Ricordo di aver visto, negli anni settanta, un film di Bresson il cui protagonista, un giovane liceale, aveva compreso che il pianeta si avviava verso una catastrofe anche ecologica e, non intravedendo vie di speranza, pagava un compagno tossicomane per farsi uccidere.
Credo che Bresson vedesse con grande lucidità, almeno vent’anni prima, ciò che ora la grande massa ancora stenta a realizzare: lo stato di salute del pianeta è gravissimo e pare che nelle menti di chi detiene le redini del mondo, questo non sia ancora un’emergenza assoluta. Sembriamo tutti ciechi e folli.
In una situazione di reale pericolo occorre unirsi per fronteggiarlo.
Se c’è un incendio nel villaggio tutti fanno il passamano coi secchi, dal fiume alle case. L’effetto “corrosivo” del CFC nei confronti dello strato di ozono dell’atmosfera fu scoperto circa vent’anni fa. Il riconoscimento ufficiale, che desse la giusta eco a tale scoperta, è arrivato solo ora col Nobel a Molina, Roland e Crutzen. Nel frattempo qualcuno ha avuto modo di fare un regalo ai figli e nipoti di tutti smaltendo le scorte in atmosfera…
Andiamo incontro all’orrore così, semplicemente, col sorriso di chi non capisce. Il Titanic affonda e, mentre l’orchestrina continua a suonare, noi balliamo e ridiamo!

Cosa fare per svegliarci?
Riprendendo l’espressione di Heidegger “oramai solo un dio ci può salvare”, credo che solo l’irruzione del Sacro nelle nostre vite possa svegliarci.
Non parlo da un punto di vista fideistico o filosoficamente astratto, ma esperienziale: il Sacro si può sperimentare, ed è in realtà molto facile.
Esiste in noi un luogo a cui si accede facendo silenzio intorno. E’ il Principio, l’essenza di noi stessi: ciò senza cui non saremmo quel che siamo ed è il divino. Credo che non sia importante solo da un punto di vista mistico, ma anche filosofico e, in qualche modo, scientifico.

Vi invito a non credermi, ma a fare l’esperimento:
se avete una cantina sotterranea, dove non arrivi assolutamente luce esterna, provate ad entrarci di notte, spegnendo poi le luci interne fino a rimanere nel buio più assoluto, così che tenere gli occhi aperti o chiusi risulti uguale. Non vi è luce da captare con gli occhi, né vi sono spettacoli da vedere…
Eppure qualcosa in noi sta guardando!
Che cosa in noi sta guardando? Da dove?
Restate per alcuni minuti in quelle “tenebre luminosissime” in quel “silenzio eloquentissimo”, secondo le parole di un mistico, e provate ad accogliere in voi la curiosità su cosa mai sia questa luminosa presenza che vi abita e che sa di se stessa.
Io sarò drastico e volutamente provocatorio: quella presenza è Dio stesso.
Indagate da voi stessi, non credete a me. Ma siate onesti e seri nei vostri stessi confronti. E se vorrete, in un momento di quiete potrete sedervi e, cercando l’immobilità ed il silenzio interiore, tentare di ritornare al principio di voi stessi, dove siete puro sguardo senza nome.

Vorrei indurvi ad una piccola riflessione: ci sarà mai possibile rispondere alla domanda “cos’è la coscienza?”. Per rispondere dovremo usare la coscienza stessa. Il soggetto indagatore e l’oggetto dell’indagine coincidono.
Per questo in diverse tradizioni la coscienza è vista come Assoluto. Essa è il Principio. Qualsiasi conclusione possiamo trarre sulla coscienza, sarà nella coscienza. Fine della strada. Se vogliamo sondare questo principio in noi stessi, il solo modo è di calarci in essa, coincidendo con essa, lasciando che essa dica di sé, del Mistero trascendente che è.
Che tu sei.
Sovente però, siamo incapaci anche di un atto semplice come sederci e stare con noi stessi in silenzio e quiete. Non ci riesce per più di qualche attimo. Non ne abbiamo l’educazione e gli ostacoli sono a livello fisico, mentale e filosofico. Talvolta il corpo non é capace di assumere una postura adatta all’immobilità, la mente non riesce a smettere di muoversi e lo spirito non accetta che vi sia qualcosa da scoprire usando strumenti che non siano pensiero e riflessione.

Lo yoga ci dice proprio questo: per sapere qualcosa di sé lo spirito deve tornare a coincidere con se stesso nel silenzio e nella quiete. Il movimento della mente non è d’aiuto, ma anzi d’ostacolo.
Asana, la postura del corpo con la colonna in equilibrio è il punto di partenza per arrivare al silenzio viscerale. L’osservazione “Anapana sati” e eventualmente il controllo del respiro “Pranayama”, portano al silenzio della mente. Gérard Blitz sottolineava l’importanza della pratica dello Ha-tha yoga, delle ben note posture ordinate in sequenza, per riequilibrare la condizione “energetica” di corpo e mente. Così si creano le condizioni per avere accesso a questa semplice ma incredibile realtà: esistiamo e siamo coscienti. E questo non è per nulla scontato, ma il primo e più straordinario miracolo. Ogni altro “miracolo” non è che sviamento dalla consapevolezza del prodigio che sta già accadendo da sempre: essere.