare di questa cruciale esperienza.

Jinpa: Penso che, similmente alla tradizione Zen, anche la tradizione tibetana enfatizza il ruolo  dell’esperienza come un’importante fonte di conoscenza, quindi il problema è dell’occidente moderno, a causa dell’influenza dominante della scienza. Quando noi pensiamo alla conoscenza di qualcosa pensiamo immediatamente in termini discorsivi ai vari modi conoscere questa o quella cosa, perciò già il modo di conoscere concettuale è a sua volta costruito all’interno di un determinato concetto di conoscenza. Nella tradizione buddista, considerando per esempio la profondità della conoscenza della Verità, della Vacuità, non è propriamente conoscenza nel senso di “io conosco questo in questo e quest’altro modo”. Non è così. Certo inizialmente attraverso la ragione, attraverso i concetti, attraverso la decostruzione, ci si arriva, ma è solo con un’esperienza finale che la conoscenza prende concretamente la forma di una realizzazione. A questo punto non c’è una vera  dualità soggetto-oggetto, non ci sono il conoscente e il conosciuto. Ma io penso che questo nei termini occidentali sia davvero difficile da comunicare, poiché il concetto occidentale di conoscenza è basato sulla dualità. Quindi, penso che sia questo il problema.

Domanda: Ritornando alla scienza, come lei ha detto prima essa non sta realmente dialogando con il problema dell’esperienza soggettiva poiché la scienza è sinonimo di conoscenza oggettiva, ma tipo di problematica è comune in molti altri campi. Possiamo provare a trovare l’esperienza oggettiva solo all’interno di noi stessi. Se proviamo a cercarla a partire dal punto di vista esterno abbiamo come risultato l’appianamento dei significati: i significati vengono semplicemente ridotti a dei fatti. Penso che questo sia un problema profondo all’interno della cultura occidentale, lo possiamo chiamare nichilismo o possiamo metterci il termine che vogliamo, ad ogni modo è la mancanza di significato. Nella nostra cultura il problema è questo: noi abbiamo una ben radicata, ma raramente espressa, domanda di senso. In quale misura pensa che il Buddismo, principalmente come filosofia, non come religione, possa aiutare ad affrontare questo problema?

Jinpa: Credo che a livello filosofico il Buddismo possa essere un esempio di come si possa intellettualmente e filosoficamente abbracciare una visione del mondo in cui ci siano un profondo riconoscimento di mancanza di essenza propria o di mancanza di fondamento della nostra esistenza e, allo stesso tempo, l’affermazione di un pieno e reale significato della vita. Penso che sia un esempio di come nella storia si sia arrivati filosoficamente ed intellettualmente all’apprezzamento del riconoscimento della mancanza di fondamento dell’essere all’esistenza, e al contempo, invece di scivolare nel nichilismo e disperarsi per qualcosa che ci avvolge, ha fatto della mancanza di fondamento  la base dell’apertura ad ogni possibilità.  Sulla base di questo si fonda l’intera concezione dell’etica dell’interrelazione tra le persone, dell’interesse al benessere reciproco, dell’interconnessione dell’essere umano al mondo in cui vive: tutti questi principi etici sono basati, a dirlo è davvero curioso, su nessuna base, è come dire che sono fondati sulla mancanza di fondamento. Proprio questa consapevolezza della mancanza del fondamento alla base ha ispirato profondamente le tradizioni religiose e monastiche. Come fondamento non c’è un assoluto, non c’è una base. Io credo che quella che ci viene suggerita è quantomeno una possibilità. L’Occidente, sia come cultura che come società, per vari motivi storici è ora arrivato ad un punto davvero critico riguardo la propria coscienza: dal punto di vista sociale e culturale c’è un profondo riconoscimento di questo abisso che è la consapevolezza del fatto che non c’è un fondamento, il pavimento è stato tolto, ma noi siamo ancora in piedi e la domanda a questo punto è: “come facciamo ad abbracciare questa realtà senza essere costantemente preoccupati di poter cadere giù da un momento all’altro?”. Penso che il Buddismo in questo caso possa servire da esempio, ma come questo debba o possa essere concretamente attuato è una domanda veramente difficile.

Domanda: Rimanendo sul piano dell’esperienza interiore, le posso chiedere qual è stata l’esperienza più importante della sua vita?

Jinpa: Posso dire che la più importante esperienza nella mia vita è stata la relazione con il mio Maestro. Ho avuto la fortuna di vivere con lui come monaco buddista nella stessa casa per undici anni. Per me è stata un’esperienza davvero importante poter vivere con una persona che incarnava un meraviglioso sposalizio di alto pensiero filosofico, profonda spiritualità e meravigliosa etica umana con un’amore per la poesia. Per me è molto difficile spiegare e cercare di far assaporare questa esperienza, perché quando vivi con una persona che incarna tutto questo vieni influenzato dal suo modo di vivere e probabilmente non è possibile parlarne in termini consueti. Ma per me è stata davvero un’esperienza importante.

Traduzione a cura di Giovanna Agostini
Centro Studi ASIA