Con piacere vi presentiamo l’esclusiva traduzione in Italiano, a cura di  Manuela Ritte e Franco Bertossa, di alcuni brani scelti tratti dal testo fondamentale del fondatore del Soto Zen. Il testo originale è la traduzione dal Giapponese al Tedesco di Ohashi Ryosuke e Rolf Elberfeld, ed è stato  gentilmente messo a disposizione del Centro Studi Asia dal Prof. Ohashi, che ringraziamo sentitamente.

Dogen:Shobogenzo (1)

GENJŌKŌAN (2)(3)
Rivelazione pubblica della piena manifestazione

Nel tempo (jisetsu)(4) in cui tutti i dharma5 sono Buddha-dharma (buppō), si danno quindi erramento e risveglio (meigo), si danno pratica (shugyō), si danno sho (vita, nascita, sorgere)(6), si dà shi (morte, il morire), si danno tutti i Buddha, si danno gli esseri sofferenti (shujo).

Nel tempo (jisetsu) in cui i diecimila dharma(7) (bampō) sono privi di io (ichlos), non si danno né errare né risveglio, non si danno né tutti i Buddha, né tutti gli esseri sofferenti, non si danno né sho (vita, nascita, il sorgere), né metsu (il cessare, il morire).

Siccome fin dall’origine la via del Buddha (butsudō) va oltre (sprunghaft) [ogni differenza di] abbondanza e aridità (Kargheit) con un salto, ci sono sho (vita, nascita, sorgere) e metsu (il cessare, il morire), c’è errare e risveglio, ci sono degli esseri sofferenti e dei Buddha. Nonostante le cose stiano così, i petali cadono solo nelle [nostre] tendenze e l’erba prolifera solo nella [nostra] rabbia (8).

Nella pratica, essere presenti (shusho)(9) ai diecimila dharma salvando se stessi (jiko), questo è errare; i diecimila dharma si presentano e testimoniano me stesso (jiko) nella pratica, questo è risveglio. Rendere l’erranza il grande risveglio: [questo fanno] i Buddha. Errare in grande nel risveglio: [questo fanno] gli esseri sofferenti.

Inoltre ci sono degli uomini che raggiungono un risveglio oltre il risveglio e ci sono uomini che errano ancora di più nella erranza.

Quando dei Buddha sono proprio dei Buddha non devono essere consapevoli di se stessi (jiko) in quanto dei Buddha. Nonostante [ciò] la testimonianza del Buddha consiste in ciò di testimoniare continuamente il Buddha.

Anche quando raccolti corpo e mente (shinjin) si guardano dei colori, raccolti corpo e mente si odono dei suoni, per quanto da vicino uno li coglie, non è [questo cogliere], paragonabile a uno specchio che accoglie l’immagine dello specchio, non [è paragonabile] alla luna nell’acqua. Mentre un lato si dimostra, l’altro rimane oscuro. Imparare la via del Buddha significa apprendere se stessi (jiko). Apprendere se stessi significa dimenticare se stessi. Dimenticare se stessi significa essere da sè [nel senso: che va da sè] testimoniati dai diecimila dharma.

Essere da sé testimoniati dai diecimila dharma significa lasciar cadere (totsuraku)(10) corpo-mente (shinjin)(11) di me stesso (jiko)(12) come anche corpo-mente d’altro (tako)(13). La traccia del risveglio può sparire, alla traccia del risveglio [si deve] dare risalto a lungo a lungo.

Quando per la prima volta si cerca il Dharma (14) , ci si allontana molto dal terreno (Umgebung) del Dharma. Se si ha già ricevuto in modo corretto il Dharma, si è allo stesso tempo uno che partecipa dell’origine.

Se si va in barca e si volge lo sguardo e si vede la riva, sembra che la riva si muova. Se invece si fissa molto la barca si sa che è la barca a muoversi in avanti. Così stanno le cose se uno in corpo-mente (shinjin) pensa in modo confuso e nel cogliere i diecimila dharma pensa che il proprio cuore e la propria essenza [o: l’essenza propria] (jishō)(15) siano immutabili. Se ci si dedica totalmente alla pratica quotidiana e si ritorna a questo luogo, allora diventa chiaro questo stato di cose (dōri)(16) , ossia che i diecimila dharma sono privi di io. (17)

La legna da ardere diventa cenere e non può all’inverso diventare di nuovo legna da ardere. Anche se è così non si deve considerare che la cenere sia la cosa più tarda e la legna quella precedente. Si deve [però] sapere che la legna rimane nel rango del dharma (hō’i)(18) della legna da ardere e possiede un prima e un dopo. Anche se possiede un prima e un dopo, gli ambiti del prima e del dopo sono recisi (zengosaidan)(19). La cenere è [anch’essa] nel rango del Dharma della cenere e possiede il suo prima e il suo dopo. Come la legna da ardere, dopo che è diventata cenere, non diventa più legna, così l’uomo, dopo che è morto, non diventa più vivo. Siccome le cose stanno così, non si dice, vita diventa morte; questa è la ferma legge del Buddha-Dharma e quindi significa: non-sorgere (fushō).

Il fatto che la morte non diventa vita è il consolidato girare della ruota del Dharma (hōrin)(20) da parte del Buddha e in ciò si dice: non-cessare (fumetsu)(21). Vita è uno status rispetto ad un tempo, la morte è anche uno status rispetto ad un tempo. Come per esempio inverno e primavera. Non si pensa, inverno diventi primavera; non si dice primavera diventi estate.

L’uomo raggiunge il risveglio (satori), così come la luna si trova nell’acqua. La luna non si bagna, l’acqua non viene perturbata. Nonostante i suoi raggi vadano molto in lontananza e siano ampi, soggiorna [perfino] in acqua poco profonda. L’intera luna e anche l’intero cielo si ritrovano nella rugiada dell’erba e anche in una goccia d’acqua. Il risveglio non spezza l’uomo, così come la luna non perfora l’acqua. L’uomo allo stesso modo non ostacola il risveglio così come le gocce e la rugiada non ostacolano cielo e luna. La profondità [dell’uno] deve corrispondere alla misura dell’altezza [dell’altro]. La grande acqua e la piccola acqua, ampiezza e strettezza di cielo e luna si devono esaminare [solo] in base a lunghezza e brevità [di ogni] tempo (jisetsu).

Chi non ha ancora corpo-mente (shinjin) interamente saziato del Dharma pensa che il Dharma basti del tutto. Quando corpo-mente sono riempiti interamente dal Dharma si pensa che qualcosa manchi ancora. Se si va, per esempio, in barca in mezzo al mare finché nessuna montagna [è più visibile] e si guarda nelle quattro direzioni, [il mare] appare solo circolare e non vi è da vedere nessun’altra forma. Anche se è così questo grande mare non è né circolare né quadrato e le altre qualità (toku)(22) del mare non si possono in questo modo esaurire. [Esso è] come un palazzo [per i pesci] e come una collana di perle [per le creature del cielo](23).

Esso appare temporaneamente circolare solo fin dove giungono i miei occhi. Lo stesso vale anche per i diecimila dharma. E’ vero che l’essere immersi nel polveroso mondo quotidiano e l’essere fuori dal mondano irretimento offrono molte caratteristiche, ma si intravede e comprende solo fino dove giunge l’occhio guadagnato nello studio insistente. Per sentire la natura (le abitudini familiari) dei diecimila dharma si deve sapere che i diecimila dharma non sono (hanno l’aspetto di) solo quadrati o circolari, ma che le restanti qualità (toku) del mare e delle montagne sono numerosi e inesauribili e che ci sono anche mondi (sekai) in tutte le quattro direzioni. Si deve sapere che è così non solo nella zona [intorno a me], ma qui [proprio dove sono io] tanto quanto in ogni singola goccia.

Se dei pesci nuotano nell’acqua, non c’è, per quanto possano nuotare, nessun limite nell’acqua; se degli uccelli volano nel cielo non c’è , per quanto lontano possano volare, nessun limite nel cielo. Se le cose stanno così, i pesci e gli uccelli dall’antichità non hanno mai abbandonato l’acqua e il cielo. Se il bisogno (Bedarf) è grande, l’utilizzo è grande. Se il bisogno è piccolo anche l’utilizzo è piccolo. In questo modo [si può dire]: anche se [pesci e uccelli] non lasciano mai inesaurito il limite del [loro] territorio e vagabondano sempre dappertutto, gli uccelli muoiono appena abbandonano il cielo e i pesci muoiono appena abbandonano l’acqua. Si deve sapere: attraverso l’acqua si forma vita e si deve sapere: attraverso il cielo si forma vita. Una volta si forma la vita attraverso degli uccelli, una volta si forma vita attraverso dei pesci. Attraverso la vita devono essere formati dei pesci e attraverso dei pesci deve essere formata la vita. Oltre questo ci deve essere un ulteriore sviluppo. C’è la testimonianza attraverso la pratica (shūshō) e corrispondentemente a ciò vi è ciò che vive a lungo e che è vivo.

Se ci fossero degli uccelli o pesci che vogliono spostarsi nell’acqua o nel cielo soltanto dopo aver raggiunto il limite dell’acqua e del cielo, non potrebbero perciò trovare né nell’acqua né nel cielo la via o il loro luogo (tokoro). Trovare questo luogo significa che secondo gli atti quotidiani si manifesta la piena manifestazione (genjōkōan su)(24).

Trovare questa via significa che secondo gli atti quotidiani il rendersi manifesto del pieno apparire c’è. Siccome questa via, questo luogo non sono né grandi né piccoli, non appartengono né a noi né ad altri, non sono qualcosa che viene dal passato, né qualcosa che trapeli nel presente, le cose stanno proprio così.

Allo stesso modo vale: se gli uomini testimoniano attraverso la pratica la via del Buddha, allora affrontano un Dharma e lo comprendono fin in fondo, incontrano una pratica e si esercitano nella pratica.

Siccome c’è per questo un luogo e la via porta fino all’ultimo, il limite da conoscere non può essere conosciuto, poiché questo sapere sorge e agisce solo con l’esaurimento completo del Buddha-Dharma. Non pensare che il luogo raggiunto necessariamente pervenga a prendere coscienza di se stesso e che venga conosciuto dal sapere intellettivo. Anche se si manifesta subito pienamente un penetrare che testimonia (erweisendes Ergründen), l’essere (mitsu’u),(25) che è nascosto, non è necessariamente in [un] pieno manifestarsi (genjō). Come mai è necessario il manifestarsi della comprensione?(26)

Mentre il maestro Zen Hōtetsu della montagna Mayoku stava utilizzando il suo ventaglio, venne un monaco e gli chiese: “Poiché la natura [del] vento è presente in modo costante (beständig), non c’è alcun luogo in cui non circoli (kreist). Perché il venerabile maestro utilizza ancora il suo ventaglio?” Il maestro dice: “Tu sai solo che la natura [del] vento è costantemente presente, ma non conosci ancora il [significato del] fatto che (dōri)(27) esso circola in ogni luogo.” Il monaco dice: “Come stanno le cose rispetto al fatto che esso circola in ogni luogo?” – A questo punto il maestro continua solamente ad usare il suo ventaglio. Il monaco si inchina profondamente.(28)

L’esperienza testimoniante del Buddha-dharma e il sentiero vivente (der lebendige Weg) della retta trasmissione sono così. Chi pensa che non si debba utilizzare il ventaglio poiché [la natura [del] vento] è costantemente presente e che si debba percepire il vento anche se non si utilizza [il ventaglio], costui non conosce né la costante presenza (Beständigsein) né la natura [del] vento. Proprio perché la natura del vento è di essere costantemente presente, il vento dei Buddisti fa pienamente apparire la grande terra come oro giallo e fa diventare latte cagliato il lungo fiume.

Shōbōgenzō Genjōkōan 1. [capitolo] Scritto a metà dell’autunno del primo anno Tempuku [1233] e affidato al discepolo laico Yō Kōshū del Chinzei. Inserito nel quarto anno Kenchō [nel 1252 nella raccolta Shōbōgenzō].

Immagine di Silvia Siberini

NOTE:

1 Shōbōgenzō: tesoro pubblico del retto occhio del dharma Shō: integro; retto; giusto; principale [in tedesco haupt- da premettere ad altri termini]; vero. Bō: vedi dharma. Gen: occhio, vedere, il guardante. Zō: recondere, celatezza; magazzino, camera, tesoro; nel linguaggio del Buddismo anche “canone di scritti sacri”. Nishijima/Cross traducono con “The Right-dharma-Eye Treasury”; Nishijima/Linnebach traducono con “La camera del tesoro del vero occhio del dharma”. Sotto la denominazione Shōbōgenzō sono conosciuti tre testi dalla tradizione buddista Zen: 1. Sotto il titolo cinese Zhengfayanzang viene trasmessa la raccolta di Kōan di Dahui Zonggao (1089-1163). In ciò si trovano e sono commentati 661 discorsi e incontri di maestri Zen. Con Dahui la istruzione per Kōan nel Buddismo Zen poteva considerarsi stabilita durevolmente.
Sotto la denominazione Shōbōgenzō Sanbyakusoku, Mana o Shinji Shōbōgenzō è stata tramandata una raccolta in lingua cinese di 301 Kōan, composta probabilmente dallo stesso Dōgen intorno al 1235 (cfr. Heine, Dōgen and the Kōan Tradition, 257 segg. In esso v’è una lista di tutti i Kōan della raccolta). Egli incorpora i singoli Kōan in molti passaggi delle sue conferenze e dei testi.
Lo Shōbōgenzō in lingua giapponese il quale in quanto opera principale di Dogen [ci] viene tramandato in diverse edizioni che sono elencate in parte in questo libro.
2. Stesura riveduta/ritoccata della traduzione che Ōhashi e Brockard hanno pubblicata nel Philosophischen Jahrbuch nel 1976.
3 Rivelazione pubblica della piena manifestazione. Gen: apparire, manifestarsi, diventare, mostrarsi, visibile; ora, presente. Jō: compiere, andare bene, riuscire, diventare, completo, l’intero. Kō: pubblico, denominazione da venerato del nobile o del monarca. An: riflettere, meditare, processo; tavolo, atti, protocollo; caso, vicenda. La locuzione non è un’invenzione di Dōgen, ma si trova per esempio già in Engo Kakugon. Nishima/Cross traducono con “The Realized Universe”; Aitken/Tanahashi: “Actualizing the Fundamental Point”; Ohashi/Brockard: “Pubblica comunicazione dell’essere presente del mondo nella sua interezza”.
4 Jisetsu: ji: tempo (vedi anche le spiegazioni riguardo a Uji). Setsu: nodo al bambu; sezione; sezione di tempo; vicenda; battuta di tempo (mus.). Oggi la parola viene usata nel significato di stagione (meteo), “Saison”, stagione (tempo per q.sa).
5 “Tutti i dharma” è una frase fatta per “tutto l’essente” (alles Seiende). Vedi spiegazioni delle parole.
6 In questo e nel seguente passaggio la parola giapponese viene aggiunta nel testo principale per poter mantenere l’ambiguità della parola.
7 dharma (skrt.): La parola dharma ossia hō in giapponese significano “legge”, “norma dell’azione”, “ordine”, “regola” e “costume”. L’uso particolare del linguaggio buddista nomina con la parola innanzitutto l’insegnamento del Buddha e al contempo le cose esistenti in quanto singole circostanze, i quali però sempre solo appaiono in quanto connessi con altri. Siccome la parola è ormai registrata nella terminologia del settore, non viene tradotta nel testo, per mantenere consapevolmente la polivalenza della parola.
8 Le prime tre sezioni riassumono in un modo molto denso l’intero testo. La prima sezione inizia con la frase: “Nel tempo (jisetsu) in cui tutti i dharma sono Buddha-dharma…” Questo ha più o meno il seguente significato: nel tempo in cui la pratica è progredita al punto che ogni ente in quanto tale è, di volta in volta, il vero ente o che ogni ente del mondo viene esperito come vero; in questo tempo tutto ciò che è viene affermato come essente. Ma come allude l’espressione “nel tempo in cui ..”, questa affermazione (dell’essere) è solo un aspetto poiché il dharma è, secondo il canonico intendimento fondamentale del Buddhismo, non una sostanza qualsiasi, un ente, ma, in ultimo, “senza sostanza” e “privo di io”. Questo è il senso della seconda frase: “Nel tempo (jisetsu) in cui i diecimila dharma sono privi di io (ichlos)…”. In quel tempo non c’è ciò che di solito sembra essere: il nascere e cessare dei Buddha e degli esseri sofferenti, errare e risveglio e cose del genere. Se, quindi, la prima frase significa l’essere, allora la seconda vuol dire il Niente.
Però anche questa seconda sezione inizia con l’espressione: “Nel tempo in cui…”. Quindi anche la negazione (dell’essere), il Niente, è solo un aspetto del dharma e per questo la terza frase inizia con: “Siccome la via del Buddha originariamente va con un salto, di colpo, oltre (sprunghaft) [ogni differenza di] abbondanza e aridità…”. Abbondanza e aridità nominano essere e Niente. La via del Buddha e il dharma vanno quindi con un balzo oltre essere e Niente e trascendono questo contrasto.
Il dharma, in questo terzo senso, non sta però in un luogo trascendente oltre essere e Niente, piuttosto questo stessi essere e Niente sono a questo punto saltati oltre il contrasto tra essere e Niente. Tuttavia con l’ultima frase della terza sezione Dōgen unisce i tre passi con un silenzioso sorriso, facendo notare al lettore la realtà del giardino davanti alla sala di meditazione, in quanto un Genjōkōan vivo; poiché non ci sono petali cadenti se non nelle nostre inclinazioni e nessuna erba proliferante se non nella nostra rabbia, ma queste tendenze e questa rabbia esistono come esiste il giardino.
9 shūshō: in contrasto alla prova, solo nell’eseguimento succede la prova
10 totsuraku ossia datsuraku: cadere/staccarsi, vedi Shinjindatsuraku: cadere di corpo e mente, ShinjinDatsu: levarsi, strappare, scrollarsi di dosso, separarsi, sottrarsi; lasciar cadere/lasciar andare, levarsi, togliersi. Raku: fogliame cadente; cadere, lasciar cadere; scomparire, cessare; inizio, iniziare.
11 Shinjin: corpo e mente, corpo-mente, Shin, kokoro: corpo (ted.: Leib); persona ; in persona, personale; tempo di vita, vita. Jin (ossia shin): mente; inclinazione, piacere, senso, intenzione, sentimento, sensazione; intelletto, pensiero; spirito, (dimensione) interiore; centro. skrt. citta. Con la traduzione “mente” è inteso che sentimento, sensazione, volontà e alla fine tutte le attività coscienziali non sono da considerare separate l’una dall’altra. Nella traduzione si trova “corpo-mente”, mentre nell’introduzione viene usata più spesso l’inabituale locuzione “corpo-mente”.
12 jiko: se stessi, stesso/in persona, ji: stesso/in persona, personale; da sé; autonomo. Ko: stesso, proprio, personale. La parola può essere tradotta con “se stessi” o con “stesso”, ma in entrambe le traduzioni è da sottolineare l’autoriferimento. Nella traduzione “se stesso” non si tratta esplicitamente di un “se stessi” sostantivato, ma del riferimento trasparente e risvegliato a se stessi.
13tako: altro, un altro sé, Ta: egli, altro. Ko: stesso, proprio, personale. Forma anonima di jiko
14 Dharma significa qui l’insegnamento del Buddha
15 Jishō: essenza propria, Ji: vedi JikoShō: essenza, natura, carattere, qualità
16 Dōridō: via, traiettoria; andamento del mondo; ordine del mondo; retta via; parlare; dire. Ri: disegno di linee in una giada; linee fondamentali, tratti fondamentali; ordine; intima natura delle cose. Con la traduzione “stato di cose” deve essere sottolineato che si tratta in Dōgen sempre di stati concreti relativi al corpo, stati da intendere come un intreccio di relazioni.
17 Dōgen rappresenta una particolare dottrina per ciò che riguarda il riferimento tra pratica e risveglio. In rapporto al vigente insegnamento di allora che tutti gli esseri sono già originariamente risvegliati, fin da molto presto Dōgen nutriva in sé già la domanda se allora la pratica buddista potesse avere ancora un senso. Egli risolve questa domanda pensando che per lui la pratica è allo stesso tempo sempre risveglio e risveglio è sempre allo stesso tempo pratica. Con questo tenta di superare qualsiasi possibile residuo sostanzialista, nel senso che “risveglio” non è già qualcosa (corsivo del traduttore) “di dato” a partire dall’inizio. E’ importante da prendere in considerazione che per Dōgen tutto può diventare pratica in senso Buddista; non solo un’esecuzione rituale nel senso più stretto, ma tutto ciò che l’uomo fa, può essere “pratica”. Non ci deve essere l’equivoco che pratica sia un semplice studio di qualcosa per poi padroneggiarlo. Non si dà una pratica a cui poi segua un risveglio ancora da raggiungere. “Pensare che pratica e risveglio non siano uno, è un’opinione esterna. Nel BuddhaDharma pratica e risveglio sono la stessa cosa. Siccome ora anche [la pratica] è praticare nel risveglio, la prassi dello Zen del principiante è già il tutto del vero e proprio risveglio. Siccome le cose stanno così, nella preparazione alla pratica viene detto: non aspettare il risveglio all’infuori della pratica, siccome essa deve far mostrare il vero e proprio risveglio immediatamente. Se risveglio è già nella pratica, non c’è nel risveglio nessun limite, se la pratica è nel risveglio non c’è nella pratica nessun inizio.” Dōgen, Bendōwa.
18 hō’i: rango del Dharma, vedi Dharma. I: luogo, posto; trovarsi; inserire, posizione, posto, rango; seggio; trono; regnare
19 Zengosaidan – recisione di ‘prima e dopo’, Zen: prima. Go: dopo. Sai: punto di contatto, limite, bordo; luogo; tra; occasione, circostanza; momento. Da: tagliare via, dividere, interrompere, decidere, decisione.
20  Hōrin: ruota del Dharma, Hō: vedi Dharma. Rin: ruota. Hōrin significa il girare la ruota del Dharma, cioè l’attualità dell’insegnamento del Buddha.
21 fushō-fumetsu – non divenire-non cessare, Fu: non, in-. Shō: vita, partorire, far nascere, formare, nascere, crescere; fresco, acerbo, (in senso buddista:) esistenza, nascita: Vedi Shoji. Metsu: affondare, cessare, spegnere, annientare; impermanenza; nirvana
22 Toku: qualità; virtù, caratteristica; merito; capacità; effetto.
23 Secondo una dottrina del Buddismo diversi esseri vedono il mare molto diversamente: per i pesci è un palazzo, per gli Dei una collana di perle, per gli uomini semplicemente acqua e per i demoni sangue e pus.
25 Mitsu’u: l’essere nascosto. Mitsu: occultato, misterioso, nascosto. U: vedi Uji.
26 Possibile lettura alternativa della frase: “La riuscita della conoscenza è incerta”.
27 Dōri. Dō: via, traiettoria; andamento del mondo; ordine del mondo; retta via; parlare; dire. Ri: disegno di linee in una giada; linee fondamentali, tratti fondamentali; ordine; intima natura delle cose.
28 La citazione si trova nel 4° libro del Shūmon Rentōeyō. Cfr. Dainihon zokuzōkyō, v. 136, copertina n. 9, quaderno 3, 252.