Con piacere vi presentiamo l’esclusiva traduzione in Italiano, a cura di  Manuela Ritte e Franco Bertossa, di alcuni brani scelti tratti dal testo fondamentale del fondatore del Soto Zen. Il testo originale è la traduzione dal Giapponese al Tedesco di Ohashi Ryosuke e Rolf Elberfeld, ed è stato  gentilmente messo a disposizione del Centro Studi Asia dal Prof. Ohashi, che ringraziamo sentitamente. 

SHŌJI (1) Vita e morte


“Dove in mezzo a ‘vita e morte’ (shōji) (2) vi è Buddha, non vi è ‘vita e morte’ (shōji).” Inoltre si dice: “Dove in mezzo a ‘vita e morte’ (shōji) non vi è Buddha, non vi è nessun dubitare (Zweifeln) durante vita e morte (shōji) .” (3)

Queste sono le parole dei due maestri Zen Kassan e Josan. Siccome sono parole di gente che ha acquisito la via, [voi] non dovete lasciarle infruttuose.

Chi aspira a distaccarsi da ‘vita e morte’ (shōji) deve chiarire proprio il senso di questa parola. Chi cerca il Buddha all’infuori di ‘vita e morte’ (shōji) sembra come qualcuno che voglia andare nell’Etsu (4) [del Sud], girando il proprio timone verso nord o come qualcuno che voglia vedere la stella polare girando la propria faccia verso sud; così egli si irretisce sempre di più nella dipendenza di ‘vita e morte’ (shōji) e perde sempre più la via dello stacco (gedatsu) (5) [dalle dipendenze]. È necessario rendersi conto di questo: ‘vita e morte’ (shōji) sono allo stesso tempo nirvana; non c’è niente che si faccia aborrire come ‘vita e morte’ e [parimenti] non c’è neanche niente che si faccia desiderare come il nirvana. Poi [però] diventa per la prima volta chiaro lo staccarsi da vita e morte (shōji). È sbagliato pensare che si vada da shō (vita, nascita, sorgere) a shi (morte, morire). (6)

Sorgere (shō) è uno status nei confronti di un tempo e ha così già [il suo] prima e dopo. Perciò nell’insegnamento del Buddha si dice: sorgere (shō) è allo stesso tempo non-sorgere (fu-shō). Metsu (il cessare, il morire) è ugualmente uno status in rapporto al tempo, e così ha anche [il suo] prima e dopo. Perciò si dice: cessare (metsu) è allo stesso tempo non-cessare (fu-metsu). Nel caso del sorgere (shō) non c’è nient’altro che sorgere (shō); nel caso del cessare (metsu) non c’è nient’altro che cessare (metsu). Perciò si può dire: Se sorgere (shō) ti viene incontro, vi è solamente sorgere (shō), se cessare (metsu) ti viene incontro, ci si abbandoni al cessare (metsu).

[Entrambi] non sono da aborrire, [entrambi] non da desiderare.

[Proprio] questa ‘vita e morte’ (shōji) è la vita degna del Buddha (7). Chi la aborrisce e la vorrebbe buttare via, perderà sicuramente la vita degna del Buddha. Chi però ci starà dentro e rimarrà attaccato a ‘vita e morte’ (shōji), anche egli perderà la vita degna del Buddha e spegnerà la figura del Buddha. Solo quando non si detesta [shōji] e non si desidera [più il nirvana], si è nel cuore del Buddha. Non misurare con il [proprio] cuore, non dire niente con parole.

Chi lascierà e dimenticherà sia il proprio corpo così come il proprio cuore, si slancerà nella casa del Buddha, costui verrà guidato dal Buddha e lo seguirà sempre; costui lascierà ‘vita e morte’ e diventerà Buddha, senza usare sforzo e senza sprecare il proprio cuore.

Chi, in questo modo, potrebbe esitare (ins Stocken kommen) nel proprio cuore?

Vi è una via molto semplice per diventare Buddha: non fare niente di male, non rimanere attaccati a ‘vita e morte’ (shōji), avere compassione di cuore per tutti gli esseri viventi, avere rispetto di tutti i superiori e condividere i sentimenti con tutti coloro che stanno sotto, non detestare niente nel cuore, non desiderare niente nel cuore, essere, nel cuore, tranquillo e non preoccupato; questo significa [essere un] Buddha. Non cercare [lui] da nessuna altra parte.

NOTE:

1 Shōji: vita e morte. Shō: vita, nascere, sorgere, vivo, crescere. Ji (ossia shi): morte, morire. Nishijima/Cross traducono con “Life-and-Death”, Abe/Waddell con “Birth and Death”. Questa locuzione viene anche usata come traduzione della parola sanscrita “samsara”, indicando innanzitutto il ciclo di nascita e morte che finisce con il nirvana. Nel testo tradotto Dōgen divide però i due segni uno dall’altro e li indica allo stesso tempo come appartenenti ad un unico contesto. Se nella lingua tedesca si volesse riprodurre lo stato di cose in una parola, allora si potrebbe dire “VitaMorte”.
2 La parola shōji è in realtà un’unica parola. Siccome non c’è nella lingua tedesca nessuna locazione corrispondente, le due parole “vita” e “morte” vengono connesse attraverso una “e”. Una traduzione più letteraria, ma più insolita potrebbe essere “VitaMorte”, attraverso cui l’unità, ma anche la diversità dei momenti vengono espressi. In questo testo, eccezionalmente, viene sempre anche usata la parola giapponese shōji poichè determina il ritmo del testo.
3 Le due locuzioni vengono citate dal 7° libro del Keitoku dentōroku. Taishō vol. 51, testo 2076, 254.
4 Una zona al sud del fiume Yangzi jiang in Cina.
5 Ge: staccare, slegare; liberarsi, aprire; revocare, annullare; dichiarare, comprendere; decidere; scomporre. Datsu: spogliare, sfilare, buttare a terra, separare, sottrarsi; lasciare (mollare), abbandonare, sbarazzarsi (liberarsi). La parola nomina lo staccarsi da tutti gli attaccamenti che sorgono da desideri egotici (ichhaften Wünschen).
6 A causa della ambiguità di shō e shi, che è stata introdotta intenzionalmente, ci sono in un primo momento le parole giapponesi e poi, tra parentesi, i tre significati fondamentali e poi gli altri due. Successivamente c’è poi solo ancora una parola tedesca come traduzione, seguito dal giapponese tra parentesi.
7 Qui non c’è la parola sinogiapponese “vita” shō, ma il giapponese inochi, corrispondentemente a ciò la parola Buddha non doveva come di solito essere pronunciata butsu (modo di leggere sinogiapponese), ma hotoke (modo di leggere giapponese). Hotoke deriva dal verbo hodokeru (staccar-si).

UJI (1)  Essere-tempo/Ad-un-tempo


Un vecchio Buddha dice (2):
Ad un tempo (uji) (3) stare su un’alta, alta vetta di montagna,
ad un tempo (uji) camminare sul profondo, profondo fondale del mare. (4)
Ad un tempo (uji) [il demone custode] (5) dalle tre teste e dalle otto braccia,
ad un tempo (uji) [il grande Buddha] (6), una volta sedici piedi, l’altra otto piedi.
Ad un tempo (uji) “bastone-e-frustino” (7),
ad un tempo (uji) pilastro e lanterna da giardino.
Ad un tempo (uji) Tizio e Caio,
ad un tempo (uji) grande terra e cielo vuoto.

L’espressione “ad un tempo” significa: il tempo (ji) è [sempre] già [un determinato] dato (u), qualsiasivoglia cosa data è tempo [determinato]. (8)
Questo corpo dorato [alto] sedici piedi è tempo e, poiché [esso] è tempo, [gli] derivano la magnificenza [e] lo splendore dei tempi. [Questo è] da esercitare e apprendere a partire dai dodici attuali periodi della giornata (9).

[Il demone custode] dalle tre teste e dalle otto braccia è tempo – poiché [egli] è tempo, [egli] deve essere uno con il modo degli dodici attuali periodi della giornata. Anche se lunghezza e lontananza, brevità e vicinanza dei dodici periodi della giornata non sono mai [stati] misurati, [ciononostante] [si] chiamano i dodici periodi della giornata.

Siccome le tracce di andare e venire [dei dodici periodi della giornata] sono evidenti, non vengono messe in dubbio. Anche se [i periodi della giornata] non vengono messi in dubbio, ciononostante non sono conosciuti. Siccome non è stabilito che [ossia: come] gli esseri sofferenti (shujō) dubitino delle cose e degli affari da loro di volta in volta non originariamente conosciuti, l’antecedente dubitare non corrisponde necessariamente al dubitare presente. È solo così che il dubbio, [anche] solo per un tratto di tempo, è tempo. Disporre l’io (ware) ha per effetto l’intero mondo. Ogni singola cosa di questo mondo intero è da vedere di volta in volta come tempo. Allo stesso modo come le singole cose non si impediscono reciprocamente, anche tutti i tempi non si impediscono reciprocamente. Insieme col tempo (ji) proviene la mente (shin), insieme con la mente proviene il tempo. Le cose stanno così anche con la pratica (shugyō) e il portare a compimento la Via.

Disponendo l’io (ware), (10) l’io vede questo. Così stanno le cose riguardo al fatto che (dōri) io stesso (jiko) sono tempo. Bisogna insistentemente (sangaku) (11) imparare che proprio questo stato di cose è il motivo per cui sull’intera terra ci sono tantissimi fenomeni e innumerevole piante; e in ogni singola pianta e in ogni singola apparenza vi è l’intera terra. La pratica si avvia proprio con questo andare e venire.

Al tempo in cui questo ambito viene raggiunto, ogni pianta e ogni fenomeno sono [di volta in volta se stessi e l’intero]; il comprendere i fenomeni e il non comprendere i fenomeni sono [di volta in volta se stessi e l’intero]; il comprendere della piante e il non comprendere delle piante sono [di volta in volta se stessi e l’intero].

Proprio perché si dà il giusto e centrato tempo, ogni ad-un-tempo (Zu-einer-Zeit)/ogni essere-tempo (uji) è tutto il tempo e ogni pianta e ogni fenomeno è tempo. Al tempo dei rispettivi tempi vi è ogni ente e l’intero mondo. Rifletti e osserva un momento se tutto l’ente e l’intero mondo, i quali cadono fuori [si staccano] (herausfallen) dal tempo presente, sono oppure no.

Anche se le cose stanno così, al tempo (jijetsu) dell’uomo abituale, in cui [egli] non ha ancora fatto proprio l’insegnamento del Buddha (buppō), nella maggior parte dei casi, quando [egli] sente la parola essere-tempo (uji), [egli] ha la seguente opinione: ad un tempo [in un certo altro tempo] [uji è secondo il suo ricordo] (12) diventato il [demone custode] di tre teste e otto braccia, ad un tempo [in un certo tempo] [uji è secondo il suo ricordo] diventato [il grande Buddha] di una volta sedici, una volta otto piedi. Egli pensa, per esempio, è come [ricordarmi] di aver attraversato un fiume e una montagna. Anche se la montagna e il fiume possano essere ancora lì anche ora, sono venuto da lì e mi sistemo nel luogo di questo meraviglioso palazzo. Io penso: montagna [e] fiume e io [stesso] siamo [così diversi] come cielo e terra. Solo che lo stato di cose non consiste solo in questa unica sequenza di pensieri. Al tempo in cui [io] ho scalato la montagna e ho attraversato il fiume, sono esistito [secondo il mio ricordo]; quindi ci deve essere [questo] tempo [in uno] con me. Io sono già; quindi [questo] tempo non può scomparire. Se il tempo non è nel modo dell’andare e venire, allora il tempo della scalata è l’adesso presente (shikin)(13) di essere-tempo (uji). Se il tempo mantiene il modo dell’andare e venire, così vi è [insieme] con me l’adesso presente di essere-tempo (uji); questo è essere-tempo (uji). Come potrebbe quel tempo della scalata in montagna e dell’attraversamento del fiume non interamente ingoiare e sputare quel tempo nel meraviglioso tempio?

Il [demone custode] di tre testa e otto braccia è il tempo di ieri; il [grande Buddha] di una volta sedici piedi una volta otto piedi è il tempo di oggi. Nonostante ciò lo stato di cose di ieri e oggi è il tempo (jijetsu) in cui mi sono recato direttamente in montagna e ho abbracciato con lo sguardo mille e mille cime; [il tempo di ieri e oggi] non è passato.

Anche il [demone custode] di tre teste e otto braccia accade ogni volta come il mio essere-tempo (uji); anche se sembra essere stato là [altrove e in altro tempo. Nostro], esso è proprio l’adesso (Jetzt) presente.

Perciò anche il pino è tempo e anche il bambù è tempo. Non si deve intendere il tempo solo come se esso volasse via e non si deve imparare che il volare via sia l’unica proprietà di cui il tempo sia capace. Se il tempo fosse fissato solo sul volare via, vi ci dovrebbero essere delle lacune. Se [il tempo si] apprende solo come qualcosa di trascorso, non si esperisce e non si sente niente della via di essere-tempo (uji). Riassumendo e detto in breve: Ogni qualchè di dato (jedes Gegebene) nell’intero mondo è, di volta in volta tempo, in modo interconnesso. Siccome [tutto ciò che è] è essere-tempo (uji), è il mio essere-tempo.

L’essere-tempo (uji) possiede la capacità (kudoku) di un succedersi che sa di eventi (ereignishaftes Verlaufen) (kyoryaku)(14). Questo significa: svolgersi da oggi a domani in un sapore di evento, svolgersi da oggi a ieri in un sapore di evento, svolgersi da oggi a oggi in un sapore di evento, svolgersi da domani a domani in un sapore di evento. Siccome lo svolgimento in un sapore di evento è la capacità del tempo, i tempi di ieri e oggi non stanno né uno sopra l’altro né uno vicino all’altro; nonostante anche [il maestro] Seigen è tempo, [il maestro] Ōbaku è tempo e sono anche tempo [il maestro] Kōzei e [il maestro] Sekitō.

Siccome io e gli altri siamo già tempo, pratica e testimonianze sono di volta in volta tempo. Affondare nel fango e affondare nell’acqua sono ugualmente tempo. Per ciò che concerne il modo di vedere di un non risvegliato, ossia i motivi determinanti (in’nen) della sua visione, [quello] è ciò che egli vede, ma [questo] non è il dharma del non risvegliato. Piuttosto il dharma lascia il non risvegliato essere in nessi causali (in’nen). Siccome egli impara che questo tempo e ciò che è qui non sono il dharma, egli pensa che il corpo dorato del Buddha alto sedici piedi non sia il suo io. Egli cerca di fuggire dicendo che il corpo dorato del Buddha alto sedici piedi non sia il suo io; ma anche questi sono allo stesso tempo frammenti di essere-tempo (uji). Colui che non ha ancora realizzato questo: veda! veda!

Ciò che al presente lascia essere nel mondo il [tempo] disposto (angeordnet) da cavallo e il [tempo] da capra, è proprio questo su e giù che si sofferma [nel] rango di dharma (hō’i)(15), questo andare e venire [dei periodi della giornata]. Anche il [tempo] del topo è tempo, anche il [tempo] della tigre è tempo, anche gli esseri viventi [non risvegliati] sono tempo e anche il Buddha è tempo. In questo tempo testimoniare l’intero mondo nel [demone custode] dalle tre teste e otto braccia e testimoniare l’intero mondo nel corpo dorato del [Buddha grande] sedici piedi. Per mezzo dell’intero mondo esaurire mondanamente (welthaft) l’intero mondo significa esaurire fino in fondo. Portare a compimento il corpo dorato del [Buddha grande] sedici piedi, per mezzo del corpo dorato del [Buddha grande] sedici piedi, [questo] si manifesta pienamente (genjō) come lasciar risvegliare il cuore, la pratica (shugyō), la visione illuminata (bodai)(16) e il nirvana; questo è allo stesso tempo essere dato (u) (Gegebensein) e tempo (ji). L’intero tempo è solo come tutto ciò che è da esaurire a fondo. Oltre a ciò non [vi è] nessun altro dharma.

Poiché [anche] un ulteriore dharma sarebbe [solo] un ulteriore dharma. Anche l’essere-tempo (uji) esaurito [a fondo anche se] solo a metà è l’esaurimento [a fondo del] mezzo essere-tempo (halbe Sein-Zeit).

Anche il piano dei fenomeni che assomiglia ad un mancare è [un] essere dato (Gegebensein).

Se inoltre ci si affida a [ll’ essere-tempo], sia il prima che il dopo che portano il mancare al pieno apparire sono un perdurare di essere-tempo nel rango di dharma. Il luogo in sé del perdurare [nel] rango di dharma (ho’i), mosso in modo vitale, questo è essere-tempo (uji). Non lo si dovrebbe travisare (verdrehen) nei termini di nulla (mu) e neanche rendere forzatamente in qualcosa di dato.

Si calcola il tempo come se fluisse solo in una direzione e non si comprende che [esso] non è ancora giunto. Anche se [questo] comprendere è [a sua volta] tempo, non vi è nessuna relazione [tramite cui esso] viene indotto da qualcos’altro [a trascorrere]. [Il tempo] viene inteso come andare e venire, ma nessuno [lo] smaschera come essere-tempo (uji) perdurante nel rango [di dharma]. Come ci potrà [dunque] essere un tempo in cui viene sfondata la barriera? Anche se si intende il perdurare nel rango [di dharma], chi potrebbe esprimere ciò che è stato ricordato (Behaltenes)? Perfino quando [qualcuno] da molto tempo ha messo in parole questo, ciononostante non c’è nessuno che non abbia più da cercare il volto prima della manifestazione.

Se ci si appoggiasse solo all’essere-tempo (uji) dell’uomo non risvegliato anche risveglio e nirvana sarebbero un essere-tempo (uji) che sarebbe solo nel modo dell’andare e venire.

Ora, la nassa [per pesci] e la gabbia [per uccelli] non perdurano, ma sono essi [stessi] pieno apparire di essere-tempo (uji).(17) I Dei del cielo che ora appaiono nella sfera di destra e sinistra [della statua del Buddha] sono anche essi l’essere-tempo che [io] anche ora porto a compimento con tutto il mio zelo. Anche l’essere-tempo (uji) di tutti i restanti esseri nell’acqua e sulla terra appare pienamente (genjō) in quanto [io] attualmente vi metto tutto il mio zelo. Tutte le specie e generi che sono nel buio e nel chiaro essere-tempo (uji) sono tutti la piena manifestazione in virtù del mio totale zelo, sono un succedersi che sa di eventi (ereignishaftes Verlaufen) in virtù di tutto il mio zelo. Se loro, nel succedersi in un sapore di evento, non fossero in virtù del mio totale zelo, nessun dharma e nessuna cosa apparirebbero pienamente e non si svolgerebbero in un sapore di evento; questo va imparato con insistenza.

Un succedersi che sa di eventi non dovrebbe essere inteso allo stesso modo che il vento e la pioggia, che passa da est ad ovest. L’intero mondo non è né senza mobile cambiamento (bewegliche Wandlung), né senza progresso e regresso, [bensì esso] è un succedersi che sa di eventi.

Per esempio, un succedersi che sa di eventi è come la primavera. In primavera ci sono molte diverse fasi e queste sono da chiamare il succedersi che sa di eventi. Si deve insistentemente imparare che [la primavera] si svolge in un sapore di evento senza che c’è qualcosa all’infuori [di esso]. Il succedersi che sa di eventi della primavera è il succedersi che sa di eventi a causa della primavera. Anche se il succedersi che sa di eventi non è esso [stesso] la primavera, ora la via del succedersi che sa di eventi – siccome è succedersi che sa di eventi della primavera – si compie come tempo della primavera. In modo accurato e sensibile, si deve insistentemente venire e insistentemente andarsene. Se si parla del succedersi che sa di eventi e si immagina che il mondo sia al di fuori [di se stessi] e si vede il dharma del poter susseguirsi (Verlaufenkönnen) che sa di eventi nel fatto che esso attraversi centinaia di migliaia di mondi verso Oriente e trascorra attraverso centinaia di migliaia eoni; chi la pensa così non impara ancora con insistenza e con esclusiva intensità la Via del Buddha.

Il gran maestro Yakusan Kudō si rivolse, per disposizione del gran maestro Musai, al maestro Zen Kōzei Daijaku, con la seguente domanda:

“Quel che concerne i Tre Veicoli (18) e le dodici sezioni del canone (Lehrabteilungen)(19) me lo sono chiarito più o meno del tutto. Però qual’è il significato della venuta di Bodhidharma dall’Occidente?” Essendo interrogato in questo modo il maestro Zen Dajaku replicò: “Ad un tempo (uji) fa sì che alzi le sopracciglia e ammicchi con gli occhi. Ad un tempo (uji) fa sì che non alzi le sopracciglia e non ammicchi con gli occhi. Ad un tempo è nel giusto colui che fa sì che alzi le sopracciglia e ammicchi con gli occhi. Ad un tempo non è nel giusto colui che fa sì che alzi le sopracciglia e ammicchi con gli occhi.”

Yakusan sentì questo, raggiunse il grande risveglio e disse a Daijaku: “Quando una volta mi trentenni dal [maestro] Sekitō, fu come se un moscerino volesse scalare una vacca di ferro.”(20)

Ciò che Daijaku afferra con la sua parola non somiglia a ciò che dicono gli altri. Sopracciglia e occhio devono essere come montagna e mare, siccome montagna e mare sono [uno con] sopracciglia e occhio. “Fa sì che alzi le sopracciglia”, deve essere al contempo il vedere della montagna, “fa sì che ammicchi con gli occhi” deve essere al contempo abbracciare con lo sguardo il mare. “Essere nel giusto” è “per lui” diventato la pratica abituale ed “egli” viene condotto dal “lasciar [accadere]” . “Non essere nel giusto” non è “non lasciarlo [accadere]”, “non lasciarlo [accadere]” non è “non essere nel giusto”. Essi sono tutti [a loro volta] essere-tempo/ad un tempo (uji). Anche la montagna è tempo; anche il mare è tempo. Se essi non fossero il tempo, non ci sarebbero neanche nessuna montagna e nessun mare. Non si deve pensare che nel presente adesso di montagna e mare non ci sia nessun tempo. Se il tempo si spezza, si spezzano anche montagne e mari, se il tempo non si spezza, anche montagne e mari non si spezzano. A causa di questo stato di cose sorgono la stella luminosa, il [Buddha] Nyorai, l’occhio del [dharma] e il sollevare un fiore (21). Questo è tempo. Se essi non fossero il tempo, non sarebbero così.

Il Maestro Zen Kisei da Sekken è allievo-nipote nel lignaggio del Dharma di Rinzai ed è erede di Shuzan. Un tempo (aru toki) disse ai suoi allievi: “Ad un tempo (uji) il senso è raggiunto e la parola non è raggiunta. Ad un tempo (uji) la parola è raggiunta e il senso non è raggiunto. Ad un tempo (uji) senso e parola sono entrambi raggiunti. Ad un tempo (uji) né il senso né la parola sono raggiunti”(22).

“Senso” e “parola” sono entrambi ad-un-tempo/essere-tempo (uji), “raggiungere” e “non raggiungere” sono entrambi ad-un-tempo/essere-tempo (uji). Anche se il tempo del raggiungimento non è ancora alla sua fine, il tempo del non raggiungimento è [già] arrivato. Il senso è un asino, la parola è un cavallo. Il cavallo è da intendere come “parola” e l’asino come “senso”.

“Raggiungere” non è arrivare, “non raggiungere” non è non ancora [arrivare]. Per l’essere-tempo (uji) le cose stanno così. Il raggiungere viene ostacolato dal raggiungimento [di tutti gli altri dharma] e non ostacolato dal non raggiungimento.

Non raggiungere viene ostacolato dal non raggiungere [di tutti gli altri dharma] e non viene ostacolato dal raggiungimento.

Il senso ostacola un [altro] senso e vede [attraverso ciò] il senso. [Una] parola ostacola [altre] parole e vede [attraverso ciò] la parola. [Un] ostacolare ostacola l’ [altro] ostacolare e vede [attraverso ciò] l’ostacolare. L’ostacolare ostacola l’ostacolare – questo è tempo. Anche se ostacolare significa essere usato da altri dharma, non c’è mai stato un’ostacolare che [avesse] ostacolato gli altri dharma. Io incontro delle persone, l’uomo incontra l’uomo. L’io incontra l’io, il venir fuori (scaturire/insorgere)(Hervorgehen) incontra il venir fuori. Se tutti questi non raggiungessero il tempo, non potrebbero essere in questo modo. Inoltre: il senso è il tempo del genjōkōan – la rivelazione del pieno apparire; [una] parola è il tempo del kōjōkanrei – della chiave del portone per la salita. Il raggiungere è il tempo del cadere (Abfallen) della sostanza, non raggiungere è il tempo dell’essere uno e [al contempo] dell’essere divisi. Ci si deve volenterosamente applicare in questo modo, si deve compiere l’essere-tempo (uji)(23) [essere-tempare. Nostro].

Tutti i citati maestri hanno parlato in questo modo. Non c’è forse ancora qualcosa da dire oltre a questo? Da dire è: raggiungere a metà senso e parola. [Anche questo è] essere-tempo (uji). Non raggiungere senso e parola a metà, [anche questo è] essere-tempo (uji). Ci deve essere in questo modo un penetrare insistente (inständiges Ergründen).

Fa sì che alzi le sopracciglia e ammicchi con gli occhi [è] l’essere-tempo (uji) a metà. Non far sì che alzi le sopracciglia e ammicchi con gli occhi [è] allo stesso tempo mancato essere-tempo (uji).

Venire in questo modo in modo insistente e andarsene in modo insistente, pervenire in modo insistente e non pervenire in modo insistente, questo è il tempo di essere-tempo (uji).

Nel 1° anno Ninji [1243] scritto il primo giorno dell’inverno nel tempio Kōshō-hōrin. Nel [primo] anno Kangen [1243] copiato durante il ritiro estivo. Ejo

Immagini di Silvia Siberini

NOTE:

1 Per una dettagliata interpretazione del testo vedi il commento frase-per-frase in: Elberfeld; Fenomenologia del tempo nel Buddismo, 221-331.
2 Il libro Uji inizia con una poesia i cui singoli versi iniziano di volta in volta con la locuzione aru toki ossia uji. Nella lettura aru toki la locuzione significa abitualmente in primo luogo “ad un tempo” e dall’altra parte la locuzione è, nella lettura, una parola che, in Dōgen, nomina il modo di vedere tutto quello che c’è [di cogliere il tutto; nostro].
3 Uji: essere-tempo U: avere, possedere, si dà (es gibt); (fil.) l’essere; (bud.) l’esserci (das Dasein) (skr.) bhavaJi: tempo; stagione, ora; scadenza/termine; giusto tempo, occasione, attuale; ora, di tanto in tanto/ogni tanto; al tempo di, mentre, quando; all’epoca, sempre; tempo (Wetter). Nishijima/Cross traducono con “Existence – Time”, Abe/Waddell con “Being Time”, Heine con “Being – Time”, Wright con “Living Time”, Tsujimura con “Essere = Tempo” (Sein = Zeit).
4 
Questo passo probabilmente si riferisce a una parola di Yakusan Igen. Cfr. il 28° libro del Keitoku Dentōroku. Taishō, v. 51, testo n. 2076, 440.
5 Gli Dei custodi appartengono alle forme di esistenza più basse secondo la cosmologia buddista.
6 Qui la più alta forma di esistenza è intesa nell’immagine di una figura di Buddha.
7 Qui si riferisce ad un maestro Zen.
8 Izutsu commenta: “I shall start by stating forthwith that the central point of Dōgen’s thought, the most important and the most fundamental idea concerning time, is in this case what he intends to convey by his peculiar expression: uji meaning ‘existence-time’. We have already seen in the forgoing, particularly in the explanation of Hua Yen philosophy, the most intimate relationship between ontology and the theory of time in Mahayana Buddhism. This goes back to an old idea which existed in Buddhism already in the earliest phases of its history, namely, that time and thing are absolutely inseparable from one another. Indeed, in the course of its history Buddhism has never regarded time as something subsisting independently of the things. As, for example, a vacant framework, whether ontological or cognitive, which structures things and events in terms of coming into being, existing for some time and then going to nought. Dōgen however, goes a step further. Without remaining content with the primary proposition of Buddhist ontology that time and thing are inseparable from one onother, he directly identifies time with being and being with time. He asserts, in other words, that time is existence and existence is time. ‘To be is to time’. And that is uji, ‘existence-time’, to be strictly distinguished from ‘existence and time’. ‘To be is to time’ – this proposition has its corollary in the proposition that whatever exists is time, that everything in the world is time. ‘The pine tree is time’, he says, ‘and the bamboo is also time’. That this is not a casual remark will spring to the eye if we observe that, for Dōgen, the realization of this fact immediately leads to the experience of enlightenment, the realization of the absolute truth about Reality.” Izutsu, The Field Structure of Time in Zen Buddhism, 334.
9 
Secondo la vecchia cronologia cinese il giorno viene diviso in dodici unità secondo i dodici segni zodiacali.
10 Ware: io Pronome personale della prima persona. Dōgen usa insieme al segno cinese… con la pronuncia ware la variante ware scritta in scrittura di sillabe e il segno (go), che entrambi nominano anche la 1° persona singolare.
11 sangaku: San: partecipare, assistere; ragionare; di fondo. Gaku: imparare, insegnamento. La traduzione deve mettere in evidenza che si tratta di un imparare con tutta la dedizione.
12 In questo passo e nei seguenti Dōgen usa la cosiddetta “forma del passato memorativo”. Questo significa che si tratta di una forma del passato che io stesso ho vissuto, al contrario di un passato di cui ho solo sentito. Cfr. per questo le spiegazioni in: Elberfeld, Fenomenologia del tempo nel Buddismo, 117 e segg.
13 Shikin, nikon- presente, ora presenteShi:(ossia ni): ma, bensì, però, tuttavia. Kin: (ossia kon o ima): ora, oggi. La locuzione può anche essere tradotta con “però ora” nel senso dell’accento sull’ora presente, in cui viene compiuta una determinata azione con enfasi.
14 Kyōryaku: succedersi che sa di eventi. Kyō: filo di ordito in un tessuto; fondamentale, regola; regola mensile; libri canonici; attraversando; passato; passeggero, segno del passato; accadere, fare esperienza di, patire/attraversare; attraverso mediazione di, occuparsi con, procurare, guidare. Ryaku: corso /ciclo delle stelle, calendario; storia; attraversare, durare; patire/attraversare, attraversare, lungo, successione, susseguirsi, correre via. Altre traduzioni fatte finora sono: “passing in a series of moments” (Nishijima/Cross), “moment to moment occurring” (Wright), “flowing” (Welch/Tanahashi), “passage” (Heine; Kim; Yokoi), “Währen” (Tsujimura), “seriatim passagge” (Abe/Waddel).
15 hō’i-rango del Dharma Hō: vedi dharma. I: luogo, posto; trovarsi; inserire; posizione, carica (Posten), rango; posto (Sitz); trono; regnare.
16 bodai: risveglio. Si tratta qui della traduzione fonetica della parola dal sanscritto bodhi, che a sua volta denomina il risveglio in senso buddista.
17 
Cfr. qui il seguente testo nello Zhuagnzi: “Nasse da pesci esistono per i pesci; se uno ha i pesci si dimenticano le nasse. Reti per lepri esistono per le lepri; se uno ha le lepri, si dimenticano le reti. Parole esistono per i pensieri; se uno ha il pensiero, dimentica le parole. Dove trovo un uomo che dimentica le parole, in modo che possa parlare con lui?” Dschuang Dsi. “ Il vero libro del paese dei fiori del sud”, traduzione v. Wilhelm, 283.
18 Skrt. Triyāna . Si tratta qui della divisione delle Vie buddiste nei “Tre Veicoli” che portano al nirvana. La via dello Śrāvaka, letteralmente “uditore” (Hörer), viene identificato dal buddismo-Mahāyāna con l’arhat del buddismo-Hīnayāna che apprende l’insegnamento del Buddha solo per via dell’ “ascoltare” (Zuhören). La via dello Pratyeka-Buddha, letteralmente “risvegliato in solitudine” è la Via di coloro che raggiungono la buddhità solo per se stessi. La via del Bodhisattva, letteralmente “essere di risveglio” è la Via di coloro che rinunciano al nirvana finché tutti gli esseri sono non liberati.
19 Le “le dodici sezioni del canone” nominano nello Zen tutti i contenuti dell’insegnamento buddista. Questa divisione risale ad una divisione più remota con cinque divisioni, la quale in successivo è stata ampliata a nove divisioni. In queste divisioni si tratta di tentativi di studiosi buddisti di sistemare l’insegnamento sotto punti di vista sistematici. Sia i “Tre Veicoli”, sia “ le dodici divisioni del canone “ nello Shōbōgenzo vengono trattati più dettagliatamente nel testo Bukkyō di Dōgen. Cfr. Nishijima/Cross, Master Dogen’s Shobogenzo, Book 2, 60 e segg.
20 La citazione si trova nel 19simo libro dello Shūmon Rentōeyō. Dainihon zokuzōkyō, v. 136, copertina n. 9, quaderno 4, 369.
21 Qui Dōgen allude ad un Kōan dal Mumonkan, in cui il Buddha solleva un fiore e un allievo risponde a questo gesto con un sorriso e mostra con questo il suo risveglio. Cfr. Mumonkan, trad. v. Dumoulin, 52 seg.
22 La citazione si trova nel dodicesimo libro dello Shumon Rentoeyo. Dainihon zokuzokyo, v. 136, copertina n. 9, quaderno 4, 311.
23 Giapp. uji su. Attraverso l’aggiunta “su” la parola uji diventa qui un verbo che è inconsueto e mostra l’uso di un linguaggio creativo da parte di Dōgen.