Appunti sulla domanda di senso. Parte III

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Indice della Parte III

Altre esperienze etiche – indice

Al termine della seconda parte di questo percorso, abbiamo visto che nei Quaderni Wittgenstein affronta il problema della domanda di senso in termini etici. Non cerca di definire un valore etico, e non propone “doveri morali”, piuttosto indica esperienze etiche ed estetiche. Esperienze di abbandono e di impotenza, di visione del mondo sub specie aeterni: la visione del mondo come totalità – delimitata. Un significato che, una volta approfondito, si estende nella realtà quotidiana.

Molti anni dopo, trasferitosi in Inghilterra, tiene nel 1929 la famosa “Conferenza sull’etica” a Cambridge (LC) nella quale nuovamente descrive esperienze di un unico tutto delimitato dal nulla: il mondo viene descritto così “unificato” in precisi momenti, e dall’altra parte, niente. Sono momenti che Wittgenstein, ormai adulto, continua a tenere come i riferimenti del suo pensare ed agire.

La prima esperienza che descrive nella conferenza del 1929 è il meravigliarsi per l’esistenza del mondo comunque esso sia. In genere, afferma Wittgenstein, mi meraviglio di qualcosa per come è, poiché potrebbe essere diverso; ma in questa esperienza, insensata dal punto di vista logico, mi meraviglio perché il mondo è, così ma anche altrimenti che così.

La seconda esperienza etica è il sentirsi assolutamente al sicuro qualunque cosa accada. Anche questa logicamente insensata, perché sentirsi al sicuro significa l’impossibilità fisica che certe cose possano accadere (es. mi sento al sicuro dalla pertosse perché l’ho già avuta, non posso averla una seconda volta) e non la possibilità di tutto.

La terza è il sentirsi in colpa. Wittgenstein vi accenna brevemente, ma possiamo pensare che intendesse il sentirsi in colpa qualsiasi cosa abbia o non abbia fatto. Ma la colpa è legata all’atto, è illogico sentirsi comunque in colpa. Eppure il “peccato” può divenire originario, totalizzante: tutti gli atti sono “colpevoli”. È forse una sensazione vicina alla angst heideggeriana: Wittgenstein può aver figurato in questa tonalità emotiva totalizzante la “negazione della totalità degli enti”. In fondo la angst di Heidegger si trova proprio “nella piena impotenza nei confronti dell’ente nella sua interezza”[1].

Forse una nota sul rapporto tra Wittgenstein e Heidegger si rende opportuna.

 

Heidegger e Wittgenstein – indice

Sono forti le connessioni tra le “esperienze etiche” di Wittgenstein di percezione della totalità dei fatti, con quelle che descrive il filosofo tedesco Martin Heidegger.

Abbiamo visto che il carattere comune ai momenti di rivelazione della “totalità dei fatti” (che potremmo chiamare “l’esistenza di tutto”) Wittgenstein li visse quando sullo sfondo si è mostrato il significato di “nulla”:

  • quando colse che “tutto c’è e nulla ha valore” attraverso la contingenza (cfr. paragrafo ” E’ “);
  • quando il “tutto è in me”, portata agli estremi giunge a un tutto unico che lascia da una parte tutta l’esistenza (mondo-realtà) e dell’altra il nulla (cfr. paragrafo “Io è mondo”);
  • quando colse anche la volontà come un fatto contingente, parte dell’unico tutto che non dispone di sé; e dall’altra parte, il nulla (cfr. paragrafo “Impotenza”);
  • nella visione del mondo “dal di fuori” sub specie aeternitatis come totalità – delimitata (cfr. paragrafo “Seconda conclusione”);
  • nelle esperienze di totalità della meraviglia, del sentirsi al sicuro, del sentirsi in colpa (cfr. paragrafo “Altre esperienze etiche”).

Nella conferenza “Cos’è Metafisica?” Heidegger introduce nella sua filosofia il niente e parla della difficoltà di farlo accettare come un significato essenziale per elaborare la domanda fondamentale “Perché vi è in generale l’ente e non piuttosto il niente?”. Che è una domanda sul senso del mondo (l’insieme di tutti gli enti) come quella di Wittgenstein, in cui il nulla è però espresso come l’alternativa.

Per giustificare il niente, Heidegger ricorre alla esperienza diretta di momenti vissuti di tutto: ad esempio la noia profonda, che “come una nebbia silenziosa accumuna tutte le cose, tutti gli uomini e con loro noi stessi in una strana indifferenza”[2]. Anche la gioia ha questo effetto di “accumunare tutto”, la gioia che si prova ad esempio per la presenza di un essere amato. Sono tonalità emotive senza oggetto o evento specifico (“come è”) ma che ci fanno ritrovare nella “totalità degli enti (“che c’è”): quando viviamo la noia o la gioia tutto viene unificato dal nostro stato d’animo. Sentiamo che siamo “nel tutto” come significato cui nulla sta fuori.

Ma questi stati d’animo che ci portano nell’unità del tutto, ancora possono nascondere il niente. Heidegger descrive allora un altro sentimento: la “angst“, termine che non è da tradurre con angoscia perché in italiano questo termine è associato a un significato solo negativo. Non è ansia o paura per qualcosa di determinato. Piuttosto una “singolare quiete”, una “luminosità dello sguardo” dove si smarrisce il senso quotidiano, tutto si unifica e si staglia sul niente, che il filosofo tedesco intende come “la negazione della totalità degli enti”.

Vi sono anche connessioni storiche: la prolusione intitolata “Cos’è Metafisica?” fu tenuta da Heidegger nel luglio 1929 a Friburgo. La “Conferenza sull’etica” fu pronunciata in un periodo tra gli ultimi mesi del 1929 e il corso del 1930.
Nel dicembre 1929 Wittgenstein affermò di poter immaginare «molto bene quel che Heidegger intende con “essere” e “angst”», collegando questa tematica alla propria visione dell’etica[3].

 

L’etica è trascendentale – indice

Il rischio insito nel riportare esperienze in prima persona è che possono indurci a rappresentare l’irrappresentabile: l’etica non si può ridurre a rinuncia, intemporalità, meraviglia, senso di sicurezza. Non si fa delimitare da esperienze. Solo, in esse, si mostra [4].

Per Wittgenstein

L’etica non si lascia formulare” (Q 30.7.16).
L’etica è trascendentale” (T 6.421).
L’etica non tratta del mondo. L’etica deve essere una condizione del mondo, come la logica” (Q 24.7.16).

Logica ed etica sono significati che pur non potendo descrivere se stessi attraverso convenzioni, definizioni o regole, tuttavia rendono possibile che qualcosa venga detto e che si dia un rapporto “retto” con il mondo.

Rapporto che non si può però compiutamente indicare con un’esperienza. In fondo, dice lo stesso Wittgenstein, non può esserci un’esperienza che ci faccia capire la logica (e l’etica), perché non sono atti o comprensioni che qualcosa è così o così, ma il sapere improvviso e inafferrabile che qualcosa c’è. Il che non è un’esperienza. Nelle sue parole:

L’ “esperienza” che ci serve per la comprensione della logica è non l’esperienza che qualcosa è così e così, ma l’esperienza del fatto che qualcosa è. Ma ciò non è un’esperienza. La logica è prima d’ogni esperienza – d’ogni esperienza che qualcosa è così. Essa è prima del Come, non del Che cosa.“(T 5.552).

Ogni esperienza è un come, così e così. Ma non c’è nulla fuori dall’esperienza. Allora di cosa stiamo parlando? L’esperienza del fatto che qualcosa c’è, così come l’etica che ne discende, sono eventi che, più che “trascendentali”, possiamo forse chiamare “vuoti”. Non inesistenti, ma privi sia di una propria definibilità sia di fondamento ultimo. Impossibili. Capaci di includere sé stessi e superarsi. In questo senso l’etica radica nella consapevolezza dell’esistenza (nel Mistico) ed è “fuori dal mondo”: non è localizzabile perché differisce da ogni modalità di esperienza, sia essa meraviglia o angoscia. Così come differisce da ogni idea di bene o male, di giusto o sbagliato, di appropriazione o rinuncia; e differisce dall’essere differente. Questa differenza è sovrapponibile al significato del termine vacuità[5], che nei testi buddisti è indicato come centrale e tutt’uno con la dimensione etica della compassione.

Le riflessioni di Wittgenstein, come lui stesso indica, sono insensate (Unsinning) ma questo non significa che siano senza senso (Sinnlos): mostrano significati, evocano esperienze dirette e vissute; aprono orizzonti nuovi per la domanda di senso e di etica. Si trasforma il rapporto, si spezza l’equazione, tra “problema del senso della vita” e “mancanza di valore” o “tristezza”.

Chi vive rettamente sente il problema della vita non come tristezza, non come problematico quindi, ma piuttosto come una gioia: dunque quasi come un etere luminoso attorno alla sua vita e non come uno sfondo nebbioso” (PD, p.58).

In forma artistica, riecheggia la profonda indagine poetica sull’etica e il male che il più filosofico tra i registi americani, Terrence Malik ha condotto nel film Thin Red Line del 1998:

Un uomo guarda un uccello morente e pensa che la vita non sia altro che dolore senza risposta; ma è la morte che ha l’ultima parola, ride di lui. Un altro uomo vede lo stesso uccello e sente la gloria; sente nascere la gioia eterna dentro di sé

 

A cura di
Roberto Ferrari

NOTA: abbreviazioni per i testi di Ludwig Wittgenstein nelle traduzioni di cui dispongo.
(Q ): Quaderni 1914-1916, in Tractatus logico Philosophicus e Quaderni 1914-1916, a cura di Amedeo G. Conte Einaudi, Torino 1995.
(T ): Tractatus logico Philosophicus, in Tractatus logico Philosophicus e Quaderni 1914-1916, trad. italiana A.G. Conte Einaudi, Torino 1995.
(DS): Diari segreti (1914-1916), trad. italiana F. Funtò, Laterza, Roma-Bari 1987.
(PD): Pensieri Diversi (1914-1951), trad. italiana M.Ranchetti, Adelphi, Milano 1980.
(LC) Lezioni e conversazioni sull’etica, l’estetica, la psicologia e la credenza religiosa, tr. it. M. Ranchetti, Milano, Adelphi, 1967.

RINGRAZIAMENTI
Il presente lavoro è il frutto della frequentazione di anni con il lavoro di Wittgenstein, di un intenso seminario intensivo sul Tractatus condotto dal Prof. Luigi Perissinotto (Università di Venezia) che ringrazio sentitamente, ma soprattutto del percorso di pratica meditativa e filosofica condotto sotto la guida del Maestro Franco Bertossa (ASIA, Bologna) che da 30 anni promuove una ricerca comparata del pensiero occidentale ed orientale al fine di indagare e trasmettere l’esperienza del mistero e i suoi esiti liberanti. A lui va ogni possibile ringraziamento.

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Note
[1]  M.Heidegger, Cos’è metafisica, 1929.
[2] Heidegger M. 1929, Cos’è Metafisica? a cura di Franc

o Volpi, Ed. Adelphi, p. 48.
[3] Perissinotto L., 1994, Heidegger e Wittgenstein. Quarant’anni di Studi, Rivista Bollettino della Società Filosofica Italiana, Pp. 3-20.
[4] P.Pendenza, Wittgenstein e il Tractatus, 2007
[5] Bertossa F., Buddha e Heidegger: la vacuità e la differenza, 2002, “Asia a.m.v.a.i.” n. 19, e su asia.it