Ne abbiamo avuto l’esperienza ma ci è sfuggito il significato
E avvicinarci al significato ci restituisce l’esperienza
In una forma differente, al di là di ogni significato.
(T.E. Eliott, da Quattro Quartetti)

 

Phi.mind 21. Sentire è sempre un sentir-si. Shaun Gallagher e il saper di sé pre-riflessivo

Il sentire è sempre il sentire di qualcuno. Il tema del sé – della natura del soggetto – è sempre presente quando parliamo di sentire e sapere: chi sente? Chi lo sa?

Il filosofo contemporaneo americano Shaun Gallagher è da tempo impegnato nel difficile compito di far dialogare le Scienze Cognitive con la Fenomenologia. Imposta la questione dell’autocoscienza in termini non di specifico atto riflesso, ma come una caratteristica intrinseca ad ogni atto1. Egli sottolinea come in ogni stato conscio e in ogni sensazione è sempre implicito ed immanente il saper di sé. Nel ‘provare qualcosa’, nel vivere i qualia, l’esperienza costante è sempre quella di essere ‘io’ a viverla, e questo ‘io’ non è da confondere con l’io psicologico; è un ‘saper di sé’ di cui sono certo senza bisogno di dirmelo perchè è immediato e costitutivo dell’esperienza stessa e – come vedremo oltre – legato al sentire corporeo.

Si tratta di una intuizione profondamente fenomenologica, che si pone in forte opposizione con il concetto di autocoscienza come accesso ai propri stati interni. Questa è un’idea molto diffusa tra altri filosofi americani, ognuno dei quali propone un particolare meccanismo di accesso: per i coniugi Churchland si tratta di pattern di attivazione neurale; per Daniel Dennett l’accesso agli stati interni è determinato da una strenua competizione tra le ‘agenzie cognitive’ che ci abitano; per  Lycan e Dretzke, sostenitori di teorie rappresentazionali della mente, si tratta di una funzione di auto-monitoraggio durante la quale le rappresentazioni degli stati interni vengono costantemente monitorate – come dall’esterno – da “pensieri di ordine superiore”  (HOT, Hight Order Thought)2.

Gallagher sostiene invece che, grazie alla propriocettività corporea costituita da un continuo sentire-agire incarnato, compare molto presto nello sviluppo del bambino una nozione di sé primitiva (che permette ad esempio l’imitazione) che non è colta per un processo di riflessione o rappresentazione della coscienza. Neppure si tratta della stessa propriocezione corporea che diviene oggetto di HOT, formando ancora una volta una immagine di sé come un dato osservato da una mente esterna. Piuttosto la nozione di sé primitiva ha a che fare solo con il sentirsi-muoversi da parte del bambino, che sa afferrare un oggetto e sa della propria mano che afferra. E lo sa in modo immediato, non mediante un processo di monitoraggio o di riflessione.

Gallagher porta anche un interessante argomento per dimostrare come questa consapevolezza implicita del sé senso-motorio non possa dipendere dalla percezione di una mente ‘esterna’ (e neppure, per estensione, dalla rappresentazione da parte di ‘pensieri di ordine superiore’): infatti se una mente esterna cogliesse il sé senso-motorio in una percezione, sarebbe poi necessaria una ulteriore percezione riflessiva per saperne e così via, in una regressione infinita; per evitare tale regresso si deve quindi ammettere una consapevolezza corporea pre-riflessiva, che non costituisce ancora né una identità, né un mondo3.

La dimensione del sentire pre-riflessivo ha dunque un ruolo importante anche nell’individuare un elemento ineliminabile e originario della nostra esperienza: qualsiasi sentire costituisce già un centro di auto-percezione, e nessun concetto successivo di  ‘io’ può prescindere da questa radice di sentire originario.

Può essere utile a questo punto ricordare come abbiamo già incontrato queste caratteristiche di 1) pre-riflessività, 2) radicamento nel corpo e 3) posizione originaria rispetto alla co-produzione di qualia, pensieri, oggetti, soggetto, in diversi modi di intendere il sentire:

–         nel sentire significativo (Phi-mind 13) che nella nostra proposta abbiamo definito come atto primo slegato da ogni contenuto specifico (oggetti o qualia),  privo di coordinate e descrizioni verbali, e tuttavia denso di significatività dovuta al coinvolgimento profondo che ci fa vivere e che si manifesta nei sapori dello sconcerto e della sospensione.

–        nella senzienza originaria (Phi.mind 16) che Francisco Varela indica come manifesta nei momenti di crollo della riconoscibilità (breakdowns) e di incontro con la (significativa!) mancanza di significatività originaria; essa poi genera rapidamente, secondo dinamiche primordiali e pre-riflessive di sentire-agire incarnati, dei mondi e delle identità che possiamo abitare e rappresentare.

–         nella dimensione sorgiva e nelle sue sensazioni significative – felt meanings – indagate da Claire Petitmengin (Phi-mind 20), caratterizzata da percezioni corporee indefinite, da permeabilità e da assenza dei confini individuali. Nella dimensione sorgiva regna un sentire che precede la distinzione soggetto-oggetto e una sconosciutezza completa sui contenunti (nelle parole della Petitmengin: “…per un istante, tu non sai chi sei, dove ti trovi, non sai perfino che quello è un suono“) ma vi si trova anche una percezione di intima unità e partecipazione.

–         il sé pre-riflessivo di Shaun Gallagher, un sentir-si intrinseco ad ogni istante e radicato nel sé senso-motorio del corpo, che si conosce senza processo di rappresentazione di sé e del mondo.

Non si vogliono certo qui appiattire le sfumature e i diversi intendimenti che gli autori hanno sviluppato sul tema, ma solo far conoscere come il sentire originario stia ricevendo in campo scientifico molte più attenzioni di quello che si può pensare.  Nei prossimi due capitoli conclusivi vedremo come sia possibile rintracciarlo – con preziose indicazioni aggiuntive –  nel lavoro di quattro grandi filosofi del recente passato:

–         William James parla di un sentire indistinto e generativo che si ritrova nell’ ‘orlo’ della coscienza.

–         Charles S. Peirce chiama “primarietà” un modo fondamentale dell’esperienza caratterizzato da un “sentire senza relazione con altro”.

–         Jean Paul Sartre si focalizza, indagando sulla natura del soggetto, sulla “riflessività irriflessa”, il saper di sé immediato.

–         Martin Heidegger punta alle tonalità emotive fondamentali: cosa significa ciò che sento?

 

Riferimenti bibliografici

1 Gallagher S. (2006), The structure of pre-reflective self-consciousness, in The Origin of Consciousness: Perspectives from Neuroscience. University of San Marino, Center for Semiotics and Cognitive Studies. San Marino (27-29 October 2006).

Cfr. Di Francesco M. (2000), La coscienza, Ed. Laterza, pp. 78-80.

 Gallagher S. (2005), How the body shapes the mind, Clarendon Press, Oxford

 

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