Traduzione italiana dell’Introduzione del libro di Ohashi Ryosuke, “Die Philosophie der Kyoto-Schule. Texte und Einführung” (Alber, Freiburg i.Br 1990, 552 p.), a cura di ASIA Centro Studi Bologna

 

LA FILOSOFIA DELLA ” ESPERIENZA PURA” DI NISHIDA

Nella prefazione a “Uno studio sul bene” Nishida chiarisce il motivo per cui questo trattato, nonostante il suo carattere filosofico, miri al “bene”, cioè a qualcosa di assolutamente pratico della vita. La motivazione consiste nel fatto che Nishida assume il problema della vita come centro e fine della propria riflessione. Nonostante tutti gli influssi neokantiani, la filosofia di Nishida poggia sulla domanda rigorosa nei riguardi della vita e della morte, la quale lo portò anche a praticare lo Zen. Lo “Studio sul bene” ha dunque all’origine, anziché un principio speculativo, la “pura esperienza” immediata, un’espressione questa che si attiene al modello di William James.   [1] Nishida dice di aver da tempo pensato di assumere “l’esperienza pura” come l’unica realtà e di spiegare tutto attraverso essa” (die reine Erfahrung als die einzige Realitaet zu nehmen und dadurch alles zu erklaeren).[2] In queste parole si riflettono i due interessi preminenti menzionati in precedenza. Assumere l’esperienza pura come l’unica realtà, significa edificare il mondo reale non sulla mera speculazione bensì certificarlo nella pura esperienza immediata. In questo caso si conserva il punto di vista radical empirico. Tuttavia, al fine di “spiegare tutto” a partire da e attraverso questa esperienza, si deve trascendere il mero fenomeno positivo. Con ciò è espresso in un certo qual modo un eccedere il (piano) fisico, una posizione meta-fisica. La domanda che si pone è come questi due interessi fondamentali possano essere conciliati.

Il concetto-chiave risiede nell'”esperienza pura”. Per Nishida, l’esperienza è “pura” quando non è riflessa, oggettivata e soggettivata da una coscienza (von einem Bewusstsein reflektiert, vergegenstaendlicht und subjektiviert), vale a dire colta nella separazione soggetto-oggetto. Chi ha un’idea della tradizione del pensiero del lontano oriente e il significato che in esso riveste la prassi, penserà subito all’esercizio dell’assorbimento libero dall’io (der ichlosen Versenkung), così come viene realizzato nella sua modalità più pura in Zazen (esercizi Zen). L’esperienza pura nell’assorbimento in una cosa è l’esperienza “della” cosa (genitivo soggettivo e oggettivo); in ciò consiste la viva concordanza di Io e Cosa quale “unica realtà”. L’assorbimento in questa esperienza pura può sempre approfondirsi ulteriormente, così che alla fine è “intuizione intellettuale” in quanto assorbimento nel “divino” (als Versenkung in die Gottheit).
Per Nishida, questa è l’ “approfondita ed accresciuta esperienza pura” (die vertiefte und vergroesserte reine Erfahrung). Senza tralasciare il punto di vista dell’esperienza immediata, sussiste qui una possibilità relativa alla metafisica. Si deve aggiungere che l’esperienza pura quale dimostrazione della assenza di un io e della sua infondatezza nell’unica realtà (als Erweis der Ich-losigkeit und Gegenstand-losigkeit in der einzigen Realitaet) era una esperienza del “Nulla” in senso positivo. Con questo pensiero del Nulla, da una parte dunque viene salvaguardata l’immediatezza della esperienza, dall’altra si tenta di erigere una nuova metafisica.
Per delineare il successivo sviluppo della filosofia di Nishida, a questo punto è bene sollevare un altro problema. Si tratta della determinazione del “singolo” (Bestimmung des Einzelnen), che in “Uno studio sul bene” non è svolto espressamente, più tardi però diventerà uno dei punti centrali di questa filosofia. In relazione a ciò, può darsi che anche il pensiero del “Nulla assoluto” si faccia più chiaro.
Il “singolo” (das “Einzelne”), come tipicamente inteso a modello umano, è l’unico (das Enizige), non sostituibile da nessun altro e che solleva pretese di assoluta libertà. La concezione tradizionale del singolo da Aristotele in poi si può spiegare a partire da tre categorie: il genere (l’universale – das Allgemeine), la specie (il particolare – das Besondere), l’individuo (il singolo – das Einzelne). Socrate per esempio è l’individuo (das Individuum), l’animale bipede è la specie (die Spezies) e l’animale è il genere (Die Gattung). Il singolo è inteso quale punto finale della determinazione dell’universale. Ma allora il singolo non è che l’universale più in piccolo, di conseguenza ciò che è determinato da questo e non l’essere da esso libero e indipendente, come propriamente esige il concetto di singolo. L’unicità del singolo libero essere deve consistere nel fatto che anch’esso quale determinazione dell’universale può a sua volta determinare quest’ultimo. Fin tanto che il singolo viene determinato a partire dall’universale, sotto la preminenza dello stesso, la libertà creativa e l’unicità non potranno mai essere comprese.
C’è un piccolo saggio di Nishida in cui l’essenziale punto di partenza in merito a questo problema è esposto in un confronto più ravvicinato con la filosofia occidentale. Il saggio è intitolato “Il problema della coscienza negletta” (Das Problem des zurueckgelassenen Bewusstseins).[3] Nishida pensa che all’interno della filosofia occidentale la coscienza sia costantemente problematizzata, ma sempre come coscienza portata a consapevolezza e non come coscienza che porta alla consapevolezza (als das zum Bewusstsein gebrachte Bewusstsein und nicht als das zum Bewusstsein bringende Bewusstsein), quest’ultima in quanto tale continuerebbe ad essere ignorata nella filosofia occidentale. A dir il vero, oggi si sa che nelle dottrine scientifiche di Fichte del 1797 si parla dell’ “essere consapevole” (Bewusstseienden) come differente dal contenuto della coscienza (Bewussten)[4] o nella fenomenologia di Husserl dell’anonimità mai oggettivabile dell’Io (von der nie zu vergegenstaendlichen Anonymitaet des Ich).[5] Ciò che Nishida riteneva “negletto” in realtà fu preso in considerazione nella moderna filosofia. Tuttavia vi resta come coscienza assoluta al di là della esperienza immediata oppure come concetto limite della stessa, oltre al quale non può essere detto nulla.

La coscienza “negletta” significa per Nishida il nostro Sè, che nell’esperienza pura è realmente presente e comprovato (real gegenwaertig ist und bewaehrt wird). Se questo Sè viene sostanzializzato come Io, gli si dovrebbe allora porre davanti il paralogismo kantiano; se rimane un concetto limite, allora non è ancora un libero, “singolo” essere (ein freies “einzelnes” Wesen). Questo Sè è quindi concepito da Nishida come “luogo” (Ort), il quale in sé è Nulla, ma in forza del quale solo ciò che è, è reso possibile. Il pensiero del luogo, con il quale inizia la filosofia di Nishida in senso proprio, si ritrova anzitutto nella raccolta dei trattati “Dall’agente al vedente” (Vom Wirkenden zum Sehenden).[6] Il “luogo” lì è il noematico inintelligibile “vedente”, il quale sta alla base dell'”agente”, vale a dire quale “occhio” dell’assoluta volontà. Si sa che Fichte rappresentò alcune volte questo occhio come occhio di Urania. In lui però quest’occhio divenne l’intima potenza della volontà assoluta, di conseguenza fu concepito ancora come un agente. Ma, così come nel bel mezzo del turbinio della tempesta regna la calma assoluta, analogamente proprio la Non-azione (das Nicht-Wirken) deve essere il cuore di ciò che agisce. La potenza muove l’altro, ma non sé stessa. Il Sé dell’agente è semplicemente il Nulla. Questo Nulla è, nel mentre esso si vede come agente, vale a dire lascia essere. Esso è, in quanto agente, cioè in quanto mondo e Io. Fuori dall’Io assoluto non c’è nulla – così dissero Fichte e Schelling. La formula potrebbe essere riscritta: l’Io assoluto non può essere senza questo “nulla”. Il luogo del Nulla in questo senso è l’aperto (das Freie), il quale lascia accadere in sé stesso il processo dell’intendimento di sé dell’Io assoluto, che però si sottrae a questo processo ed è “libero” da esso. E’ il luogo della libertà, e in quanto tale viene concepito come il Sé del “singolo”.

L’esperienza pura può essere intesa da qui in poi come assorbimento in questo luogo della libertà e del Nulla. Nello sviluppo successivo del pensiero, soprattutto negli anni trenta, questo luogo viene concepito nuovamente come “mondo”, press’a poco come in Heidegger per il quale l’umano “Esser-Ci” (Da-sein) fu in seguito pensato come “ci dell’Essere” (“Da des Seins”), come “mondo”. Con ciò la filosofia di Nishida raggiunge un nuovo livello, in cui non solo viene tematizzata l’essenza dell’individuo ma anche il problema dell’universo storico.

Traduzione a cura di Elia Tosi e Manuela Ritte

Della stessa serie:

Sullo stesso argomento:

NOTE:

[1] Per il confronto della filosofia di Nishida con quella di James cfr. Andrew Feenberg e Yoko Arisaka, Experiential ontology: The origins of the Nishida Philosophy in the doctrine of pure experience, probabilmente in: International
[2]  Prefazione alla nuova edizione di “Uno studio sul Bene” (Zen no kenkyu), Opere di Nishida. Questa prefazione, che contiene l’importante sguardo retrospettivo di Nishida sulla propria filosofia, purtroppo non è tradotta nella versione tedesca delle opere.
[3]  Torinokosaretaru ishiki no mondai, 1926, ora in: Opere di Nishida, volume 12, pp. 5-17.
[4] Fichte, Versuch einer neuen Darstellung der Wissenschaftslehre, 1797, Saemtliche Werke, edito da I. H. Fichte, volume 1, ristampa Berlino 1971, pg 526.
[5]  Cfr. sull’argomento Klaus Held, Lebendige Gegenwart (=Phenomenologica 23), Den Haag, 1966.
[6]  Hatarakumono kara mirumono e, 1916, ora in: Werke Nishidas, volume 4.