Maria Rapagnetta, conduttrice degli eventi di Incontrarsi con l’Arte, ha dialogato con l’artista di origine giapponese (qui sotto ritratta dal fotografo Flavio Gallozzi), sul lavoro della quale, in marzo, vi avevamo già segnalato un’interessante iniziativa nell’ambito della personale ospitata dalla BluGallery di Bologna.

Buona lettura!

 

Domanda: In che momento del tuo percorso hai compreso che desideravi dedicarti alla creazione artistica?

Risposta: Il desiderio di dedicarmi alla creazione artistica forse l’avevo già da quando ero piccola: mi ha sempre affascinato usare i colori sulla carta; ma nell’adolescenza ho cominciato ad avere l’esigenza di creare ed è stato il momento in cui ho dovuto prendere la decisione per la strada da seguire. Ho avuto un’esigenza forte, perché mi sembrava che solo nella creazione artistica potevo trovare la mia identità vera.

Da piccola mi faceva soffrire molto la sensazione di perdere facilmente la mia individualità quando mi trovavo nello spazio pubblico, soprattutto a scuola. Ho avvertito questa sofferenza quando sono ritornata in Giappone dopo un’esperienza di alcuni anni di soggiorno in Germania, tra i tre e i cinque anni.

Nell’educazione giapponese tradizionalmente è molto importante la collaborazione con gli altri, ma da questa tendenza nasce l’atteggiamento abbastanza severo nei confronti di un individuo diverso dagli altri. Invece il Occidente è più importante far crescere liberamente ogni bambino con le diverse capacità.

Il passaggio da questi ambienti così diversi nell’età infantile, momento di formazione e conoscenza verso il mondo esterno, mi ha creato sempre confusione nel mantenere la mia identità nello spazio pubblico.

Nella creazione artistica ho trovato la soluzione migliore per superare la sofferenza e, in seguito, anche per costruire cose nuove.

D.: Il tema principale delle tue opere è costituito dal rapporto con la natura. Puoi raccontare come nasce questa ispirazione?

R.: Il rapporto con la natura nelle mie opere deriva dalla mia abitudine di osservare l’ambiente (la pioggia, le piante, gli uccelli, ecc.) e sovrapporre la mia coscienza su questi oggetti.

L’attenzione per la natura mi è nata sicuramente osservando il cambiamento delle stagioni in Giappone, cambiamento che avviene in maniera molto delicata.

Il mio lavoro non è collegato direttamente allo scintoismo, ma la religione scintoista mi ha insegnato ad elaborare il silenzio della natura, che a volte è anche rumoroso.

D.: La maggior parte dei tuoi lavori sono realizzati con la tecnica xilografica. Puoi spiegarci il perché di questa scelta?

R.: Il primo motivo è che amo molto l’effetto semplice e morbido dato dal legno; l’altro motivo che è una tecnica adatta a realizzare la mia filosofia, i segni della xilografia diventano le ombre. Il tessuto-garza rappresenta le immagini primordiali che si costruiscono stratificando le centinaia di memorie, e queste sono come le ombre proiettate nella mente.

D.: In questi anni trascorsi in Italia e in Europa, dal punto di vista artistico, cosa trovi di più coincidente con la tua cultura d’origine? Trovi più comunanze o più differenze?

R.: Forse trovo più differenze. Innanzitutto in Giappone fino a circa cento anni fa non esisteva il concetto dell’arte, esisteva solo l’artigianato per decorazioni di mobili, piatti, paraventi, statue buddiste; in questo ambiente è stata ricercata profondamente la parte spirituale della creazione, invece della parte concettuale come si fa in Occidente. Anche oggi diciamo spesso che l’arte non è spiegabile, ma si può solo sentire. In Italia nelle mie creazioni mi affascina di più integrare la parte mancate sia orientale che occidentale.

D.: Secondo la tua esperienza l’arte può essere concepita come via di conoscenza?

R.: Sì, ad ogni creazione artistica prima di realizzarla c’è bisogno della ricerca abbastanza profonda nella mente, per capire la forma adatta per quello che si vuole esprime. Proseguendo il percorso della creazione spesso si arriva a un punto straordinario che non si poteva immaginare prima.