Oscar e la dama in rosa
di Eric-Emmanuel Schmitt
2005, BUR

Dopo una breve pausa torniamo a darvi qualche consiglio di lettura in onore di Gianni Rodari, sempre a proposito del tema della morte nella letteratura d’infanzia. L’opera che vi segnaliamo questa settimana non è propriamente un libro per bambini; tuttavia, Oscar e la dama in rosa, del francese Eric-Emmanuel Schmitt (di cui abbiamo già recensito il bellissimo Vangelo secondo Pilato), è un racconto lungo che un adulto legge d’un fiato e che si presta anche ad un pubblico pre-adolescente e adolescente: il linguaggio è estremamente semplice e la scrittura scorrevole – l’io narrante è un bambino di dieci anni –, e la tematica è affrontata con una profondità priva di pesantezza, che conserva tutta l’immediatezza e la spontaneità del pensiero infantile.

Eppure la vicenda narrata non ha nulla di leggero. Oscar si trova permanentemente all’ospedale: il suo soprannome (Testa d’Uovo) suggerisce lo stato fisico in cui l’ha ridotto la leucemia; le operazioni alle quali si è sottoposto sono fallite, e ormai nessuna medicina può scongiurare un epilogo che al bambino è subito evidente, ma che genitori e medici sembrano ostinatamente, disperatamente volergli nascondere. Solo Nonna Rosa, un’anziana volontaria che fa visita a Oscar, non indietreggia di fronte al bisogno di sincerità e chiarezza del ragazzino: con lei è possibile parlare della morte, che per il piccolo malato rappresenta un’urgenza interiore da risolvere al più presto, mentre per chi gli ha dato la vita o ha tentato in tutti i modi di salvarla la dipartita di Oscar resta il volto della Gorgone: un mostro da cui distogliere lo sguardo fino all’ultimo. Dietro consiglio di Nonna Rosa, Testa d’Uovo decide di scrivere a Dio una lettera al giorno; al contempo giocherà con la volontaria, immaginando con lei che a trascorrere non siano ore, ma anni, per potersi figurare la vita che non vivrà.

Il lettore adulto e disincantato potrebbe trovare non poche ingenuità in Oscar e la dama in rosa; in ogni caso, nella sua fresca semplicità il libro di Schmitt riesce a essere generoso: i molti spunti di riflessione che offre sono quelli di cui necessita il nostro mondo, nel quale una cieca e generalizzata fiducia nella scienza spesso maschera inquietudini che il pensiero moderno non è in grado di sopire. Il medico di Oscar incarna bene un sapere scientifico dal quale ci si aspetta quasi senza fallo una vittoria sulla malattia, e che per sua stessa natura non sa affrontare il fallimento. I genitori del bambino, travolti dal dolore, si allontanano fatalmente da lui, lasciandolo involontariamente solo a fronteggiare la certezza più feroce; Oscar li disprezza, non nasconde la rabbia che nutre verso di loro, ed è importante che Schmitt abbia inserito, come parte integrante della conclusione, il perdono del figlio nei loro confronti (e in quelli del dottor Düsseldorf) che nasce da una consapevolezza precisa, e che, come una rasoiata, taglia alla radice la gramigna del rancore da un lato e dell’angoscia (non del dolore) dall’altro… In seguito a uno dei dialoghi decisivi con Nonna Rosa, Oscar accoglie infatti i genitori con questa frase: «Scusatemi, avevo dimenticato che anche voi, un giorno, morirete».

‘Grazie’ all’ultimatum ingiunto dalla morte, Oscar si pone le domande che forse, prima o poi, ogni essere umano arriva a formulare, e lo fa senza barare, senza sgusciare via dalla stretta soffocante del dubbio; questo aspetto, per un giovane lettore che si interroghi (o che sia in procinto di farlo) sulle stesse questioni, potrebbe fare la differenza (decisiva dal punto di vista educativo) fra la solitudine che attanaglia il protagonista del libro e quella condivisione profonda che affratella gli uomini di ogni epoca, e che si basa sulla consapevolezza della propria e dell’altrui finitudine. In Oscar e la dama in rosa Dio non è una soluzione a tale abissale questione, bensì il pretesto, la porta attraverso cui esplorare il mistero senza fuggirlo; dice Nonna Rosa al bambino: «Nessuno può evitare di soffrire. Né Dio né tu. Né i tuoi genitori né io. […] C’è sofferenza e sofferenza. […] Se ti piantano dei chiodi nei polsi o nei piedi, non puoi far altro che avere male. Subisci. Invece, all’idea di morire, non sei obbligato ad avere male. Non sai che cos’è. […] Le persone hanno paura di morire perché hanno paura dell’ignoto. Ma per l’appunto, che cos’è l’ignoto?». Nonna Rosa guida così Oscar e il lettore verso un rapporto più lecito con il mistero («Oscar, la malattia è come la morte. E’ un fatto. Non è una punizione.»).

Oscar chiede insistentemente a Dio che gli faccia visita; Nonna Rosa gli ha spiegato che Egli si manifesta molto raramente, ed è indicativo che ciò accada solo quando il bambino, dopo la partenza dall’ospedale della coetanea di cui è innamorato, resta davvero solo. Non più solo in preda all’angoscia della morte, ma solo nella sua attesa. Al risveglio, un’alba come tante, Oscar sperimenta quello che chiama “il colpo della prima volta”: “…Ed ecco il giorno! Ed ecco la notte! Ed ecco la primavera! Ed ecco l’inverno! Ed ecco Peggy Blue! Ed ecco Oscar! Ed ecco Nonna Rosa! Che salute di ferro! [A Dio:] Ho capito che eri qui. Che mi rivelavi il tuo segreto: ogni giorno guarda il mondo come se fosse la prima volta. Allora ho seguito il tuo consiglio con impegno. La prima volta. […] Sentivo l’aria che mi passava nelle narici e mi faceva respirare. Udivo le voci che salivano nel corridoio come nella volta di una cattedrale. […] Fremevo di pura gioia. La felicità di esistere. Ero incantato.”. E’ il messaggio di questa esperienza che, con le ultime forze, Oscar tenta di condividere con i genitori; ed è attraverso questa esperienza che il bambino si sente “[preso] per mano e [condotto] nel cuore del mistero a contemplarlo.”.

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