Merleau-ponty e Heidegger: una domanda sempre aperta come risposta al problema del rapporto uomo-mondo

Merleau-Ponty lascia intendere che il pensiero puro si realizza soltanto allorché la filosofia spinge l’interrogativo fino a domandare che cosa significhi pensare, che cosa significhino il mondo, la storia, la politica e l’arte. Il pensiero stesso, secondo il filosofo francese, può e deve trovare la propria strada accogliendo lo stesso enigma che tormenta anche il pittore: proprio la riflessione sulla pittura farà emergere nel suo pensiero la possibilità di una parola nuova (molto più vicina all’espressione letteraria e persino poetica), in grado di sottrarsi a tutta una serie di artifici tecnici che una certa tradizione accademica ha fatto credere inseparabile dal discorso filosofico.

Sul tema di una nuova interrogazione che prende in esame il rapporto uomo-mondo troviamo impegnato anche il filosofo tedesco Martin Heidegger. Riflettendo sulle tematiche da sempre poste dall’Uomo intorno alla creazione artistica, egli mette in campo un’ipotesi di lavoro molto coraggiosa e coinvolgente, ritenendo che qualunque risposta si dia agli interrogativi sul problema dell’origine dell’opera d’arte queste assumono la forma di problemi dell’essenza dell’arte. Per il filosofo tedesco, i tentativi di risposta dati dall’uomo nel corso del tempo potrebbero essere il frutto di un’abitudine nei riguardi del visto; a tal proposito afferma: «Ciò che ci si presenta come naturale non è che l’abitudine d’una lunga abitudine che ha dimenticato il disabituale da cui deriva. Quel disabituale ha tuttavia, un giorno, còlto l’uomo di sorpresa come qualcosa di straordinario, ed ha riempito il pensiero di meraviglia1».

Seguendo il filosofo nel saggio dedicato all’opera d’arte, attraverso la riflessione su un dipinto di Vincent Vang Gogh in cui compare una natura morta raffigurante un paio di scarpe (a sinistra: Un paio di scarpe, 1886, Amsterdam, Van Gogh Museum), emerge un pensiero dell’essere alternativo a quello della metafisica. Heidegger, infatti, desidera innanzitutto rifiutare la terminologia in uso e ripensarne radicalmente i concetti di cosa, ente e verità.

Al fine di riuscire a comprendere l’essenza dell’arte, Heidegger decide di partire dal concetto comune di cosa, considerando le opere d’arte nella loro materialità e maneggiabilità, per cui sembrano appartenere al dominio delle cose, seppur non siano delle mere cose, e inizia descrivendo come sono fatti gli oggetti rappresentati, ovvero le scarpe; in seguito le delinea nel loro uso quotidiano, nel momento in cui la contadina le indossa, quando le toglie, la domenica e nei giorni di festa quando non le usa, arrivando, infine, al momento in cui l’oggetto scarpa, attraverso l’artista, diventa opera. A questo punto, l’osservatore davanti al quadro si trova in una dimensione completamente diversa da come nel quotidiano ci si trova ad osservare un semplice paio di scarpe. Nell’uso quotidiano la contadina indossa semplicemente le sue scarpe, facendo emergere la sola usabilità, ovvero l’essere mezzo del mezzo, riposando in essa, nella fidatezza, attraverso il mezzo; dirà Heidegger: «Essa è certa del suo mondo2». Solo attraverso l’opera, infatti, l’osservatore arriva a conoscere cosa realmente siano quelle scarpe ed Heidegger precisa: «Il quadro di Vincent van Gogh è l’aprimento di ciò che il mezzo, il paio di scarpe è in verità. Questo ente si presenta nel non-nascondimento del suo essere. Il non-essere-nascosto dell’ente è ciò che i Greci chiamavano verità. Noi diciamo “verità”, e non riflettiamo sufficientemente su questa parola. Se ciò che si realizza è l’aprimento dell’ente in ciò che esso è e nel come è, nell’opera è in opera l’evento della verità3».

La vera natura della cosa emerge, dunque, ponendosi di fronte al quadro, è in relazione ad essa che affiora la verità dell’opera d’arte, discostandosi completamente dall’abituale idea di cosa sia mezzo, e di cosa sia mera cosa. L’artista non ci racconta dei procedimenti di fabbricazione delle scarpe, e neppure di una descrizione di natura come esatta rappresentazione dell’oggetto: Vincent van Gogh, attraverso l’uso del suo segno, lascia che sia il quadro stesso a parlare.

L’opera a questo punto svela tutto il mistero dell’indicibile rapporto con ciò che è cosa, su cui sia Heidegger che Merleau-Ponty indagano, nel tentativo di avvicinarsi il più possibile alla riformulazione di un linguaggio che possa parlare senza ricorrere alla metafisica e senza il bisogno di ingabbiare il dire in un sistema teorico, congelando la domanda sul mondo.

Heidegger dice di essere ben lontano dal risolvere l’enigma riguardo alla domanda che “cos’è opera d’arte?” e attraverso di essa “cos’è cosa?”: il suo saggio Sull’origine dell’opera d’arte, infatti, non dà alcuna risposta, nel senso classico del termine; una possibile risposta, secondo il filosofo tedesco, è la sempre costante interrogazione sul rapporto uomo-mondo: il ri-questionare tutto ciò, all’apparenza, ci si presenta come risposta.

Merleau-Ponty, confrontandosi con l’atteggiamento di ricerca di un artista come Cézanne, afferma che il filosofo dovrebbe trovare la stessa forza espressiva nel raccontare l’essenziale del visibile e dell’invisibile. L’opera dell’artista si presenta come la testimonianza di un’interrogazione interminabile, che si ripropone di opera in opera, senza porsi lo scopo di dover trovare sbocco in una soluzione, e, tuttavia, approda a una conoscenza: «La visione del pittore non è più sguardo su un di fuori, in una relazione meramente fisico-ottica col mondo. Il mondo non è più davanti a lui per rappresentazione: è piuttosto il pittore che nasce nelle cose come per concentrazione e venuta a se del visibile, e il quadro, infine, può rapportarsi a una qualsiasi cosa empirica solo a condizione di essere innanzitutto autofigurativo, può essere spettacolo di qualche cosa solo essendo spettacolo di niente, perforando la”pelle delle cose”, per mostrare come le cose si fanno cose, e il mondo mondo4». I due filosofi, pertanto, ci conducono sulle rotte di un nuovo pensare mirato a tenere costantemente aperta l’interrogazione sul mondo.

A cura di Maria Rapagnetta, ideatrice e realizzatrice degli appuntamenti Incontrasi nell’arte.

Temi correlati: 

Uno sguardo sulla filosofia “soggettiva” del Novecento

Note:

[1] Martin Heidegger, L’origine dell’opera d’arte in Sentieri interrotti, pag. 10, a cura di Pietro Chiodi, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia Editrice, 1999
[2] Martin Heidegger, L’origine dell’opera d’arte in Sentieri interrotti, pag. 20, a cura di Pietro Chiodi, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia Editrice, 1999
[3] Ibidem, pag. 21
[4] Maurice Merleau-Ponty , L’occhio e lo spirito, pag.49, Se, Milano 1989