Traduzione italiana dell’Introduzione del libro di Ohashi Ryosuke, “Die Philosophie der Kyoto-Schule. Texte und Einführung” (Alber, Freiburg i.Br 1990, 552 p.), a cura di ASIA Centro Studi Bologna

 

FORMAZIONE E SEGUITO DELLA SCUOLA DI KYOTO 

Dovremmo chiederci se Himasatsu, in quanto il più anziano della seconda generazione della Scuola di Kyoto e il più giovane della prima, possa essere chiamato “filosofo” in senso stretto. Il suo cammino verso lo Zen iniziò quando cominciò a dubitare della filosofia. La sua vera forza non risiede nelle opere scritte, quanto piuttosto nella vivace azione (lebendige Wirkung) che in qualità di maestro Zen mostrò ad ogni incontro. Egli tuttavia va annoverato fra le personalità della Scuola di Kyoto perché il Nulla assoluto fu da lui testimoniato in modo straordinario e quasi tutti i filosofi della seconda generazione della Scuola stanno chi più chi meno sotto la sua influenza. Hisamatsu chiama il Nulla assoluto il “Sé senza forma” (das gestaltlose Selbst) e lo tratta ovunque negli scritti, ma in primo luogo nella sua dissertazione, tradotta in inglese e in tedesco, “Il Nulla orientale” (Das oestliche Nichts).[1] Il Nulla assoluto a dire il vero si attualizza (gegenwaertig wird) non tanto nella definizione scritta che Hisamatsu propone bensì solo nel suo atto. Hisamatsu fondò tra l’altro una associazione Zen di nome FAS (Formless Self, All-mankind, Super-historical History), attiva ancor oggi.

E’ vero che anche Nishitani conta come maestro Zen. Ma egli si dimostra filosofo par excellence, motivo per cui secondo la linea filosofica è di gran lunga più conosciuto come successore di Nishida. In un piccolo saggio “Il punto di partenza del mio filosofare” [2], Nishitani dice che il punto di partenza e la motivazione interiore della filosofia di Nishida è il’ “lutto della vita” (die Trauer des Lebens) mentre il proprio punto di partenza fu qualcos’altro: il “Nichilismo”. Con ciò è gia resa manifesta la differenza della fase storico filosofica in cui si trovavano rispettivamente Nishida e Nishitani. Il lutto della vita oppure, per dirla con Schelling, il lutto della finitezza (die Trauer der Endlichkeit), è un’espressione per indicare la coscienza originaria insita in ogni essere umano, la quale si accorge della natura e del destino del caduco essere vivente (des Wesens und Schicksals der endlichen Lebenswesen innewird). Essa è sostanzialmente affine allo “stupore” (Erstaunen) o alla “angoscia” (Angst) quale cominciamento del filosofare. Con e in questi stati d’animo di fondo inizia il filosofare, come uno sente dire oppure esperisce da sè. Nishida si trovava in questo inizio. Col procedere del filosofare nel corso delle generazioni si reitera anche questo cominciamento. Ma, così come Kirkegaard nella reiterazione della “angoscia” rivide il peccato originale procedere nel corso delle generazioni, il risultato della reiterazione è qualcosa di “più” dell’originale. Certamente per Kirgegaard questo di più è solo “quantitativo”, poiché ogni essere umano nella reiterazione dell’origine del peccato di Adamo “qualitativamente” non diviene un altro uomo bensì lo stesso essere umano proprio come Adamo. Nel menzionato “di più” risiede tuttavia la “storicità”. Il lutto della vita esaminato nella sua storicità vorrebbe dire in primo luogo rivedere la vita non solo su un piano personale, ma anche nella sua relatività storica, e in secondo luogo guardare attraverso la nullità stessa della storia. Questo significa concepire il mondo storico come abissale nella sua ragione ultima. A questo punto sorge il pensiero del nichilismo. Il lutto della vita quale cominciamento del filosofare è ripreso e approfondito nel pensiero di Nishitani come nichilismo. Mentre Nishida dunque iniziò con “Uno studio sul bene”, nella riflessione di Nishitani viene alla luce il problema del “male” (“Boesen”) quale problema chiave.[3]

Il nichilismo al quale si riferisce Nishitani non è tuttavia il pensiero, inteso generalmente in modo negativo, della irreligiosità nella moderna epoca europea, bensì il pensiero che emerge innanzitutto come superamento e nel superamento del nichilismo europeo: è il concetto di “vacuità” (Leere), così come Nishitani lo spiega in “Cosa è religione?” (Was ist Religion?)[4]. La “vacuità” secondo la nota formulazione del Hannya-Sutra nel Buddhismo Mahayana è proprio il reale (das Reale), e il reale è proprio vacuità. La realtà vera viene concepita come “vacuità”. Il pensiero della “vacuità” in Nishitani è però al contempo quello di un realismo empirico, nella misura in cui la vacuizzazione della “res” non viene mai discussa al di là dell’esperienza, ma si certifica (bewahrheitet) sempre solo nell’esperienza diretta.

Inoltre, la verifica (die Bewaehrung) attraverso l’esperienza diretta, che Nishitani costantemente serba nel suo pensiero, implica da una parte un’assunzione di fondo del pensiero di Nishida e dall’altra una critica di base alla “mediazione assoluta” di Tanabe. Quest’ultima in fin dei conti non permette ad alcun elemento di essere nella sua immediatezza. Tuttavia non va neppure trascurata la differenza del modo di pensare di Nishitani rispetto a quello di Nishida. Se Nishida ha sviluppato “dialetticamente” il proprio pensiero con formule singolari e insolite, Nishitani descrive la stessa cosa “fenomenologicamente” senza ricorrere a particolari termini o formule. Ancora una volta si mostra qui la differenza delle fasi storico filosofiche in cui versavano rispettivamente Nishida e Nishitani.

E’ evidente che la filosofia della Scuola di Kyoto raggiunge nella seconda generazione con il concetto di “vacuità” di Nishitani un nuovo livello. Con ciò tuttavia non va ignorata la produzione di altri filosofi come Masaaki Kosaka, Iwao Koyama, Torataro Shimomura ecc.

Essi contribuirono tutti al periodo d’oro della filosofia di Kyoto. Un quadro più approfondito delle opere di questi filosofi si trova nelle introduzioni poste ai rispettivi testi. In questo contesto potrà essere delineato solo un profilo generale del significato filosofico dei lavori di questi autori. Stile, forma e tendenza di pensiero sono molteplici e differenti. Così ad esempio la forza di Kosakas risiede più nei lavori storici che nel suo pensiero (filosofico), mentre Koyama cercò di elaborare un proprio pensiero sistematico in quasi tutti gli ambiti filosofici, come quello della logica, della filosofia della storia, della cultura, della politica, dell’etica ecc. Shimomura tentò di porre in luce dal punto di vista “storico spirituale” la specificità della tradizione di pensiero dell’oriente asiatico posta a confronto con quella dell’occidente. Nonostante tutte queste differenze possono tuttavia essere stabilite alcune tendenze comuni: rispetto alla controversia precedentemente menzionata fra Nishida e Tanabe essi stavano piuttosto dalla parte di Nishida che di quella di Tanabe, vale a dire che il “Nulla assoluto” fu da loro inteso pressoché nel senso di Nishida. Koyama volle comunque sviluppare ulteriormente, ovvero, modificare questo concetto nella sua “Logica della corrispondenza” (Logik der Entsprechung) mentre Shimomura e Kosaka usarono sì questo concetto, senza però tematizzarlo a loro volta.

Se da qui passiamo direttamente alla terza generazione, a prima vista ci balza agli occhi come essa pensi ancora assai meno sotto l’angolatura del lontano oriente, ma si preoccupi molto di più e più intensamente di comunicare il proprio pensiero nelle lingue europee e avere un colloquio diretto con la filosofia occidentale.

La continuità della Scuola di Kyoto in campo “filosofico” fu in primo luogo assicurata da Koichi Tsujimura, mentre nel campo della scienza della religione lo spirito di Nishida e Tanabe fu custodito da Yoshinori Tageuchi. Le pubblicazioni di Tsujimura su Heidegger e sullo Zen possono essere ritenute le sue opere principali. Si distinguono per lo più per la loro argomentazione radicale: esse cercano di svelare i punti di vista delle due parti in modo tale che entrambe vengono poste in dubbio a partire dalle proprie radici nella loro relatività e possibilità (Bedingtheit und Moeglichkeit). Se Nishitani in passato ha trattato Meister Eckhart sotto il titolo “Dio e il Nulla assoluto” (Gott und das absolute Nichts)[5], Tsujimura a sua volta esamina il pensiero di Heidegger sotto il titolo “Il problema dell’Essere e il Nulla assoluto” (die Seinsfrage und das absolute Nicht).[6] Egli intende porre sul tavolo del dibattito (ins Gespraech bringen) la “Verità dell’Essere” (die Wahrheit des Seins) pensata da Heidegger, come immagine riflessa della “Verità-Zen” (Zen-Wahrheit). Si apre con ciò un ambito di discussione fra il pensiero di Heidegger quale estremo Zenit della filosofia occidentale da una parte e il pensiero orientale motivato dallo Zen dall’altra. Tsujimura in questo modo cerca di far emergere la spaccatura (den Spalt austragen) nel cuore della reciproca disputa. La terza generazione sembra essere la generazione di questo arbitrato, mentre per la precedente il compito prioritario consisteva nell’edificazione creativa della propria filosofia. In ciò si mostra di nuovo un cambiamento della fase “storico filosofica”.

Un lavoro fondamentale di Shizuteru Ueda, la ricerca su Eckhart [7], è anch’essa motivata, portata avanti e sperimentata a partire dall’esperienza Zen. Per Ueda il concetto mistico dell'”irruzione nel divino” (des Durchbruchs zur Gottheit) in Eckhart non è affatto una riflessione che galleggia al di sopra dell’esperienza, ma il fatto (die Sache) che si comprova direttamente nella esperienza mistica (in der mystischen Erfahrung unmittelbar bewahrheitet). L’accesso a questo punto assai profondo del pensiero di Eckhart viene dato attraverso l’esperienza Zen secondo la modalità per cui la “mistica” come esperienza più profonda del Nulla nel pensiero occidentale e l’esperienza orientale del Nulla assoluto ora si incontrano direttamente. L’ambito problematico, aperto proprio da Nishitani, relativo a “Zen e mistica” viene con evidenza ulteriormente dischiuso da Ueda. Al contempo egli assume anche il tema “Zen e filosofia” prendendo in primo luogo in seria considerazione la filosofia di Nishida. Il suo interesse nei confronti del problema del “linguaggio” [8] si dispiega nei due ambiti tematici sopra menzionati.

Nella terza generazione un posto speciale è ricoperto da Masao Abe (1915), il quale trova menzione [9] in alcune letterature occidentali sulla Scuola di Kyoto, ma che non è inserito in questo volume. Abe insegnò all’Università pedagogica di Nara. Ricoprì l’incarico di professore ospite nelle università americane, tra cui Columbia/NewYork, Chicago, Princeton, Claremont e pubblicò numerosi lavori in lingua inglese [10] nei quali illustrò, in particolare sotto l’influenza di Hisamatsus, il punto di vista del buddismo Zen a confronto spesso con il cristianesimo. Inoltre, dopo la morte di Shin-ichi Hisamatsu, è una delle figure eminenti dell’Associazione FAS fondata da Hisamatsu. Ora però ci si deve chiedere, talvolta in sintonia con la letteratura che lo menziona, fino a qual punto egli abbia contribuito ad apportare qualcosa di nuovo nell’approfondimento o nella prosecuzione del pensiero filosofico della Scuola di Kyoto. Mentre Tageuchi sulla scia delle precise conoscenze del buddismo portava avanti l’eredità del suo maestro Tanabe e la filosofia occidentale la linea filosofico religiosa, Tsujimura confrontava il concetto del Nulla assoluto con il pensiero dell’Essere di Heidegger e cercava di comprendere quest’ultimo ancor più radicalmente, Ueda evidenziava in maniera ragguardevole la vicinanza sostanziale del pensiero del buddismo Zen a quello di Eckhart, la peculiarità dei lavori di Abe consiste nell’illustrare con chiarezza e semplicità, spesso a confronto con il cristianesimo, il pensiero relativo al Nulla del buddismo Zen altrimenti difficile da seguire. A lui va dunque ascritto il merito di aver divulgato in America il pensiero del buddismo Zen così come la filosofia della Scuola di Kyoto. Grazie alle sue lezioni e alle conferenze svolte in America, si arricchirono di fatto i colloqui fra oriente e occidente. Tuttavia, siccome questo volume si propone di illustrare la Scuola di Kyoto in base a testi che sviluppano oppure approfondiscono il pensiero da diverse e di volta in volta nuove prospettive, i lavori di Abe non possono essere presi in considerazione in questo contesto.

Nella terza generazione della Scuola di Kyoto in sostanza finora non si trovano tanto forme nuove e originali di pensiero quanto piuttosto nuovi aspetti nel dibattito con il pensiero occidentale. Grazie a questo, la filosofia del Nulla assoluto da una parte si sviluppò ulteriormente nella sua portata ed estensione. D’altra parte tuttavia sembra come se la filosofia della Scuola di Kyoto abbia quasi completato la propria configurazione essenziale. Si è gia precedentemente affermato che di fatto la linea di sviluppo di questa Scuola è giunta ad un termine per lo meno sul piano dell’insegnamento. Per concludere si deve ancora riflettere sul significato che questo epilogo può avere sotto l’aspetto filosofico.

Traduzione a cura di Elia Tosi e Manuela Ritte

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NOTE:

[1] Versione inglese: The Characteristics of Oriental Nothingness, in: Philosophical Studies of Japan, Vol. I (Tokyo 1960) pp. 65-97; versione tedesca: Die Quelle des Nichts, traduzione di Takashi Hirata e Johanna Fischer, edito da Eberhard Cold, Pfullingen 1975.
[2] Watashi no tetsugakuteki hossokuten, 1963, ora in: Keiji Nishitani, Kaze no kokoro, Tokyo 1980, pp. 206-217. Versione inglese: The Starting Point of My Philosophy, in: FAS Society Journal (Spring 1986) pp. 24-29.
[3] Cfr. Keiji Nishitani, Aku no mondai, in: Werke Nishitanis, volume 2, Tokyo 1987, pp. 3-38.
[4] Shukyo towa nanika; versione inglese Religion and Nothingnesss, traduzione di Jan Van Bragt, 1982; versione tedesca: Was ist Religion?, traduzione di Dora Fischer-Barnicol, Frankfurt a.M. 1982.
[5] Kami to zettaimu, Tokyo 1948, ora in: Opere di Nishitani, volume 7, pp. 1-204.
[6] U no toi to zettaimu, in: Heidegga ronko, Tokyo 1970, pp. 1-54. Cfr. la versione tedesca nel presente volume.
[7] Cfr. in primo luogo la dissertazione dell’autore: Die Gottesgeburt in der Seele und der Durchbruch zur Gottheit. Die mystische Antropologie Meister Eckharts und ihre Konfrontation mit der Mystik des Zen-Buddismus, Guetersloh 1965. Cfr. inoltre la bibliografia.
[8] Cfr. per esempio Shizuteru Ueda, Ueber den Sprachgebrauch Meister Eckharts:, “Gott muss…” Ein Beispiel fuer die Gedankengaenge der speculativen Mystik, in Glauben, Geist, Geschichte, Leyden 1967, pp. 266-277; Das Erwachen in Zen-Buddismus als Wort-Ereignis, in: Offenbarung als Heilserfahrung im Christentum, Hinduismus und Buddismus, Freiburg i. Br. 1982, pp. 209-234.
[9] Cfr. nota 3.
[10] Per l’elenco dei saggi inglesi di Abe cfr. Fritz Buri, a. a. O. (nota 3) pp. 324-325.