Il secondo di una serie di articoli sulla genesi e lo sviluppo del concetto di intenzionalità, centrale nella fenomenologia.

Coscienza, contenuto, fenomeno

La prima definizione data da Husserl alla coscienza nella Quinta Ricerca (Ricerche Logiche, 1900-1901), per distinguerla dagli psicologi di inizio secolo (i quali consideravano la loro scienza come lo studio dei contenuti della coscienza oppure gli individui come aventi una serie di esperienze vissute) è quella di ridefinire il significato del termine vissuto e di contenuto di coscienza. Per Husserl sono tali le percezioni, le rappresentazioni, le immaginazioni, gli atti del pensiero concettuale, gli atti volitivi, il dubitare, il provare sensazioni, in un certo senso possiamo dire che sposta l’attenzione da ciò che è colto come di fronte a ciò che è colto nel immediatamente prossimo, a prescindere dal quale, per meglio dire, non si potrebbe avere nessun “cogliere”. Secondariamente tenta di fare chiarezza rendendo meno equivoco il significato di fenomeno. Precisa che fenomeno non è soltanto l’oggetto che si manifesta come tale dinnanzi a noi, ma insieme a ciò il concreto vissuto percettivo in cui l’oggetto ci è presente in se stesso. La distinzione tra i due risiede nel fatto che il vissuto, ovvero la manifestazione della cosa, non è la cosa che si manifesta (ci sta di fronte). Punto centrale è che non esistono solo le manifestazioni, ma c’è un soggetto che le vive, le manifestazioni cioè non si manifestano, ma vengono vissute. Rispetto, poi, al significato di questo “vissuto”, Husserl lo intende in modo puramente fenomenologico nel senso che non è un riferimento agli uomini o alla natura in senso empirico-psicologica, ovvero vissuti sono gli atti primi intenzionali della coscienza, non la vita vissuta di un uomo, o meglio, questa lo è certamente, ma vi sono atti dati come a priori, e sono appunto gli atti primi con cui il soggetto conosce il mondo. Husserl asserisce anche di non confondere questo col semplice asserire che vi siano diversi punti di vista: è per questo motivo che rimarca cosa è fenomeno. L’esempio riportato è quello della percezione di un colore. Ciò che corrisponde al vissuto, secondo il filosofo, è proprio il fatto che non può essere illusorio il colore visto poiché viene da noi percepito come appartenente all’oggetto, come una sua determinazione (un elemento costitutivo reale) alla quale corrisponde per noi la sensazione di colore, intesa come conoscenza fenomenologica appresa. In questo senso invita a non porre punti di vista secondo cui si guarda il mondo, o l’oggetto preso in esame, perché il vedere (o il percepire) ed il visto (o il percepito) sono presenti alla coscienza come fenomeno, non separabili uno dall’altro.
Tornando al vissuto inteso in senso fenomenologico Husserl spiega come non concordi con il concetto comune di esperienza vissuta. In quest’ultimo senso si tratterebbe di una serie di eventi trascorsi, un complesso di esperienze fatte da un individuo che lo costituiscono come pensante in seguito, appunto, al suo vissuto. Nel primo senso significa invece considerare certi contenuti come elementi costitutivi primi di una unità di coscienza, un’intero reale che è certamente vissuto ma nel presente, sempre presente: percezione, rappresentazioni, volizioni, sensazioni, sapere sono tutti presenti in questo stesso momento. Secondo Husserl il sum, cartesianamente inteso, è un’evidenza ma non intesa in senso empirico. L’evidenza io sono non può né dipendere dalla coscienza, né dai suoi contenuti (ne saprebbe), ma è certamente costituita da:

  1. gli innumerevoli giudizi legati al ritener vero questo o quello.
  2. Il percepire come nucleo che fonda e rende possibile l’evidenza stessa. Si tratta di una immediatezza da cui segue il proferimento linguistico e concettuale, ma indipendentemente che giunga ad esprimersi in enunciati vaghi o che resti inespresso, costituisce il dominio primo e assolutamente certo di ciò che risulta dalla riduzione dell’io empirico a ciò che di esso è afferrabile in modo fenomenologico.
  3. Il senso dello scorrimento temporale, di un “appena stato” seguito immediatamente da uno “sta per” che ci fanno assumere che il sapere, o la coscienza, siano nel tempo. La coscienza si percepisce come unità che si manifesta temporalmente.

Precisamente rispetto a questo terzo punto, Husserl osserva che in ogni fase attuale del flusso di coscienza si presenta l’intero orizzonte temporale del flusso, esso possiede una forma che abbraccia qualsiasi contenuto, e tale forma resta sempre identica, mentre varia costantemente il suo contenuto. E’ questo che costituisce il contenuto fenomenologico dell’io. Il concetto di vissuto che indicava ciò che è dato nella percezione interna è, proprio per questo, cosciente e credo che in questo senso Husserl introduca e giustifichi il concetto di io fenomenologico: l’io è sia ciò che è dato nei costitutivi primi ed essenziali dell’esser cosciente (come avviene il sapere) ma è anche “ciò” che (la forma sempre identica, in base a cui empiricamente possiamo sempre dire “io” senza timore di sbagliarci o di stare indicando altro) sempre sa di ogni contenuto e di ogni intenzionalità.
A questo punto emerge l’esplicito riferimento a Kant, in quanto non si è ancora fatto accenno all’io puro (all’io dell’appercezione pura) che dovrebbe costituire il punto unitario cui si riferisce qualsiasi contenuto di coscienza come tale.
In questa fase Husserl sostiene quanto poi andrà recuperando nel periodo tardo, ovvero la non sostenibilità di un io trascendentale, poiché tutto ciò che posso notare, e percepire, non è altro che l’io empirico e il suo riferirsi ai propri vissuti. Per chiarire questa situazione l’unica via che trova è quella di proporre un approccio fenomenologico all’io empirico ed al suo riferirsi agli oggetti. Egli sostiene infatti che il riferimento intenzionale cosciente dell’io ai propri oggetti è comprensibile soltanto se si pensa all’io come corpo vivo, come persona spirituale e quindi l’intero io-soggetto empirico (l’uomo) è l’oggetto intenzionale. Da qui la definizione di coscienza data proprio dai vissuti o atti intenzionali la cui caratteristica è di essere-oggetto, ovvero in termini fenomenologici, essere-oggetto consiste non solo in ciò che è percepito come di fronte rispetto ad un corpo, ma negli atti in cui qualcosa si manifesta o viene pensato come oggetto. In questo senso sembra suggerire che parlare di intenzionalità dipende da un intendimento di mente sottostante che determina a suo volta l’intenzionalità come atto di un soggetto.
In ultima analisi ciò che il filosofo sostiene è che l’io viene percepito come qualsiasi altra cosa esterna, l’auto-percezione dell’io è un fatto quotidiano che non ha difficoltà ad esser compreso. L’autocoscienza consiste dunque nella manifestazione dell’io a sé stesso e nella percezione di sé e del mondo nella modalità della presenza stessa, in carne ed ossa.

Restano adesso aperti i seguenti interrogativi.
E’ necessario postulare un ritorno all’io trascendentale? Si tratta di un regresso all’infinito, in cui sempre ciò che è saputo, considerato, afferrato, preso in considerazione, sottoposto ad attenzione diventa oggetto, e per così dire si fa un passo indietro ogni volta?
Questa posizione potrebbe restare valida solo come ipotesi, in quanto non sarebbe possibile mai raggiungere quel soggetto ultimo, e quindi averne la certezza indubitabile, non sarebbe possibile nemmeno farne esperienza.
Oppure dobbiamo mantenerci sulla scia dell’interpretazione husserliana, nella quale vengono individuati gli atti primi, mai privi di intenzionalità, della coscienza ma che sembra non abbiano alcun soggetto all’origine (proprio perché primi) eppure in qualche modo saputi? Saputi da chi, o da cosa?

Della stessa serie: L’intenzionalità nella Fenomenologia/1 e /3

Bibliografia:

  • Brentano, Franz, La Psicologia dal punto di vista empirico, a cura di Liliana Albertazzi, Roma, Laterza, 1997
  • Dummett, Michael, Origini della filosofia Analitica, introduzione di Eva Picardi, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2001
  • Heidegger, Martin, Che cos’è metafisica?, a cura di Franco Volpi, Milano, Adelphi Edizioni, 2001
  • Heidegger, Martin, I Problemi Fondamentali della Fenomenologia, a cura di Friedrich-Wilhellm von Herrmann, Genova, Il Nuovo Melangolo, 1999
  • Husserl, Edmund, Quinta Ricerca, La coscienza come Compagine Fenomenologica dell’io e la Coscienza come Percezione Interna, in Ricerche Logiche, Volume Secondo. Traduzione italiana a cura di G. Piana, Milano, Il Saggiatore, 1968
  • Husserl, Edmund, La crisi delle Scienze europee e la Fenomenologia trascendentale: introduzione alla filosofia fenomenologica, a cura di Walter Biemel, traduzione di Enrico Filippini, Milano, Il Saggiatore, 1961
  • Von Herrmann, Friedrich-Wilhelm, Il concetto di fenomenologia in Heidegger e Husserl, a cura di Renato Cristin, Genova, Il melangolo, 1997