Provocare: suscitare, causare, cagionare, eccitare, spingere, muovere una persona.
Dal latino provocare, composto di pro, “avanti” +vocare, “chiamare”, propriamente “chiamare avanti, fuori” (wikidictionary)

Nell’accezione comune la parola viene usata per definire comportamenti finalizzati a suscitare nell’altro reazioni funzionali alla soddisfazione immediata di una pulsione, oppure al divenire oggetto di attenzione per poi trarne un qualche vantaggio. L’atto provocatorio si muove tra due confini: lo sfogo incontrollato di un impulso e l’atto predeterminato, calcolato a freddo. Tra i due estremi tutte le misture possibili dei due elementi.

Ma questo vale quando la provocazione è frutto di una volontà provocatoria più o meno conscia. È fondamentale distinguere da questo espressioni dell’umano che chiamano avanti, che danno scandalo, che provocano in quanto costituiscono in sé una destabilizzazione del senso comune, un’uscita dagli schemi di pensiero condivisi, al di fuori di ogni intenzione provocatoria di chi compie quegli atti. È questa la provocazione del genio. È il dare scandalo di alcuni tra i grandi di ogni campo, dal religioso all’artistico, dalla scienza allo sport.

Prendiamo, per avvicinarci al campo artistico, il caso di Vincent van Gogh. È una figura che mi ha sempre affascinato. In principio per l’inaudita violenza dei suoi quadri, poi per il fascino e lo sconcerto che esercitava su di me la concentrazione di tanta sofferenza in un’unica persona e la sua stoica determinazione a non fuggirla in nome di un dovere spirituale. In ultimo per il segno profondo che ha lasciato nella storia dell’arte, non solo come pittore, intendo, ma come figura e fenomeno. A questo proposito mi sono rimaste fortemente impresse le parole con cui inizia il film “Basquiat” di Julian Schnabel attribuite a Basquiat stesso:

“… Proviamo così tanta vergogna per la vita che ha vissuto che la storia dell’arte d’ora in poi sarà un risarcimento per averlo trascurato. Nessuno vuole appartenere a una generazione che ignora un altro van Gogh…”

Mi ci ritrovo, sento quella vergogna. Spinto da questo fascino ho letto negli anni alcune biografie di van Gogh (in ultimo il bel libro di Giordano Bruno Guerri “Follia?”, Bompiani 2009) e mi risulta molto chiaro che Vincent non fosse abitato da intenti provocatori, ma solo da un violentissimo e determinatissimo imperativo morale. Eppure ancor oggi le sue opere scandalizzano me, figuriamoci i suoi contemporanei. Non solo non riusciva assolutamente a venderle ma a volte non riusciva nemmeno a regalarle! Di diverse che ha lasciato in giro hanno fatto materiale per il camino, sono arrivati a sputargli sulla tela da dietro le spalle mentre dipingeva all’aperto. La provocazione contenuta in quelle pennellate e in quei colori era troppo forte, insopportabile.

L’altro genere di provocazione, di bassa lega, cioè l’azione che include l’intenzione di provocare, è diventata a mio avviso pratica consolidata  nell’ambito della cultura pop. Dapprima in particolare nella musica, per poi diffondersi in altri ambiti, contaminandoli con caratteristiche quali esibizionismo, sensazionalismo, esagerazione, sfogo di impulsi, violazione plateale del senso comune, accento sulla comunicazione più che sui contenuti. Elemento fondamentale del gioco è stata la possibilità di fare business su scala molto più ampia che in precedenza grazie allo sviluppo della tecnologia, dei mezzi di comunicazione, al crescere del benessere materiale e dell’economia di mercato. Negli affari il marketing è il fondamento e per farsi notare, per attirare l’attenzione, la provocazione è una strada diretta.

Il problema è che si fa confusione attorno al concetto di provocazione, confondendo facilmente le due accezioni. Del termine “provocazione” riferito alle opere d’arte si abusa, perlopiù in maniera impropria, spesso per liquidare ciò che si ha difficoltà a penetrare.

Più le mie limitate conoscenze sull’arte e sugli artisti si allargano e più mi rendo conto di quanto secondario o assente sia, nella mente dei grandi, lo spazio riservato all’intenzione di dare scandalo, di provocare. Sono altre le spinte. La febbre della ricerca, il senso forte di un compito da portare termine, un’esaltata sensibilità che deve trovare sfogo in una forma, l’amore e la passione per il proprio lavoro. Poi c’è (parlo di artisti del mondo occidentale moderno e postmoderno) l’ego, il desiderio di riconoscimento, fama, denaro, potere; tuttavia, pur essendoci eccezioni illustri, per quello che vedo questi atteggiamenti non sono così diffusi tra i grandi artisti.

Il fatto è che l’arte è un guanto di sfida terribile per la conoscenza, un oltraggio per la mente logico-discorsiva. Per questo la grande arte è altamente provocatoria. Adorno parla di “irritazione del comprendere”.

Cosa risiede all’origine dell’esser scandalo dell’opera d’arte? Perché la vera arte risulta così provocatoria pur non avendone l’intenzione? Cosa l’arte mette a nudo che ci inquieta? Cosa mostra che ci fa entrare in imbarazzo (del quale magari ci sbarazziamo con la facile etichetta della provocazione)? L’arte è porre in questione. L’arte è la presa di coscienza che c’è qualcosa da porre in questione. Ciò che è da porre in questione è il significato del momento estetico, momento in cui si fa l’esperienza del Tutto. Questa è la provocazione.

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