Parte 2: Teorie scientifiche sul senso della vita

2.1 Il cervello e l’evoluzione della coscienza: Antonio Damasio e Gerald Edelman

2.2. La coscienza è frutto dell’ordine intrinseco della natura? Lynn Margulis e Stuart Kauffman

2.3. L’ordine del caso in matematica e in fisica

2.4 L’ordine si dimostra logicamente, o si mostra esperienzialmente?

2.5 Derive evolutive e nichilismo entusiasta: Francisco Varela

 

2.1 Il cervello e l’evoluzione della coscienza: Antonio Damasio e Gerald EdelmanIndice
Le linee generali della teoria sulla evoluzione della vita oggi sono confermate senza dubbi. Sono stati ritrovati molti fossili che hanno lasciato vestigia chiarissime del percorso evolutivo, e lo schema generale della teoria darwiniana è a tutt’oggi il migliore di cui disponiamo. Se c’è dibattito, a parte quello con i Creazionisti, sulla teoria dell’evoluzione, riguarda la natura della vita e l’origine della coscienza.

La natura della vita viene indagata ad esempio cercando quale sia il “primo inizio” della vita cellulare. Ancora non è chiaro. Le recenti notizie sulla “vita artificiale” creata in laboratorio da Craig Venter sintetizzando sequenze artificiali di DNA e introducendole in organismi estremamente semplici, portano con sé un’idea di vita molto tecnica: è una macchina molecolare capace di auto-prodursi? Un assemblaggio di molecole e legami che si ordinano nello spazio e creano altro ordine, organizzazione, processi? Creano anche il sentire? La coscienza?

È difficile per la scienza portare prove sulla origine evolutiva della coscienza, su come nasca la consapevolezza che attraversa l’esperienza umana e forse anche quella di alcuni animali (come il caso della percezione della morte tra gli scimpanzè fa pensare: v. paragrafo 1.2). Su questo tema si fanno ipotesi che appaiono tanto arbitrarie quanto quelle sulla creazione della vita o della coscienza da parte di questo o quel Dio.

Per portare prove bisognerebbe trovare i fossili della coscienza così come si sono trovati i fossili delle specie viventi, gli anelli di congiunzione tra le scimmie ed i proto-ominidi. Ma non esiste lo scheletro fossilizzato della coscienza, e non si trova una proto-coscienza da cui poi si sia sviluppata l’auto-coscienza. Coscienza sembra essere un fenomeno del genere “tutto o nulla”.

Pochi scienziati si esprimono su questo punto. Ma almeno due, il neurobiologo Antonio Damasio [1] e il premio Nobel Gerald Edelman [2] propongono una teoria sulla origine della coscienza per processo evolutivo, dominato quindi da caso e necessità: secondo questi scienziati esiste davvero un proto-io che l’uomo condivide con gli animali superiori. Si sarebbe evoluto a partire dagli stati emotivi primordiali del corpo (fame, paura, sesso, rabbia). Il proto-io non è ancora cosciente di sé, benché si intenda separato dalle percezioni dirette che affluiscono dai centri nervosi. Quando nell’uomo si è evoluto il linguaggio, questo ha reso possibile a ciascuno di descriversi e di produrre una auto-coscienza estesa.

I due scienziati hanno idee diverse sulla localizzazione spaziale, nel cervello, della proto-coscienza e della auto-coscienza. Per Damasio le due coscienze sono collocate in punti diversi delle strutture del cervello (il proto-io nel cervello primitivo e nel tronco encefalico, la coscienza estesa nella corteccia). Per Edelman la coscienza è un fenomeno distribuito in tutto il cervello, senza aree dedicate. È più una sincronizzazione che un “luogo”: ci sono “popolazioni” di neuroni connesse e risonanti tra loro, selezionate mediate un processo evolutivo che egli chiama “darwinismo neurale” e che ha portato fino alla emersione della auto-coscienza.

In effetti sembra che alcuni animali possano essere coscienti di sé anche senza il linguaggio. Studiando la coscienza degli animali si è visto che elefanti, scimpanzè, oranghi hanno comportamenti auto-coscienti, ovvero riescono a riferirsi a sé stessi. Se messe di fronte ad uno specchio mostrano di riconoscersi e non di avere di fronte un altro individuo; e se addestrati ad usare una forma di linguaggio (in scimmie primati o pappagalli cinerini [3]), lo usano anche per “parlare” di sé. Altri animali sembrano in grado di autovalutarsi nelle loro caratteristiche, ed alcuni possono “mentire”: per mentire bisogna essere consapevoli delle conseguenze del proprio comportamento, e allora una volpe artica può fingere che stia arrivando un predatore e lanciare il segnale di allarme, per non dividere la preda con altri suoi simili. Ma è ancora oggetto di discussione quanto questi dati siano frutto della reale coscienza di sé in menti non umane, o delle “proiezioni” degli etologi cognitivi che effettuano le ricerche.

Si tratta comunque di osservazioni acute, di teorie affascinanti. Ma ciò che più ci interessa e coinvolge è “ciò che si prova a…” essere coscienti e consapevoli della propria esistenza e della sua finitezza. Cosa si prova ad essere dei prodotti evolutivi auto-coscienti della propria esistenza? Questo intendiamo come “darwinismo esistenziale”, come espresso da Charles Darwin (v. paragrafo 1.2) e da Jacques Monod (v. paragrafo 1.4).

 

2.2. La coscienza è frutto dell’ordine intrinseco della natura? Lynn Margulis e Stuart KauffmanIndice

Per spiegare l’emergere della vita e della coscienza altri studiosi si sono mossi in direzione diametralmente opposta a quella della caso-e-necessità e del darwinismo neurale, cercando in mezzo al caos della natura un “generatore d’ordine” che abbia fatto emergere vita e coscienza. Forse in fondo vogliono evitare la sensazione di essere “zingari sbattuti ai margini dell’universo da un caso indifferente”, secondo la definizione del premio nobel Jacques Monod. In ogni caso cercano un principio di natura concreto che spieghi la presenza nell’universo di questa coscienza che sa dell’universo. E della propria morte.

Lynn Margulis [4] ha proposto una versione dell’evoluzione darwiniana in cui non la selezione ma la simbiosi è stato uno dei meccanismi che ha maggiormente spinto verso l’evoluzione di piante ed animali sempre più complessi e adatti all’ambiente. Reazioni chimiche semplici hanno prodotto in modo “cooperativo” le cellule, poi la simbiosi di semplici esseri unicellulari ha originato le cellule superiori, quindi l’associazione e l’integrazione di queste ha prodotto animali più evoluti e così via. Non caso e necessità, ma caso e cooperazione per adattarsi.

Stuart Kauffman [5] è un noto biochimico americano che proposto il principio dell’anti-caos. L’anticaos è l’elemento ordinatore che spinge le molecole a combinarsi in modo non-casuale in molecole più grandi, complesse e capaci di produrre (“catalizzare”) sé stesse ed altre molecole. Kauffman ha studiato le molecole capaci di semplici auto-organizzazioni spontanee: non interagiscono in modo casuale ma tendono rapidamente a convergere (sono “attratte”) verso un piccolo numero di configurazioni.


Da queste osservazioni ha costruito degli algoritmi e dei modelli matematici, che ha fatto girare su potenti computer, fino a concludere che la comparsa della vita è un fenomeno che – date certe condizioni di partenza e un insieme di molecole sufficientemente complicato – non poteva non succedere!

L’evoluzione non è guidata – solo – dalla selezione naturale, ma – anche – da algoritmi ordinatori, che assesta e organizza le sequenze dei geni. Quindi non caso e necessità, ma solo necessità “statistica”: non poteva andare diversamente, l’essere-materia aveva altissime probabilità di diventare vivo. Espandendo un simile modello possimo pensare che la coscienza sia nata come manifestazione dell’ordine intrinseco dell’esistenza.

Non siamo incidenti, ma eventi statistici molto probabili del cosmo, ed in questo senso Kauffman afferma che siamo “a casa nostra nell’universo”. Lo stesso generatore d’odine ha certamente spinto perché la vita e la coscienza comparissero su altri pianeti. Non poteva andare diversamente.

L’impianto teorico di Kauffman è quello di chi cerca – come in passato Leibniz, Goethe, D’Arcy Thomson, Gregory Bateson, René Thom e come più di recente Brian Goodwin e Remy Chauvin [6] – un logos ordinatore che generi la moltitudine delle strutture naturali, e che spinga per trasformare ed adattare i viventi. In queste visioni il logos ordinatore opera sul materiale che il caso gli offre per sviluppare forme di vita adeguate; e neppure si accetta come motore dell’evoluzione la necessità di sopravvivere alla selezione, perché non bastano i criteri utilitaristici: piuttosto l’evoluzione sembra più un prodigioso dispiegarsi di possibilità infinite simile al concetto “l’arte per l’arte”, senza altro scopo che manifestare se stessa.

 

2.3. L’ordine del caso in matematica e in fisicaIndice

Abbiamo visto che per alcuni biologi la vita è una gratuita manifestazione di un ordine che è intrinseco nella natura. Anche quando si contempla la matematica tutto appare pervaso di un logos, di una sapienza ordinatrice necessaria ed eterna, che precede anche il mondo. Le leggi matematiche sono vere, non basate su accordi e convenzioni umane. Sembra che siano li da sempre e le si possa solo scoprire, non inventare.

Il logos, il principio matematico ordinatore, non sembra essere nella materia ma quasi precederla [7]: non abbiamo dovuto aspettare che ci fossero 2 elettroni per dire 1+1=2, e neppure un cervello; e il valore di pi greco è sempre stato quello, incalcolabile in tutti i suoi decimali.

Sembra che la matematica non sia un prodotto della evoluzione biologica o culturale, che non sia soggetta a processi storici e punti di vista, ma che sia l’ordine che dà forma a materia e vita, ed ha permesso alla cultura ed alla storia di realizzarsi.

La matematica ci offre una genuina occasione di perplessità che sembra incrinare la convinzione che tutto viene per caso e dal caso. La statistica in particolare si concentra sulla natura di ciò che indichiamo come “caso”: lo definiamo così perché manca una determinazione, un rapporto chiaro di causa ed effetto; ma ancora c’è una forma di ordine, di regolarità tale che permette di fare calcoli statistici e probabilistici e ottenerne risultati corretti. Il caso è una legge empirica e non predittiva: infatti gli eventi singolarmente appaiono in modo fortuito e non possiamo prevederli. Tuttavia su più eventi possiamo scrivere un’equazione che predice quanti – non quali – di questi si presenteranno: se lanciamo una moneta venti volte cadrà più o meno 10 volte testa e 10 croce, e questo non è a caso. Se fosse a caso avremmo 17 testa e 3 croce o viceversa, invece su migliaia di lanci, più approfondiamo lo studio, più la media statistica è 50% e 50%. Perché? Che necessità interna governa questa distribuzione degli eventi?

In fisica quantistica il calcolo delle probabilità è assolutamente fondamentale, al punto che si può parlare non di casualità e neanche di causalità (né per caso, né per una causa precisa) ma piuttosto di probabilità statistica media che accada un certo fenomeno a livello subatomico. Di conseguenza, anche a livello superiore – nella nostra vita – tutto potrebbe essere perfettamente ordinato non per leggi metafisiche o divine ma secondo necessità fisica intrinseca.

 

2.4 L’ordine si dimostra logicamente, o si mostra esperienzialmente?Indice

Le teorie dell’ “ordine intrinseco” che abbiamo introdotto offrono una visione meno drammatica della solitudine cosmica. Sembrano suggerire che, date certe condizioni iniziali, vita e coscienza non siano eventi insensati bensì necessari.

Il problema è quello di provare le teorie. Ad esempio l’interessante teoria dell’ “anti-caos” di Stuart Kauffman, che abbiamo introdotto, è basata su un modello totalmente teorico. Ma lo spirito della scienza è sempre empirico: per accettare l’ipotesi di un ordinatore a priori il metodo scientifico richiede che lo si possa verificare a posteriori. Come verificare che la vita si sia prodotta così? Forse bisognerebbe creare in laboratorio sistemi biochimici autocatalitici ed accelerarli per simulare i milioni di anni che sono stati necessari alla vita per formarsi. Oppure bisognerebbe che i modelli matematici potessero prevedere le prossime evoluzioni, e darci il tempo di verificare che si realizzino nel modo predetto.

Mancando queste prove, l’idea di un “generatore d’ordine” è per ora una simulazione al computer. Non sappiamo neppure dire fino a che punto parli del mondo reale o di giochi elettronici. Tuttavia, anche se trovassimo le prove empiriche a posteriori e dimostrassimo che la vita e la coscienza dovevano realizzarsi proprio per l’ordine intrinseco contenuto nelle condizioni iniziali del sistema, allora da dove vengono queste precise e ordinate condizioni iniziali? Non sono forse presenti per caso? Allora le teorie del “generatore d’ordine” non sono in fondo diverse da quelle del “caso”.

Lo stesso vale per l’ordine della matematica: su cosa si fonda?
Il teorema di Gödel impedisce di fondare la matematica sulla logica, ovvero su un sistema formale di assiomi che spieghi anche sé stesso: avrà sempre al suo interno proposizioni indecidibili che richiedono nuovi assiomi e così via. In realtà, se anche fosse possibile, e non lo è, dovremmo chiederci: su cosa fondare la logica stessa? Non potremmo dimostrare nulla al riguardo senza la logica stessa, e cadremmo in uno “strano anello”, una circolarità autoreferenziale. Come ci si esce?

La possibilità nuova è quella di esaminare la questione non logicamente ma fenomenologicamente – ovvero: così come ci appare nell’esperienza. Allora più che chiederci “su cosa si fonda la matematica, o la logica, o l’ordine dell’universo, o la precisione della vita?” dovremmo chiederci “da dove me ne accorgo?”. Uscendo dalla logica – dalla dimostrabilità – entriamo nell’evidenza dell’esperienza – nell’incontro con la “mostrabilità”.

L’ordine non si dimostra logicamente o empiricamente. Si mostra, si incontra nella nostra ordinatissima esperienza.

La matematica e la logica – se non li astraiamo e li oggettivizziamo in programmi al computer – non possono essere indipendenti dall’opera di una coscienza, di un soggetto che la viva e se ne accorga. È necessaria una capacità intuitiva – un domandare ed un capire autoevidenti – per cogliere gli assiomi di base non negabili della matematica; e solo da lì in poi si possono affidare i calcoli ad una macchina.

Sembra che nel cuore più freddo del logos matematico o dell’ordine biochimico, brilli un principio cosciente non eliminabile… Questa domanda brilla?

 

2.5 Derive evolutive e nichilismo entusiasta: Francisco VarelaIndice

Un grande biologo come Francisco Varela – prematuramente scomparso nel 2001 – ha lasciato una profonda riflessione sulla natura della evoluzione: ha proposto che si tratti di una deriva, un vagare senza meta della zattera della vita. Il suo bersaglio è stata la visione darwiniana degli organismi come “adattamenti ottimali” a certi ambienti e condizioni di vita, e la sua critica ha negato che vi sia alcun percorso verso il meglio, alcuna selezione del più adatto. Gli organismi sono in balìa della casualità tra miliardi di possibili percorsi – di “co-evoluzione dei sistemi organismo-ambiente” – percorsi con esiti imprevedibili e bizzarri quanto lo può essere un ornitorinco.

Varela riduce l’importanza della selezione naturale come meccanismo evolutivo, così come fa Kauffman, ma non a favore di un ordine intrinseco, quanto piuttosto della grande accoglienza della vita, che tollera moltissime “derive evolutive” e forme sufficientemente vitali senza privilegiare nessuna perfetta fitness. Solo quelli gravemente non-compatibili vengono eliminati: in pratica, se dobbiamo comprare un vestito per una festa non è necessario che soddisfiamo perfettamente dei vincoli, basta che sia accettabile, pulito, adeguato alla spesa che ci possimo permettere; tutti vincoli molto permissivi.

Le conseguenze sono inquietanti: potevamo avere la forma di una giraffa o di una balena, apparati sensori aperti su altri mondi, capacità cognitive totalmente differenti… e sarebbe stato lo stesso. Non c’è un filo di necessità selettiva né di necessità statistica, ma solo caso e possibilità sufficiente, la zattera della vita è andata alla deriva ed ora – stavolta – ci ha sbarcato nell’isoletta Homo sapiens sapiens, nella mente razionale occidentale, nel sentire post-moderno, nella coscienza che ora si apre su tutto ciò. Ma poteva andare in modo totalmente diverso. Perché non siamo tutti ornitorinchi in mondi di ornitorinchi?

Il risultato principale di Varela è aver rovesciato lo schema per cui la mente cosciente è un valore adattativo, e la “legge dell’evoluzione biologica” ne è il fondamento. Invece egli propone che il nostro modo di conoscere sia estraneo alla sopravvivenza, solo un vestito che va “abbastanza bene” per la festa. La mente cosciente si è evoluta perché vi era la “possibilità ontologica” – la possibilità che esistesse – e che si evolvesse, e l’occasione è stata colta.

Le conseguenze sono due: la prima sfiora il nostro tema e riguarda la nuova idea di co-determinazione tra organismi ed ambienti per cui non sono i primi che si adattano ai secondi, ma insieme – per “accoppiamento strutturale” – producono vincoli reciproci, producono mondi: i mondi di un’ape e di un pilota di caccia sono due derive evolutive. Così una pianta non viene “paracadutata” in una foresta preesistente, ma crea il suolo e le piogge della foresta pluviale, i quali a loro volta la determinano. Allo stesso modo la coscienza genera un mondo e viene forgiata da esso.

La seconda conseguenza si riferisce più strettamente al senso della vita; nelle parole di Varela:

Perciò la nostra corporeità umana e il mondo prodotto dalla nostra storia di accoppiamento strutturale, riflettono solo una delle molte traiettorie evolutive possibili. Noi siamo costantemente costretti dalla strada che abbiamo tracciato, ma non c’è un fondamento ultimo che ci indichi i singoli passi da compiere. […] I mondi prodotti dalle storie di accoppiamento strutturale si prestano ad una indagine scientifica dettagliata, tuttavia essi non hanno un fondamento fisso e permanente. Se il nostro mondo è privo di fondamento, come faremo a comprendere la nostra esperienza, che si snoda in esso giorno per giorno? Quale potrebbe essere il significato dell’esperienza del mondo? [8]

Il problema dunque è la mancanza di fondamento, l’assoluta contingenza della vita e della nostra esperienza cosciente. La soluzione che Varela propone attinge alla filosofia buddista, e riconcettualizza il pensiero scientifico, affinchè perda l’abitudine a cercare fondamenti inesistenti nel mondo oggettivo. Lo scopo è di indicare un percorso per affrontare l’assenza di fondamenti ultimi – divini o materiali, razionali o coscienziali – ed imparare a vivere senza di essi.

Varela afferma di rifiutare sia l’oggettivismo che il soggettivismo, sia il monismo materiale che spirituale, non esistendo alcun Io sostanziale (an-atman) né mondo sostanziale. Tutto è prodotto da una rete dinamica di accoppiamenti tra organismi ed ambienti che creano l’illusione di un mondo e di un soggetto che lo abita. Ne consegue una completa assenza di scopo e giustificazione per la nostra esperienza del mondo, ed una visione che l’accidentale definirebbe sostanzialmente nichilista. Tuttavia è un “nichilismo entusiasta”, sacralizzato nei suo significato di “liberazione”, molto diverso da quello occidentale caratterizzato da una accezione negativa, di assenza di valore.

In Occidente l’infondatezza viene reificata – pensata come una “cosa”, come un abisso o spaventosa voragine. Viene interpretata come perdita, senso di alienazione, disperazione e avvilimento. Varela attinge alla analisi del filosofo giapponese del ‘900 Nishitani Keiji [9], educato nella tradizione zen, secondo cui il vero problema del nichilismo occidentale sta nel suo essere esitante e privo di entusiasmo, nel fatto di non seguire coerentemente la sua stessa logica fino in fondo. Non riesce quindi a trasformare la sua comprensione dell’infondatezza nelle possibilità filosofiche ed esperienziali del sunyata, il vuoto della filosofia buddhista. Nishitani individua la causa di questa incapacità di sviluppo nel fatto che in occidente manca una prassi, una disciplina dell’esperienza [10] che permetta di frequentare l’insostanzialità, la finitezza e il senso di vuoto con spirito di indagine e ricerca.

Varela, avendo approfondito nella pratica meditativa l’indagine sulla infondatezza, propone questa “via di mezzo” che rifiuta sia l’attaccamento ai fondamenti che l’attaccamento alla assenza di essi. Riporta tutto all’esperienza, alla fenomenologia in atto, auspicando una trasformazione dell’uomo in creatura etica, compassionevole verso gli altri e indifferente agli attaccamenti e tornaconti personali. Lo scopo dell’uomo è quello di beneficiare gli esseri senzienti, nella consapevolezza della interdipendenza di tutti i mondi senza fondamento che abitiamo.

a cura di Roberto Ferrari
Centro Studi Asia

 

Indice delle uscite

Parte 1: Ritrovarsi evoluti
Parte 3: La coscienza e il nonsenso
Parte 4: Riassunto e meditazione


Sullo stesso argomento

Biologia e Metabiologia. Io sono il mio cervello?
Evoluzione per niente?
Coscienza umana: una macchina semantica?
Wittgenstein e il buddhismo. Appunti sulla domanda di senso.

Note – cliccando sul numero si ritorna sul testo annotato.

[1] Damasio A., Emozioni e coscienza, Adelphi, Milano 2000.
[2] Edelman G., Tononi G., Un universo di coscienza, Einaudi, Torino 2001.
[3] Pepperberg I.M., The Alex studies: cognitive and comunicative abilities, in: Grey Parrots, Harvard Univ. Press.
[4] Lynn Margulis, La danza misteriosa, Mondadori, 1992.
[5] Stuart Kauffman, At home in the Universe. In search of laws of self organization and complexity, Oxford University press, new York, 1995.
[6] B. Goodwin, G. Webster, Il problema della forma in biologia, Ed. Armando, Roma, 1994; Remy Chauvin, Dio delle stelle, Dio delle formiche, ed. Paoline , Cinisiello Balsamo, 1991.
[7] Lombardi Vallauri L., Dio o Logos? La grande visione d’insieme alla prova, in: Logos dell’essere, Logos della norma, a cura di L. Lombardi Vallauri, Adriatica editrice, Bari, 1999, p 30-44.
[8] F.J.Varela, E. Thompson, E. Rosch, La via di mezzo della conoscenza. Le scienze cognitive alla prova dell’esperienza, Feltrinelli, Milano 1992, 251-256.
[9] Ibidem, 281, tratto da Nishitani K., Religion and nothingness, trad. Jan Van Bragt, University of California Press, Berkeley 1992. Trad. It. La religione e il nulla, ed. Le Lettere, Firenze.
[10] Ibidem, 284.