Dal giorno in cui mi accadde di vedere che tra nulla e altro-da-nulla la differenza è totale, non riesco neppure a concepire qualcosa che emani altrettanta fascinazione.

Il nulla è nulla – tout court – e non esiste.

Ma ne sappiamo: sappiamo che il nulla non esiste.

In tale sapere – ed ecco cosa, alla radice, significa propriamente “sapere” – parla la Differenza.

Sapere significa sapere la Differenza tra nulla e l’altro-da-nulla, l’ “altro-da-nulla” che noi europei chiamiamo “ente, essente”.

Con “ente” si nomina il misteriosamente-differente-da-nulla.

Il profondo sapere della totale differenza tra l’altro-da-nulla e nulla è  – e giungo a tale conclusione dopo trentotto anni di meditazione, riflessione, studio e insegnamento – riservato a pochissimi.

Ciò non perché si voglia escludere chicchessia dalla consapevolezza d’essere, ma perché non viene cercata.

L’uomo abbraccia l’oblio di tale differenza e in esso vive – profondamente attaccato ad esso oblio e in esso e da esso si sente rassicurato, nonostante le pene che vigono nel mondo dell’oblio.

La visione profonda della Differenza scuote alle radici – può anche terrorizzare e con ciò repellere nelle orbite più vivibili del pensiero, in quello “logico”, pratico ed emozionale.

Ho vissuto diverse volte il potente sguardo dall’orlo dell’abisso.

Sguardo che osai confronto con il “Tremendum et fascinans”.

Mi è oggi ben chiaro che colà sta l’essenziale nucleo della questione “umana” – e oltre umana.

Ciò che sta accadendoci è incentrato su quell’evento incandescente.
Tutto il resto – la storia umana vissuta nell’oblio di quel misterioso fuoco – è come i pianeti attorno al sole che sono più freddi man mano che cresce la distanza dal sole.

E mi riferisco anche alla filosofia, alle visioni spirituali e religiose “orizzontali” (che confondono essere con essente), di certa arte e, naturalmente, di scienza e tecnica, le quali del significato di essere, nulla, Differenza, non necessitano affatto.

Molto raramente il pensiero e l’azione scaturiscono e si sviluppano dalla, e nella, coscienza esistenziale.

Questo mondo è così.
Esso teme di vedere.

E va bene così, non vuole essere, la mia, neppure lontanamente una sorta di lamentazione; è solo una constatazione basata su decenni di relazione con persone con l’intento di aprire le coscienze al mistero originario.

Allo sguardo esistenziale si perviene di colpo, non gradualmente.

Improvvisamente il cuore s’accende come attraversato da una folgore che rilascia lo specialissimo sapore emotivo che rivela la radicale verità.

Stupore che mozza la parola, senso di stranezza per ciò che fino a quel momento pareva normalissimo.

E talvolta senso di assurdità metafisica e altre di una meraviglia che non ha pari in ciò che può accadere nella mondanità, seppure in condizioni specialissime.

Ho visto, da una montagna, sorgere il sole sull’Himalaya: nel grigio azzurrastro dell’aurora e dell’alba, punte di giallo arancio d’un tratto, infiammavano gli ottomila, ora il più alto e vicino, poi il secondo, lontanissimo ma ben percepibile, poi via via, gli altri in decrescendo.

Uno spettacolo da mozzare il fiato.

1980, Nepal, da Muktinath, tramonto. 

1980, Nepal, da Muktinath, tramonto.  Il sole, dal basso, illumina le nuvole che il Dhaulagiri (m. 8167) perfora.

Ho visto, in perfetta solitudine, una eclissi totale di sole e ho pianto ancestralmente.

E ancora ricordo, da ragazzo appassionato di astronomia, la prima volta che inquadrai Giove e le sue lune, Saturno con gli anelli, Venere con le sue fasi, e poi Andromeda, la galassia più prossima alla nostra, le cento e cento stelle di Cassiopea raccolte in uno spazio ridotto, la nebulosa di Orione.. – il cuore a mille, non mi riusciva di respirare per la meraviglia.

Ho visto nascere i miei figli e ho partecipato attivamente.

Ho visto morire mio padre tra le mie braccia.

E altre esperienze dense ho vissuto.

Ma ciò è poco al confronto del momento in cui realizzai d’essere.

Allorché il nulla, a contrasto, diceva che ero impossibile.
Eppure esistevo.

In un abisso di stupore realizzai il miracolo di nessun Dio – d’essere, e non nulla.
Tale ustione del cuore resta come costante brace ardente in esso e nelle viscere e non mi permette di allontanarmene, di dedicarmi ad altro.

Poche sono le persone con le quali ho potuto confrontarmi a grandi profondità su questo.

Sebbene molti dichiarino di comprendere, mi basta uno sguardo nel profondo delle loro pupille per realizzare che ne sono lontanissimi e che, per lo più, neppure desiderano avvicinarvisi, ma, nel caso migliore, lo temono.

E nel peggiore non ne hanno neppure la più lontana idea o sentore.

Il nulla si rivela a pochi e la Differenza resta dimenticata.

Così è questo mondo – un mondo dell’oblio – e in ciò va rispettato.

Trentotto anni di contemplazione del mistero d’essere hanno fatto maturare in me molto altro.

Alcuni aspetti sono insegnabili, altri meno o per nulla, e di altri ancora è meglio neppure accennare.

L’uomo non li sopporterebbe.

L’insegnamento del mistero d’essere è, in ultimo, una sorta di anomalia nel campo delle “possibilità dell’esserci umano” – usando una espressione heidegeriana.

Pochi s’avvicinano, pochi si risvegliano.

Pochissimi restano svegli apprezzando nel dovuto modo.

Scrivo ciò perché chi – eventualmente – avvertisse in sé quella speciale risonanza; perché sappia che qualcuno se ne occupa a fondo.

Soprattutto che non è solo.