Traduzione italiana dell’Introduzione del libro di Ohashi Ryosuke, “Die Philosophie der Kyoto-Schule. Texte und Einführung” (Alber, Freiburg i.Br 1990, 552 p.), a cura di ASIA Centro Studi Bologna

Introduzione [1]

PANORAMA STORICO

Analogamente alla “Scuola di Francoforte” in Germania, la “Scuola di Kyoto” si formò in Giappone nel corso di diverse generazioni. Mentre la vita filosofica giapponese da almeno un secolo si limitava alla semplice introduzione della filosofia europea, questa scuola si contraddistinse per il fatto di aver assimilato la filosofia europea poggiando consapevolmente sul terreno della propria tradizione spirituale e per aver sviluppato in tal modo un proprio pensiero autonomo. Che ci si esprima a favore o contro, in ogni caso oggi in Giappone la filosofia della Scuola di Kyoto è divenuta una eredità storica, con la quale chi intende occuparsi di filosofia deve confrontarsi. Il pensiero elaborato da questa Scuola sta attirando pian piano su di sé l’attenzione anche del mondo filosofico europeo e degli Stati Uniti, tanto che negli ultimi tempi si moltiplicano i lavori redatti in lingua occidentale sull’argomento.

L’estensione del circolo della Scuola di Kyoto, tuttavia, non sempre è chiara, sicché questo appellativo nei lavori riguardanti la Scuola è utilizzato quasi senza alcun criterio[2]. La confusione proviene in parte dal fatto che persino in Giappone finora non è stata prodotta alcuna indagine tematica su questa Scuola. Se sotto il concetto di scuola[3] si intende una cerchia fondata da una personalità di primo piano e dotata di una precisa consapevolezza nei confronti di altre scuole o tendenze, allora quella di Kyoto non si può definire una “scuola”. Il “fondatore” Kitaro Nishida (1870-1945) non ebbe mai l’intenzione di fondare una scuola. Neppure i suoi scolari, annoverati nella Scuola di Kyoto, si servirono di questa denominazione. Il nome “Scuola di Kyoto” fu attribuito dall’esterno[4] e rimase spesso una designazione gravata “ideologicamente”. Come sarà esposto di seguito, con questo nome, infatti, furono spesso qualificati i filosofi che prima della seconda guerra mondiale si trovavano in stretto contatto con Nishida e che, si dice, avessero cercato di giustificare la “Guerra del Pacifico”.[5] Questa cerchia attorno a Nishida prima della guerra fu attaccata[6] violentemente dall’estrema destra a causa dell’atteggiamento critico sostenuto nei confronti del nazionalismo di allora, e dopo la guerra fu criticata dalla sinistra[7] per la sua presunta collaborazione alla Guerra del Pacifico. Questa critica ideologica tuttavia tradisce già il fatto che, e quanto, la cerchia della Scuola di Kyoto fosse influente non solo in campo filosofico ma nel mondo intellettuale in genere. Il pensiero della Scuola non agì solo in ambito filosofico ma anche in altri campi come quello della pedagogia, dell’estetica, delle scienze storiche, e così via. La linea di questo pensiero proseguì anche dopo la seconda guerra mondiale. Oggi, tuttavia, sembra esser giunta alla sua conclusione, per cui rimane aperta la questione se questo epilogo possa essere un nuovo inizio o meno. Ora è giunto il momento di mettere in luce la dimensione rimasta finora incerta nonché il significato storico filosofico non ancora manifesto della Scuola.

Il primo filosofo della Scuola di Kyoto, Kitaro Nishida, fu l’ex ordinario del Seminario di Filosofia 1 dell’Università di Kyoto. A favore del fatto che egli sia considerato il “fondatore” della scuola, sebbene Nishida non abbia mai inteso esserlo, c’è un valido ed esauriente motivo: Nishida fu il “capostipite” della moderna filosofia giapponese, in senso analogo a quello di Solowjew[8] per la filosofia russa e Peirce[9] per quella americana, ciascuno dei quali si è guadagnato il posto di padre. La filosofia, così come si formò in occidente, fu infatti introdotta in Giappone solo alla fine dell’ultimo secolo come conseguenza della modernizzazione, o meglio, della europeizzazione. Il primo trattato di Nishida “Uno studio sul bene”[10] fu anche il primo lavoro originale in questo campo, del tutto nuovo per il Giappone. Il trattato, che aprì un indirizzo specifico al filosofare, ha guadagnato una vasta, quasi popolare cerchia di lettori anche fuori dal mondo filosofico. Con la cerchia attorno a Nishida iniziò negli anni ’20 e ’30 la fioritura della Facoltà di Letteratura dell’Università Imperiale di Kyoto. Nishida fondò così, senza esserne consapevole, la tradizione filosofica giapponese e in particolare la filosofia della Scuola di Kyoto. Con il primo trattato menzionato ha inizio la 19° edizione completa dei lavori di Nishida[11], che ha rappresentato fino ad oggi una fonte per l’attività filosofica in Giappone.

Il successore di Nishida alla cattedra di insegnante, Hajime Tanabe (dal 1885 fino al 1962), la cui edizione completa delle opere comprende 15 volumi[12], dal punto di vista filosofico divenne presto il suo più forte antagonista. La sua violenta controversia con Nishida contribuì al fatto che quest’ultimo da parte sua sviluppò il proprio pensiero filosofico tenendo sempre in considerazione la critica di Tanabe. Analogamente anche Tanabe dovette correggere via via la propria critica a Nishida. Lo sviluppo della filosofia di Nishida e di Tanabe pertanto non può essere considerato separatamente uno dall’altro, sicché entrambi i filosofi possono essere reputati come coloro che hanno dato “inizio” alla scuola di Kyoto.

Tanabe, inoltre, fu un importante promotore del dialogo nei confronti dei filosofi europei; negli anni ‘20 frequentò a Friburgo le lezioni di Husserl e nel 1924 riferì su “La nuova svolta della fenomenologia”[13] grazie a Martin Heidegger, vale a dire tre anni prima dell’uscita di “Essere e tempo”. Con questo studio sulla fenomenologia ermeneutica, allora ancora sconosciuta, Tanabe scopre e apprezza il significato del pensiero del giovane Heidegger. A seguito del suo scritto, i filosofi giapponesi instaurarono discussioni creative e vivaci con la filosofia europea del tempo, in primo luogo con quella di Heidegger[14]. Nel 1957, l’Università Albert Ludwig di Friburgo in occasione dei festeggiamenti per la ricorrenza dei 500 anni dalla fondazione, conferì a Tanabe la laurea Honoris causa in filosofia.

La fondazione della Scuola di Kyoto in senso stretto fu compiuta quindi dagli studenti di Nishida e Tanabe. Come già menzionato, al nome di questa scuola fu spesso associato un rilievo di stampo ideologico contro la giustificazione dell’ultima guerra mondiale. Prima di procedere all’illustrazione della formazione della Scuola di Kyoto da parte della seconda generazione va preso innanzitutto in considerazione questo aspetto negativo, esaminandolo attentamente. L’engagement dei filosofi a Kyoto prima dell’ultima guerra iniziò proprio con Tanabe, allorché nel 1934 cominciò a concepire il proprio pensiero filosofico, “La logica della specie” (Die Logik der Spezies). Tanabe nel trattato del 1937, “Un tentativo di chiarire il significato della logica della specie” (Versuch, die Bedeutung der Logik der Spezies zu klären)[15], addusse due ragioni per la propria filosofia, una filosofica, l’altra pratica. Tanabe si sente in dovere di discutere e confrontarsi con la tendenza nazionalista giapponese del periodo per non lasciare l’iniziativa in mano ai marxisti che in quella situazione stavano diventando via via più influenti. Nei pensieri filosofici di Nishida e di Tanabe a quei tempi emergeva sempre più in primo piano, in parte stimolato dai dialoghi e dalle discussioni con studenti sagaci, orientati in senso marxista, il problema del mondo storico, mentre fino allora aveva prevalso, sia in Nishida che in Tanabe, il tono di fondo religioso e cultural filosofico.
Un impegno ancora più attivo lo mostrarono poi in quella situazione i loro studenti. Keiji Nishitani (1900), dopo Nishida e Tanabe uno dei filosofi più importanti in Giappone, a motivazione della sua opera apparsa nel 1941, “Visione del mondo e visione della nazione” (Weltansicht und Staatsansicht)[16], portò come Tanabe due ragioni: la prima consisteva nel chiarire il rapporto della filosofia e della religione nei confronti della nazione, la seconda nel comprendere la posizione del Giappone di quel periodo, così come la direzione politica che avrebbe dovuto assumere, nel quadro di una visione storica universale, di ampiezza planetaria. Questa visione, che si palesa anche nel titolo “Visione del mondo e visione della nazione”, rappresentava una critica alla situazione giapponese del tempo, in cui emergeva con sempre maggior evidenza la tendenza verso un nazionalismo estremo. Assieme a Nishitani altri rappresentanti della Scuola di Kyoto come Masaaki Kosaka (1900 – 1969), Iwao Koyama (1905 – 1989) e Shigataka Suzuki (1907 – 1988) cercarono un nuovo indirizzo critico alla Guerra del Pacifico attribuendole il significato di “dovere storico universale” (die Bedeutung des “weltgeschichlichen Sollens”)[17]. Vale a dire, essi videro che l’Europa ormai non era più l’unico “mondo” e che versava piuttosto in una crisi spirituale, sicché il Giappone quale primo paese modernizzato dell’Asia aveva ora il compito, per il nuovo ordine del “pianeta”, di esprimere in Asia la forza morale dello spirito della tradizione allo scopo di superare il Moderno europeo. La guerra del Pacifico avrebbe dovuto portare alla luce questa storica necessità. Così essi compararono la Guerra del Pacifico nel suo significato storico spirituale alla guerra persiana dell’antichità, nella quale il nuovo mondo greco combatté per lo spirito libero e contro la vecchia potenza mondiale. Essi misero espressamente in guardia sul fatto che la guerra pacifica non sarebbe dovuta diventare guerra di invasione, la quale persegue lo scopo di conquistare nuove colonie e nuove materie prime.[18] Il corso effettivo della guerra, tuttavia, non corrispose a questa pretesa. La guerra in realtà fu essenzialmente motivata da interessi economici. Non è difficile comprendere come, dopo la guerra, l’aver attribuito precedentemente ad essa il significato di dovere storico universale non fosse accolto come il tentativo di avviare un nuovo indirizzo critico bensì venne recepito come un appoggio diretto. Il discorso del dovere ideale venne preso per il discorso dell’essere reale. Ripetutamente venne mossa una critica di stampo ideologico nei confronti della Scuola di Kyoto. Talvolta a ragione, in quanto il lato problematico della guerra non fu posto in evidenza con forza dai filosofi della Scuola. La critica non coglieva però nel segno quando in essa con la buccia si gettava via anche la mela.
Il passato della Scuola di Kyoto ricorderà al lettore europeo il caso di Martin Heidegger, il quale all’inizio del Terzo Reich ricoprì la carica di rettore all’Università di Friburgo e da dopo la guerra sino ad oggi, perfino dopo la sua morte, è stato esposto alla critica per via del sostegno dato al nazionalsocialismo. I critici recenti pretendono di dimostrare come Heidegger non solo temporaneamente bensì per natura fosse un pensatore nazionalsocialista, per cui questi critici sono a loro volta contestati sia per il loro intento che in fatto di esattezza. [19] Heidegger stesso scrisse, poco dopo la guerra, in una nota: “Ricoprendo la carica di rettore avevo osato tentare di salvare, nobilitare e consolidare il positivo” (Mit der Uebernahme des Rektorats hatte ich den Versuch gewagt, das Positive zu retten und zu läutern und zu festigen). [20]  Keiji Nishitani scrisse nel 1952 di aver collaborato alla guerra nel mentre si poneva contro l’indirizzo seguito allora dal regime militare. A lui interessava porre in chiaro il fatto che la guerra dovesse avere il giusto scopo morale affinché non diventasse una guerra di invasione.[21] Ad ogni modo, l’intervallo trascorso di mezzo secolo solo ora rende possibile prendere in esame ciò che attraverso tutte le critiche rimane come eredità storica e quanto profondamente questa eredità ci sfidi ad una nuova riflessione filosofica.

A questo punto non si può trascurare di menzionare altri due filosofi, i quali nel dibattito svoltosi durante il periodo della guerra mantennero un maggior riserbo, ma in considerazione del loro indirizzo filosofico devono essere reputati membri di questa scuola. Per citare qui solo i rappresentanti più importanti, Shin-ichi Hisamatsu (1889 – 1981) è noto anche in Europa e in America come maestro contemporaneo che ha aperto la strada allo Zen. Torataro Shimomura (1900) è uno dei curatori dell’edizione completa di Nishida, conosciuto per le sue sobrie opere storico spirituali. Poiché non insegnò mai all’Università di Kyoto, in verità non gli si addice il nome, legato al luogo, di “Scuola di Kyoto”. Ma egli si trova così profondamente radicato nello spirito della Scuola da essere senz’altro ritenuto un suo rappresentante.

Per la terza generazione desidererei innanzitutto citare i seguenti tre rappresentanti: Yoshinori Takeuchi (1913), che fu ordinario di Scienza della religione come successore di Nishitani, conosciuto per le sue lezioni in qualità di professore ospite a Marburgo così come per le pubblicazioni in inglese e tedesco; Koichi Tsujimura (1922), ordinario fino al pensionamento alla cattedra che un tempo fu di Nishida e di Tanabe, che fece parte della stretta cerchia di studenti di Heidegger e del maestro Zen Hisamatsus; Shizuteru Ueda (1926), successore di Takeuchi, che con il suo trattato su Meister Eckhart e sul buddismo Zen è sicuramente quello più vicino all’ambito di lavoro di Nishitani. Tutti e tre sono pensionati, con ciò un termine della scuola di Kyoto in primo luogo va fissato sul piano dell’insegnamento. Sarebbe tuttavia più importante vedere se sotto l’aspetto filosofico la linea di sviluppo di questa scuola sia giunta al suo epilogo anche nel senso del suo compimento.

Traduzione a cura di Elia Tosi e Manuela Ritte

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NOTE:

[1] La seguente presentazione fu divulgata per la prima volta nelle sue linee fondamentali con il titolo “Zur Philosophie der Kyoto-Schule” in: Zeitschrift für philosophische Forschung, vol. 40, fascicolo I (1986). Pp. 121 -134. Si tratta di una raccolta di testi tra altro di Kitarô Nishida, Keiji Nishitani, Kôichi Tsujimura a cura di Ryosuke Ohashi. N.d.t.
[2]  Fritz Buri, per esempio, nel suo libro Der Budda-Christus als der Herr des wahren Selbst. Die Religionsphilosophie der Kyoto-Schule und das Christentum, Bern/Stuttgard 1982, accoglie otto filosofi: Kitaro Nishida, Hajime Tanabe, Daisetsu Suzuki, Shin-ichi Hisamatsu, Keiji Nishitani, Yoshinori Takeuchi, Masao Abe, Sizuteru Ueda. A tal proposito, Hans Waldenfelds scrive a ragione: “Riguardo alla scelta… questa è discutibile. In tal modo, più d’uno sarà a buon diritto dell’opinione che Suzuki non appartenga in senso stretto, nonostante la sua amicizia con Nishida, a questo circolo. Viceversa avrebbero potuto apparire altri nomi, forse Masaaki Kosaka, Torataro Shimomura, Iwao Koyama, per lo meno Koichi Tsujimura.” (Neue Zeitschrift für Missionswissenschaft XX; Heft2 [Zürich 1983] p. 142). La scelta fatta da Friedrick Franck in The Budda Eye. Antologie of the Kyoto School, New York 1982, è senz’altro un “guazzabuglio”. Gli autori accolti come “figure di spicco” sono (in ordine): Daisetsu Suzuki, Keiji Nishitani, Masao Abe, N. Kobori, Masao, Shizuteru Ueda, Shinichi Hisamatsu, Yoshinori Takeuchi, Ryoshin Soga, Manshi Kiyozawa. Mancano innanzitutto Nishida e Tanabe come prima generazione della scuola di Kyoto. Kiyozawa e Soga, entrambi conosciuti buddisti della scuola di Shinshu, non hanno nulla a che vedere con la filosofia della scuola di Kyoto, la stessa cosa vale per Kobori, maestro Zen del tempio di Daitoku. La denominazione “Scuola di Nishida”, così come è stata utilizzata da Junko Hamada in Nishida-Philosophie, apparso in: Japan-Handbuch, edito da Horst Hammizsh, Stuttgard (2) 1984 pp. 1366 – 1374, fu usata nel periodo delle origini della scuola di Kyoto (vedi nota 5), ma oggi non più, evidentemente perché in seguito si è rivelata inadeguata.
[3]  Per il concetto di “scuola”, anche in senso sociologico, si veda innanzitutto Wolf Lepenies, Geschichte der Soziologie, vol. 2, 1981.
[4]  La prima letteratura specializzata in cui apparve il nome Scuola di Kyoto è probabilmente il saggio di Jun Tosaka, uno studente marxista di Nishida: Kyoto-gakuha no tetsugaku (La Filosofia della Scuola di Kyoto), 1932, ora in: Tosaka Jun zenshu (Edizione completa Jun Tosakas), vol. 3, Tokyo 1966, pp. 171- 176). Quali testimoni della Scuola di Kyoto, allora in via di sviluppo, Tosaka indica tre nomi: Kitaro Nishida, Hajime Tanabe e Kiyoshi Miki (1897 fino al 1945). Tosaka considera Tanabe l’unico in grado di consolidare le basi della “Scuola di Nishida” come modello precursore della “Scuola di Kyoto”. Miki è stimato da Tosaka, per il suo testo Rekishi tetsugaku (Storia della Filosofia), Tokyo 1932, come il filosofo che sembra garantire la continuità della scuola di Nishida. Per via della sua successiva svolta marxista oggi Miki non può essere enumerato tra i filosofi della Scuola di Kyoto. Prima della guerra fu arrestato a causa della sua attività, vietata, in favore del comunismo e morì in carcere, come Tosaka, nel 1945.
[5]  A prova della dichiarazione di giustificazione vengono spesso citati due contestati simposi. Il primo fu condotto in tre sedute e i protocolli furono stampati nella rivista Chuokoron nel gennaio e nell’aprile del 1942, e nel gennaio del 1943. I partecipanti erano Masaaki Kosaka, Keiji Nishitani, Iwao Koyama, Shigetaka Suzuki. Il secondo simposio dal tema “Ueberwindung der Moderne (Superamento del Moderno)” fu organizzato dal circolo degli scrittori “Bungakukai”. Accanto a tre filosofi della Scuola di Kyoto, Keiji Nishitani, Torataro Shimomura, Shigataka Suzuki, parteciparono anche scrittori allora noti, a loro volta suddivisi in due gruppi: i componenti della rivista “Bungakukai”, rappresentati da Hideo Kobayashi (1902 – 1983), e il gruppo “Nihon romanha”, rappresentati da Yojuro Yasuda (1909 – 1981), il quale tuttavia non era presente al simposio.
[6]  Cfr. a questo proposito Hikaru Furuta, Sekai shinchitsujo no geri’ ko (Osservazioni sulla caduta, principio del nuovo ordine del mondo) Parte prima in: allegato al volume 14 della terza edizione del lavoro di Nishida (vedi nota 1 del testo di Nishida, Identità del Sé e Continuità del mondo- Selbsidentitaet Kontinuitaet der Welt ), 1979, pp. 1-5; Parte seconda in: allegato al volume 19 del lavoro di Nishida, ibid. pp. 5-10.
[7]  I marxisti prima della guerra tuttavia non avevano ritenuto che quella della Scuola di Kyoto e di Nishida fosse una filosofia fascista bensì l’avevano stimata positivamente. Vedi sul tema Shin-ichi Funayama, Senzen-senchu no “sayoku”tetugakushatachi kara mita nishida-tetsugaku no sigaku (Il carattere della filosofia di Nishida, come fu considerato dai filosofi di “sinistra” prima e durante la guerra), in: allegato al volume 15 del lavoro di Nishida (3° Edizione), 1979, pp. 1-8.
[8]  Wladimir Solowjew (1853-1900). Cfr. Wilhelm Goerdt (Editore), Russische Philosophie. Zugaenge und Durchblicke, Freiburg/Muenchen 1984.
[9]  Charles Sanders Peirce (1839 – 1914).
[10]  Zen no kenkyu; versione inglese: A study of God, translated by Valdo H. Viglielmo, Tokyo 1960; versione tedesca Ueber das Gute, traduzione di Peter Poertner, Frankfurt am M. 1989.
[11]  Cfr. Nota 1 del testo di Nishida: Identità del Sé e Continuità del mondo (Selbsidentitaet Kontinuitaet der Welt).
[12]  Cfr. nota 1 al testo di Tanabe: Tentativo di chiarire il significato della logica della specie (Versuch, die Bedeutung der Spezies zu klaeren).
[13]  Genshogaku ni okeru atarashiki tenko, ora in: Tanabes Werke, volume 4, pp. 17-34. Versione tedesca tradotta da Johannes Laube, in: Japan und Heidegger, edito da Hartmut Buchner, Sigmaringen 1989, pp. 89-109.
[14] Sul tema cfr. Ryosuke Ohashi, Die frühe Heidegger-Rezeption in Japan, ivi, pp. 23-28.
[15]  Si veda la versione tedesca in questo volume.
[16]  Sekaikan to kokkakan, Tokyo 1941
[17]  Parola pronunciata da Masaaki Kosaka nella 2° sessione del Chuokoron-Simposio (cfr. nota 6). Cfr. Chuokoron (Aprile 1942) pg. 139.
[18]  Cfr. il pronunciamento di Shigetaga Suzuki e i discorsi che seguirono degli altri partecipanti alla 2° sessione del Chuokoron-Simposio (cfr. nota 18), Chuokoron, ibid. pg. 157 segg.
[19]  Poiché in questo contesto non si pone il compito di entrare nel merito del dibattito, basti solo il riferimento alle seguenti letterature, che rappresentano rispettivamente un passo nello sviluppo della discussione: Victor Farias, Heidegger et le nazisme, Lagrasse 1987 (versione tedesca: Heidegger und der Nazionalsozialismus, Frankfurt a. M.. 1989); Hans-G. Gadamer, Oberflächlichkeit und Unkenntnis. Dalla pubblicazione di Victor Farias, in: Antwort. Martin Heidegger im Gespräch, Pfullingen 1988, pg. 152-156; Silvio Vietta, Heideggers Kritik am Nationalsozialismus und an der Technik, Tuebingen 1989.
[20]  Martin Heidegger, Das Rektorat 1933/1934 – Tatsachen und Gedanken, Frankfurt a.M. 1983, pg. 26. Inoltre Tanabe, che un tempo scoprì il giovane Heidegger, ha commentato criticamente il pensiero heideggeriano della “Autoaffermazione delle Università Tedesche” proprio subito dopo l’apparizione dello stesso: la filosofia della crisi, come fu espressa in questo discorso in occasione della nomina a rettore, condurrebbe alla crisi della filosofia. Cfr. Hajime Tanabe, Kiki no tetsugaku ka tetsugaku no kiki ka, in: Opere di Tanabe, volume 8, pp. 1-10; versione tedesca: Philosophie der Krise oder Krise der Philosophie? -Zu Heideggers Rektoratsrede (1933), tradotto da Elmar Weinmayr, in: Japan und Heidegger (cfr. nota 14) pp. 139-147.
[21] Keiji Nishitani, Jiei ni tsuiteno sairon – hihan e no kotae (Ancora sul problema dell’armamento – Risposta alla critica), in: Chuokoron (Maggio 1952), p. 32.