Breve saggio sulla filosofia di Martin Heidegger di Manuela Ritte  – Quarta parte

Per quanto riguarda il superamento del nichilismo Heidegger si distingue dalla maggior parte degli altri filosofi. Egli sostiene che anche chi ha veramente l’intenzione di risolvere il problema e cercare una soluzione, spesso si ferma al fenomeno stesso del nichilismo e non si interroga invece sulle sue cause. Jünger per esempio si augura un attraversamento della linea, parlando di trans lineam, però secondo Heidegger prima di voler superare qualcosa, bisogna vedere molto chiaramente di che cosa si tratta. E perciò le sue osservazioni trattano “della” linea stessa, cioè della zona in cui si compie il nichilismo.”[1]

Nell’intervista per il settimanale Der Spiegel il filosofo tedesco sottolinea che prima di voler superare la tecnica bisogna innanzitutto intendere la sua essenza a partire dalla storia dell’essere. Nell’opera Nietzsche in cui viene affrontata a tutto campo la questione del nichilismo, sostiene che una vera analisi del fenomeno svela che “l’essenza del nichilismo a partire dalla storia dell’essere non mostra quei tratti, che normalmente caratterizzano ciò che si intende col nome abituale “nichilismo”: quello che cade e quello che distrugge, la decadenza e il decadimento. L’essenza del nichilismo non contiene niente di negativo del carattere del distruttivo, che ha il suo posto in principi umani e girovaga in azione umana.” Egli accusa le persone “a ritenere come l’unico reale i fenomeni che sono conseguenze del nichilismo non esperito nella sua essenza e di non tenere conto dell’essere di questo reale, chiamandolo un niente nullo.”[2]

Una vera comprensione del nichilismo esige invece secondo Heidegger una vera comprensione del nihil. Il nihil non riguarda l’ente come pensa la metafisica, ma solamente l’essere. Il vero nichilismo è l’essere che cela la sua essenza, il nulla. E questo celamento non può essere visto come qualcosa di negativo, perché fa parte proprio dell’essere il celare se stesso e tenere anche questo celamento velato: “In fondo (…) questa dimenticanza non è niente di negativo, ma, in quanto velamento-svelamento è presumibilmente un mettere in salvo che preserva qualcosa di non ancora svelato.”[3] Se l’uomo allora pensa di poter superare il nichilismo, non si è reso conto ancora che questo non dipende dalla sua volontà, perché “l’essenza del nichilismo non è per niente l’affare dell’uomo, ma dell’essere stesso.”[4]

In La modernità come destino Bertucciolo esplicita che “l’evento (Ereignis) del dominio della tecnica non è, per Heidegger, il risultato di una aberrazione umana, ma affonda le sue radici in quella che è l’origine-fondamento della storicità occidentale, ossia l’oblio dell’essere (Seinsvergessenheit), il quale non ha il carattere di uno sviamento, di una deiezione di tipo antropologico, ma è da pensare come sottrarsi, venir meno (Entzug) dell’essere.”[5]

Heidegger annota che “voler se stessi immediatamente affrontare la mancanza dell’essere, significherebbe non stimare l’essere come essere. Il così voluto superamento del nichilismo sarebbe solo una ricaduta ancora più forte nel non vero della sua essenza, che nasconde la sua verità.”[6]. Non è l’uomo che agisce, ma è das Geschick, il destino. “L’impresa audace è l’inizio della vicenda, il destino però è il padrone della fine”[7] sono le parole di Democrito riportate da Heidegger.

“Destino” è una parola che Heidegger usa in termini molto profondi, perché non viene solo pensato nel senso di predeterminazione delle cose, ma è un destino nel senso di qualcosa di più grande che ci passa attraverso e le strategie del suo darsi sono a monte della nostra possibilità di visione e di previsione. Heidegger intende dire che invece di cercare di intervenire nella situazione per migliorarla, dovremmo vivere consapevolmente quel culmine dell’incontro con l’essere e chiederci del significato profondo di questo darsi miracoloso dell’essere. Forse questo ci potrebbe disporre in un’altra maniera, sarebbe un altro essere-nel-mondo. Questa etica non è l’etica degli appelli e dei comandamenti, è un’etica di un sentire diverso.

Note

[1] M. Heidegger, Nietzsche, p. 362.
[2] Nietzsche, p. 376.
[3] Oltre la linea, p. 152.
[4] Nietzsche, p. 336.
[5] A. Bertuccioni, La modernità come destino.
[6] Nietzsche, p. 366.
[7] Die Geschichte des Seyns, S. 155.