In questi giorni è uscito in Italia il nuovo film di Alina Marazzi, Tutto parla di te. Un film coraggioso che, con molta poesia e delicatezza, finalmente evidenzia la solitudine e la sofferenza che accompagna molte donne nelle settimane e nei mesi dopo il parto, sofferenza che troppo spesso sfocia in depressione. Questo film mi ha fatto riflettere su quanta sofferenza si potrebbe evitare riconoscendo che dare alla luce un bambino è un evento che può risvegliare, soprattutto in persone sensibili, le domande esistenziali più profonde che ci abitano e di cui, come esseri umani, siamo capaci: cosa vuol dire che questo bambino adesso c’è e prima non c’era? Chi è? Chi sono io? Sarò all’altezza di tutto ciò? Adesso che è nato poi dovrà morire, che senso ha tutto questo?

Certo, affiorano anche sensazioni di felicità, di gioia, ma quelle la donna se le aspetta, mentre raramente le viene detto che potrebbero emergere anche sensazioni di stranezza, sconosciutezza, inadeguatezza, timore di non essere all’altezza di questo enorme evento. Soprattutto quasi mai le viene detto che queste sensazioni, seppure non piacevoli, sono invece di grande valore, testimoniano la sua sensibilità e capacità di cogliere la grandiosità dell’evento.

In genere invece la donna – e chi le sta intorno – giudica negativamente questo sentire, sentendosi in colpa di provare sensazioni non piacevoli; la neo mamma quindi, credendo di sbagliare, si chiude in se stessa, si considera una cattiva madre… creando le basi per una successiva depressione che si sarebbe potuta evitare, se solo avessimo dato il giusto valore a quelle sensazioni.
Anche quando si tende a considerare ancora ‘normali’ e non patologici, quelli definiti però ‘disturbi’ dell’emotività che si verificano in circa 80-85% delle donne dopo il parto, di nuovo tutto questo viene imputato a un cambiamento ormonale che passerà nel giro di qualche giorno. Ancora una volta quindi parliamo di un disturbo che, per fortuna, passerà a breve. L’atteggiamento, anche se non ancora allarmistico, non è di accoglienza, di valorizzazione e quindi di desiderio di comprensione di quel che accade.

Una nuova vita può risvegliare invece domande sul senso dell’esistenza di una vita: perché nascere se poi dobbiamo morire? Perché esiste la vita? Avrebbe potuto non esistere, invece esiste e così precisamente anche da potersi chiedere su se stessa. Non è incredibile?
Ci stiamo allontanando, con conseguenze sempre più gravi, dalle domande fondamentali di cui siamo portatori confondendole addirittura con cambiamenti ormonali! Crediamo inoltre che il saper descrivere dei fatti, come per esempio la nascita di un nuovo essere, voglia dire spiegarli. Scambiamo sensazioni pregne di valore con un’anomalia, una disfunzione, un inizio di patologia e ci sentiamo o facciamo sentire in colpa, o comunque ‘sbagliato’, chi le vive.

Come cambierebbe tutto questo se invece ci rendessimo conto che la nascita, come la morte, è un evento sacro, intendendo per sacro qualcosa da rispettare sempre perché custode di valore? E se cominciassimo a cercare una preparazione seria a questo tipo di eventi, che includa il valore del sentire, anche quello non piacevole, che non è qualcosa da temere e da rifiutare, ma da comprendere pienamente in tutto il suo valore?

Vi chiedo di riflettere anche sul fatto che il luogo dove madre e figlio si incontrano per la prima volta, di solito, è un ospedale, coloro che stanno vicino alla donna e al bambino sono medici: luoghi e persone adibiti a risolvere problemi di salute. Cosa c’entrano con un fatto che mette di fronte al mistero di esistere? Perchè dimentichiamo che nascere, come anche morire, non sono anomalie, non sono malattie e che, finché non è richiesta una presenza medica, sono eventi che trovano nella casa il luogo adatto per darsi?

Per concludere vorrei riportare alcune righe significative di una donna che ha frequentato il corso di yoga e meditazione in gravidanza ad Asia:

Un momento molto particolare fu quello dei primi istanti in cui vidi la bambina. Ci guardammo intensamente e con lo stesso stupore; lei aveva l’impressione di chi è stata colta di sorpresa in un luogo che pensava tutto suo e io ero profondamente stupita che fosse così precisamente… ‘qualcuno’.
Fino a quel momento avevo un’idea nebulosa di una bimba, ora mi trovavo di fronte alla singolarità di un volto e venivo colpita dal suo essere proprio così. Credo che la nostra cultura tramandi una visione un po’ troppo naïf della maternità, occultando la sensazione che invece affiora maggiormente in occasione di questo evento: quella della stranezza, del rapporto con l’alterità.
Ricordo che ciò a cui mi sembrava più simile la mia bimba era… un alieno con una impressionante volontà di vita. Chi era, che tipo di irreversibile rapporto mi sarei trovata a vivere da quel momento?
Se mi sono potuta permettere queste domande, se ho fatto del senso di alterità, di stranezza e di costrizione, i principali ingredienti di tutto il periodo successivo al parto senza per questo sentirmi una madre snaturata, e anzi assolvendo con impegno a tutti i compiti di accudimento di cui un neonato ha bisogno, è stato sempre grazie alla meditazione, che mi ha insegnato che in questo tipo di sensazioni stiano delle abissali potenzialità significanti che riguardano la vita in generale. [1]

[1]Beatrice Benfenati, Dall’epidurale alla meditazione. Una Via per ritrovare il sacro della nascita, Eugea Edizioni, pagg 179-180 .