La soggettività nella prospettiva fenomenologica 

Il XX secolo si presenta come un periodo storico complesso per i profondi e rapidi mutamenti che si sono verificati nei vari ambiti dell’esperienza umana da un punto di vista specificamente filosofico emerge l’esigenza di recuperare la dimensione razionale, istintuale, emotiva dell’uomo che secoli di tradizione e dominio scientifico avevano soffocato.
Basti pensare alla rilevanza assunta e alla risonanza prodotta dalla nascita della fenomenologia che si proponeva di interrogare la realtà sotto una nuova luce e che si qualificherà essenzialmente come un metodo.
La nascita della fenomenologia – di cui il padre fondatore è Edmund Husserl – va inquadrata nel clima di reazione al positivismo che affonda le proprie radici nel progresso scientifico e fa del metodo scientifico  l’unico metodo valido in qualunque ambito di ricerca, e i cui sviluppi sfociarono in una crisi dei suoi fondamenti e dei suoi concetti, della razionalità scientifica e del senso  filosofico delle sue teorie. Gli sconvolgimenti ed i mutamenti accaduti sia in ambito scientifico che umanistico avevano decisamente incrinato l’ingenua convinzione ottocentesca di  un inarrestabile progresso delle scienze che avrebbe spiegato e risolto ogni problema, determinando un ritorno ai problemi della filosofia, della metafisica e della religione che il positivismo credeva di aver tacitato o risolto definitivamente.
E’ in tale atmosfera culturale che matura il cosiddetto pensiero della crisi che Husserl affronta nell’opera La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale[1] (pubblicata postuma nel 1954) in cui il filosofo mette in luce non tanto la critica alla tecnica nelle sue applicazioni, ma compie un’operazione molto più radicale: si interroga sulla crisi di senso e di valori che pervade tutta la società del tempo. La sua analisi rivela come la scienza, pur non potendo che vantare successi rispetto alle conoscenze naturali, mostri altresì una radicale mancanza di strumenti atti ad analizzare il mondo della vita, ovvero la dimensione soggettiva della percezione, della conoscenza, dell’etica e di tutte le questioni legate all’esistenza.
Va precisato che il progetto husserliano è mosso fin dalle sue prime fasi da una volontà di chiarificazione e fondazione ultima dei concetti scientifici, con l’intento di elaborare una filosofia  che potesse costituire la base logica e l’orizzonte di senso di tutte le altre scienze, ivi incluse le cosiddette scienze dello spirito, partendo da un concetto che si rivelerà fondamentale per lo sviluppo successivo della sua ricerca, cioè il concetto di intenzionalità, già emerso con gli Scolastici medievali. Lo ereditò dal suo maestro Franz Brentano dal quale, peraltro, si distaccò presto in quanto non concordava con la sua lettura dello psicologismo di cui troviamo ampia traccia nelle Ricerche logiche[2](1900-1901).
Nella visione dischiusa da Husserl, il mondo fa tutt’uno col manifestarsi della coscienza intenzionale, in quanto riconduce rigorosamente l’essere all’essere coscienti, cioè coscienza di qualcosa. L’intenzionalità, come egli la intende, è l’aprirsi della coscienza all’oggetto e al mondo esterno ovvero il modo della coscienza di rapportarsi ad essi. La coscienza per Husserl è intesa come un flusso di esperienze vissute in cui si ha una correlazione tra la polarità soggettiva e la polarità oggettiva. Il soggetto è sempre “coscienza di” qualcosa, così come l’oggetto è sempre vissuto dalla coscienza: soggetto e oggetto sono entità inscindibili.
E’ in tale relazione che si costituisce il senso del mondo.
La fenomenologia ha reso possibile uno sguardo lucido sull’esperienza, riconoscendone l’inscindibile struttura bipolare soggetto-oggetto ed ha permesso di guardare a questo complesso rapporto, non come al rapporto impossibile fra due esistenze estranee e contrapposte (il vissuto del soggetto e l’oggetto esterno a questo vissuto) ma come a una correlazione intenzionale.
Da un punto di vista specificamente metodologico, Husserl invita a sospendere il giudizio sul mondo, mettendo in parentesi quelle che lui stesso definisce le false certezze date dalle scienze positiviste, che intendono il mondo come realtà già data. Riprende ciò che gli antichi filosofi greci chiamavano epoché, termine con il quale si indicava l’astensione del giudizio sulle cose e sui fatti del mondo, diversamente interpretato dagli scettici che lo intendevano come sospensione del giudizio derivante da un’impossibilità connaturata all’uomo di accedere ad una qualsivoglia certezza gnoseologica. L’epoché, in ambito fenomenologico mira, invece, a sospendere il giudizio sulle cose, in modo da permettere ai fenomeni che giungono alla coscienza di essere considerati senza alcuna struttura categoriale preconcetta. Oggi la si intende come “sospensione” sia dell’atteggiamento scientista che di quello psicologista ma senza alcuna pretesa di diventare cancellazione del mondo. Husserl stesso ci porta alla comprensione di tale concetto con un esempio che ritroviamo nelle Ricerche Logiche: il castello di Berlino. L’edificio bello e imponente, grazie all’epoché fenomenologica, smette di essere qualcosa di dato in senso naturalistico, poiché le cose in quanto tali ora si danno al soggetto, e non restano semplicemente dati di fatto: il castello di Berlino non viene ritenuto interessante in quanto oggetto in sé, ma in quanto l’atto cosciente intenzionato ha la caratteristica dell’interessante ed in quanto tale dà senso all’evento considerato.
Il metodo fenomenologico suscitò grandissimo interesse in molti pensatori dell’epoca, tra i quali troviamo uno dei rappresentanti della “scuola di Parigi”, Maurice Merleau-Ponty che riprende l’idea centrale della fenomenologia e dell’esistenzialismo, secondo cui tra uomo e mondo c’è una stretta interazione. Afferma, infatti, che l’uomo non crea automaticamente i significati delle cose, ma opera sempre in relazione con il mondo che risulta essere una formulazione del soggetto sempre suscettibile di essere rivisitata alla luce del punto di osservazione e dell’interpretazione che il soggetto stesso ne dà. Il metodo fenomenologico, infatti, non mette in discussione il mondo in sé ma il nostro modo di esperire il mondo. Strumento fondamentale, in questa interpretazione uomo-mondo, è il nostro corpo, che Merleau-Ponty considera come il mezzo fondamentale per “avere” il mondo. E’ attraverso il corpo infatti, che il soggetto compie tutti quei gesti che sono necessari, sia per conservare la vita, sia per dare significato alle cose.
Nell’opera, Fenomenologia della percezione[3] (1945), troviamo la sua esplicita adesione al filone metodologico della fenomenologia in cui sono affrontate le tematiche inerenti al corpo, alla percezione, alla spazialità, al linguaggio, all’intersoggettività e alla temporalità, tutte rilette e rivisitate attraverso un unico e nuovo filo conduttore che è il concetto di corpo proprio, con il quale si intende l’unità del proprio corpo, ovvero io non sono di fronte al mio corpo ma sono il mio corpo. Questa visione dell’uomo si pone in netto contrasto con la classica ontologia dualista delle categorie corpo-spirito, peculiarità della visione cartesiana improntata alla visione del corpo come una somma di parti prive di interiorità, come pura estensione  dell’anima o coscienza, come un essere trasparente a se stesso, visione che ritroviamo espressa anche nella lettura sartriana dell’in-sé (l’essere del mondo) e del per-sé (l’essere della coscienza).
Merleau-Ponty dà inizio a uno studio dell’incarnazione dell’individuo nel mondo, riconoscendo sia la dimensione corporea della coscienza sia l’intenzionalità del corpo proprio e portando alla luce quella che lui chiama ambiguità; questa ambiguità riguarda l’umano in quanto la coscienza che si ha del corpo non è un pensiero. L’uomo vive e si confonde con esso in quanto il corpo si dà come soggetto unico della percezione, ed è proprio il corpo che ci permette di essere in presa diretta con il mondo poiché è attraverso il corpo che si costruisce il rapporto originario con il mondo, la cui dimensione fondamentale è data dall’esperienza vissuta della percezione.
Il mondo è ciò che percepiamo e la fenomenologia si configura essenzialmente come descrizione delle modalità di percezione. Merleau-Ponty, dunque, pone al centro della sua filosofia il tema della percezione e del corpo, come possibilità di una conoscenza dell’esperienza vivente, non sottomessa al formalismo del principio di causalità e al dualismo, giungendo ad affermare che la percezione conduce il corpo e il mondo a riconoscersi come fatti della medesima sostanza.

a cura di Maria Rapagnetta
Ideatrice e realizzatrice degli appuntamenti “Incontrarsi nell’arte”

Note:

[1] Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il Saggiatore, Milano 1975.[2] Edmund Husserl, Ricerche Logiche, EST, Il Saggiatore, Milano 2001.
[3] Maurice Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, Bompiani, Milano 2003.