Parte 4: Riassunto e meditazione

4.1 Riassunto in cinque punti

4.2 In conclusione, che relazione c’è tra “la vita non ha senso”, la coscienza e la meditazione?

 

4.1 Riassunto in cinque puntiIndice

Ripercorriamo brevemente i punti principali che abbiamo esaminato parlando di darwinismo esistenziale.

1) La gettatezza nel darsi del mondo e della vita.
Forse qualcuno, avendo esaminato in campo scientifico – o in altri campi – tutte le possibilità di risposta presente e futura a quale sia il senso della vita e non avendo trovato nulla di convincente e definitivo, si è ritrovato a gridare “ma perché mi tocca star qui e soffrire, vedere tutto il dolore, la fatica, la tragedia del mondo – e la mia?”.

Beh … ha ragione: è un problema reale, non inventato, la cui consapevolezza è sempre più diffusa da quando tutte le piattaforme di valori sono crollate e siamo rimasti con pochi miti riconosciuti illusori, che durano lo spazio di una stagione. L’evoluzione è il meccanismo che ha portato al sapere dell’esistenza, al “mal dell’anima”. Piuttosto di questo “darwinismo esistenziale”, forse era meglio restare amebe?

2) Le teorie scientifiche sul senso della vita. 
La scienza, che è oggi il più accreditato sistema di pensiero, da parte sua non può generare una nuova piattaforma di valori perché è proprio ciò che più ha contribuito a demolirli. Per la scienza il mondo in genere è la somma dei fatti oggettivi e delle relazioni accertate tra i fatti, per cui si limita a registrare semplici (o ipercomplesse) serie di cause ed avvenimenti: l’evoluzione della vita e della coscienza umana è una di queste registrazioni. Non dice nulla sul loro valore o sensatezza, ma solo descrive come sono e come sono arrivate ad essere così. Il filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein lo espresse chiaramente:

Il senso del mondo deve trovarsi fuori di esso. Nel mondo tutto è come è, e tutto avviene come avviene: in esso non vi è alcun valore, e se vi fosse non avrebbe alcun valore. Se c’è un valore che abbia valore, deve trovarsi al di fuori di ogni accadere e di ogni esser-così, perché ogni accadere ed esser-così è casuale. Ciò che lo rende non-casuale non può trovarsi nel mondo perché altrimenti sarebbe a sua volta casuale. Deve trovarsi fuori dal mondo [1].

In pratica, afferma Wittgenstein, se cerchiamo un senso al mondo dentro il mondo stesso, sarà un senso “proprio così”, con certe qualità, e saremmo costretti a chiederci: “perché è così? Perché deve avere proprio quelle qualità?”. Così noi toglieremo a quel senso/valore – e questo è proprio ciò che la scienza ha fatto con i valori religiosi o filosofici – ogni credibilità, perché lo vediamo come “casuale”, incapace di giustificare sé stesso: perché non dobbiamo fare l’amore prima del matrimonio? Perché le donne non possono votare? Perché il vero Dio, o l’ideologia giusta, devono essere proprio quelle e non altre?

Se è in un certo modo, è un modo non giustificabile. Se qualcosa lo giustificasse, sarebbe a sua volta ingiustificabile: perché è così?

3) Il dirsi tutto questo, attraverso la coscienza.
In che senso la coscienza può essere soluzione a questo problema?

Verrebbe da pensare che la coscienza può essere soluzione per la sua natura specialissima e non oggettiva; un dato reale e sperimentabile, anche se non si fa catturare da descrizioni e teorie, non si fa capire e riprodurre con strutture logiche, non si coglie perché è ciò che sta cogliendo… in questo senso si è sempre tentati di leggere la coscienza come una via di uscita dalla materia.

Ma anche la coscienza immateriale e inafferrabile non è soluzione al “mal di vivere”. Perché esiste? Perché è fatta così? Poteva essere fatta in altro modo: se solo alcune costanti fisiche dell’universo fossero state differenti di pochissimo, la vita e la coscienza come la conosciamo non sarebbero possibili. Manca un motivo assoluto, qualcosa che giustifichi l’esistenza della coscienza. Se la coscienza è accidentale, non può essere la soluzione al problema di quale sia il senso del mondo.

4) Il passaggio dall’esistenza accidentale alla esperienza fenomenologica dell’estraniamento.
Allora la via non è collocarsi in una coscienza “fuori” dal mondo. Piuttosto vivendo in prima persona – in un percorso artistico o meditativo – l’esperienza della coscienza sconosciuta a se stessa, si dispiega un senso che va al di là della coscienza stessa. Il darwinismo esistenziale, il dolore di essere una coscienza evoluta per caso tra l’indifferenza dell’universo, portato all’estremo nell’esperienza interiore diventa soluzione. Soluzione simile a quella che si incontra in alcuni rarissimi balzi dell’animo umano che indicano la via di uscita dal non senso: la divina Indifferenza di Montale, il “nulla essenziale” di Heidegger, il vuoto della tradizione Buddhista. Sono le soluzioni non-risposte, che non prevedono la fede o l’adesione a un sistema confessionale, ma richiedono l’esperienza diretta; permettono di accedere ad un valore non casuale ma neppure qualificato, per questo non squalificabile dalla domanda “perché proprio così?”.

Infatti anche le descrizioni di queste soluzioni, spesso poetiche o logicamente contraddittorie, non sono il senso della vita . Non lo è neppure il brivido che si può provare in certi momenti di realizzazione, o altre sensazioni insolite e suggestive che comunque accompagnano sempre l’esperienza fenomenologica dell’estraniamento, dell’Indifferenza, dell’incontro con se stessi. Il senso è – come scrisse Wittgenstein – fuori dal mondo. Non casuale, non causale, ma funzionale.

La coscienza non è quindi il senso del mondo, ma una funzione, una porta di ingresso per un significato che non ha contenuto, ma c’è.

5) Il significato che differisce sempre da sé.
È difficile indicare con parole e segni un significato che esiste e non esiste. Che c’è, ma non sta dentro a nessun fatto qualificato. Un significato che non si fa catturare da parole o sensazioni o intuizioni: differisce da tutte e da se stesso. Benchè tante parole si possano spendere per indicarlo, per ricordarci che esiste, ognuna di esse è accidentale e non ha senso finchè non si passa attraverso una precisa esperienza, che abbiamo chiamato estraniamento fenomenologico, ma anche “divina Indifferenza” e “nulla essenziale”.

Per indicare questo “senso del mondo” stiamo usando il termine “significato” perché ci pare adatto in opposizione a “significante”: il significante è un modo (segno, suono, sensazione) attraverso cui viaggia il significato; il significato è indipendente dal modo, è il contenuto di molteplici modi. Ma anche dire questo è un modo accidentale, per cui siamo costretti a trovare un altro segno, e lo chiamiamo significato che sempre differisce da sè ( anche se anch’esso è accidentale). Un significato che continuamente supera ogni determinazione ed ogni modalità con cui si manifesta. Compreso “darwinismo”, “nichilismo” o “esistenza”.

 

4.2 In conclusione, che relazione c’è tra “la vita non ha senso”, la coscienza e la meditazione?Indice

Esiste un’uscita dal non-senso. Un’uscita che è accessibile a chi sente il non-senso senza considerarlo uno smarrimento adolescenziale o una questione intellettuale.

Di fatto le alternative non ci sono: chi sente veramente il non senso non si fa convincere da parole come amicizia, famiglia, giustizia, amore. Neppure dalla meraviglia evolutiva della natura, neppure dal Regno della Ragione di Jacques Monod. Non riesce più a credere in un Dio amorevole che lo abbia creato e lo accompagni. Su tutte queste risposte ci ripeterà la domanda (che a volte è solo un’alzata di spalle o una stretta al petto): e che senso hanno amore, e bellezza, e Dio? Perché ci sono? Da cosa, per cosa?

E tenderà a concludere, intellettualmente o emotivamente, con quel “nulla vale la pena” che spinge tanti a nutrirsi solo di sensazioni per dimenticare che non sanno perché vivere.

Se apparteniamo a questo speciale tipo di “disperati esistenziali” l’indagine sulla coscienza in prima persona che la scuola filosofica di Franco Bertossa propone con l’insegnamento della meditazione è una via potente. Per me lo è stata: ho potuto esplorare – senza timori e con lucidità – il vuoto interiore che sentivo dentro di me, precisarlo fino a vivere un’esperienza in cui realizzare un fatto nuovo, con cui non avevo fatto i conti.

Se provavo e provo a dire “tanto anche quello non ha senso…” non posso nascondermi che sto applicando il mio convincimento che “nulla ha senso” su un’idea, una teoria raffreddata di coscienza. Non sono in contatto con la mia diretta esperienza, con il fatto empirico di saper d’esserci.

Questo è un insegnamento che spero di approfondire, ma posso per ora accennare al metodo, ai percorsi che Franco Bertossa ha tracciato per aprire a questa comprensione: può passare attraverso la coscienza e le sue esperienze ordinate ed esaminate, oppure da incontri improvvisi con i fenomeni, ad esempio i momenti estetici come la divina Indifferenza di Montale. Sono momenti di risveglio da frequentare in modo metodico e da approfondire con la meditazione. Il risveglio non è un mito da inseguire, o da sognare, con addosso lunghi vesti arancione, ma è proprio dell’uomo. È un evento capace di riaprire i giochi dell’anima, di spostare qualcosa dentro e far crollare i giudizi più “neri” e disperati che un uomo può esprimere sulla vita: per questo è adeguata una espressione come “nichilismo entusiasta”. Dopo non può credere totalmente alla conclusione disperata che ha tirato sul fatto che “nulla ha senso”.

Nessun giudizio, nessuna conclusione è applicabile al significato senza contenuto, che differisce sempre da sé.

Come ha scritto Pessoa in una delle sue pagine più profonde e impressionanti, il brano 100 de Il libro dell’inquietudine:

Una luce improvvisa brucia tutto, consuma tutto, ci lascia nudi persino di noi stessi [2].

Infatti nessuno che abbia visto in profondità nella sua coscienza può tranquillamente dire “io sono questo”, “io possiedo quello”, “io conosco le cose”. Si ritrova senza casa, sconosciuto a sé stesso. Vibrante di stupore. E gratitudine.

a cura di Roberto Ferrari
Centro Studi Asia

 

Indice delle uscite

Parte 1: Ritrovarsi evoluti
Parte 2: Teorie scientifiche sul senso della vita
Parte 3: La coscienza e il nonsenso


Sullo stesso argomento

Biologia e Metabiologia. Io sono il mio cervello?
Evoluzione per niente?
Coscienza umana: una macchina semantica?
Wittgenstein e il buddhismo. Appunti sulla domanda di senso.

Note – cliccando sul numero si ritorna sul testo annotato.

[1] L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e quaderni 1914-1916, 6.41, Ed. Einaudi, 1964.
[2] F. Pessoa, Il libro dell’inquietudine di Bernardo Soares, ed. Feltrinelli, 1986, p.122.