Ne abbiamo avuto l’esperienza ma ci è sfuggito il significato
E avvicinarci al significato ci restituisce l’esperienza
In una forma differente, al di là di ogni significato.
(T.E. Eliott, da Quattro Quartetti)

 

Phi.mind 17. Neurofenomenologia in teoria:  Michel Bitbol e la via della coscienza non sostanziale

Se è vero che la coscienza che sente i qualia e gli stati fenomenici non è qualcosa, dobbiamo trovare un modo radicalmente diverso di intendere la domanda ‘cosa è coscienza?’.

Michel Bitbol è uno scienziato e filosofo francese che prosegue a Parigi la riflessione iniziata dal biologo e neuscienziato Francisco Varela, con cui ha collaborato per anni presso il CREA (Centro di Ricerca in Epistemologia Applicata).

Bitbol ritiene che, per la prima volta nella storia della scienza, ci troviamo di fronte alla necessità di una via radicalmente non-ontologica. Questa esigenza è palese soprattutto in due campi scientifici apparentemente lontani, la fisica quantistica e gli studi sulla coscienza, ambiti che Bitbol studia appassionatamente proprio perché condividono tale caratteristica[1].

Cosa significa una via non-ontologica?

Significa che, almeno in questi campi, è caduta la possibilità di descrivere la mente o la materia in termini di ‘sostanze’. In altre parole, non si riesce ad affermare alcuna esistenza-in-sé o a determinare alcuna proprietà intrinseca (ontologia) né delle particelle di materia, né degli atti di coscienza.

In estrema sintesi, in Fisica quantistica il comportamento delle particelle subatomiche non è un fenomeno individuabile oggettivamente, poiché il valore di una proprietà è determinato dal processo di misura e non esiste indipendentemente da esso.

Poiché il momento della misura avviene in un contesto strumentale che si situa nella ‘spazio-temporalità’ e che ogni proprietà predicabile è in relazione ad esso, ogni fenomeno rilevabile è un fenomeno singolare (in quanto situato in un contesto) e relazionale (in quanto in relazione allo strumento di misura usato). Pertanto la Meccanica quantistica, più di qualsiasi altra teoria, impone di prendere in esame la mutua specificazione tra un punto di vista particolare (il momento della misura) e proposizioni universali rappresentate dal vettore di stato che permette di prevedere le misure effettuabili in ogni contesto sperimentale.

Parimenti, nello studio della coscienza, l’esperienza fenomenica del ‘sentir-si’ e i qualia  non sono riconducibili a strutture fisiche o a funzioni logiche oggettive, anche se mostrano una radicale dipendenza dal ‘contesto biologico e culturale’ in cui radicano le sopra citate strutture (qualsiasi cosa indichino queste rappresentazioni).

Diviene allora indispensabile una via di ricerca non-ontologica che eluda la trappola di ridurre tutto ad una sostanza unica materiale (monismo materialista) o ad una sostanza unica di tipo mentale (monismo idealista o spiritualista) e che neppure tenti  di far convivere le due sostanze (dualismo mente/materia)[2].

Per Michel Bitbol si deve allargare la portata della scienza indirizzando i problemi ontologici su di un piano metodologico che sappia tenere insieme l’esperienza situata e le leggi generali. In questa prospettiva, dunque, la scienza non deve solo rappresentare e descrivere oggetti e invarianti (ovvero strutture proprie e stabili che esisterebbero aldilà di ogni variazione fenomenica). Essa deve anche utilizzare un metodo rigoroso come quello della fenomenologia, la quale supera la dicotomia tra soggetto e oggetto in nome di una correlazione fondamentale tale per cui diventa sempre meno ovvio individuare il primo senza il secondo. La fenomenologia, grazie alla conversione e alla riduzione, realizza un ritorno agli atti interiori che si compiono, spostando l’attenzione dagli oggetti esterni  al modo in cui tali oggetti appaiono ad una coscienza.

La Neurofenomenologia propone alla scienza proprio questo allargamento metodologico. Grazie alla sua prospettiva non-ontologica presenta due caratteristiche nuove per una disciplina scientifica:

–         è non-fondazionalista, ovvero sopporta di non fissare la base della coscienza (e delle particelle subatomiche) nella oggettività di cervello o materia e neppure nella soggettività di una base spirituale o idealista. Piuttosto, essa affronta i problemi a partire dal livello epistemologico, vale a dire, dal punto di vista della conoscenza, non cercando di conoscere  una ‘cosa’ ma un ‘come’: come conosce e sente la coscienza? In che modo le si presentano i fenomeni? Come vedremo è proprio questo tipo di domanda che legittima risposte di tipo pratico e metodologico;

–         è simmetrica e dinamica: la neurofenomenologia non privilegia il cervello né l’esperienza in prima persona. Non cerca di stabilire a tutti i costi correlazioni dirette tra i due piani. Piuttosto pone un vincolo reciproco tra i dati in prima e terza persona, li mantiene in un equilibrio simmetrico perché si convalidino ed arricchiscano a vicenda, in modo dinamico.

Ma cosa si intende per “vincolo reciproco” tra il piano dell’esperienza cosciente e quello dei dati neurali?

 

Riferimenti bibliografici

[1] Bitbol M. (2002), Science as if situation mattered,  in “Phenomenology and the Cognitive Science, 1, 181-224, 2002. Trad. it. a cura di Fabio Negro: Una scienza in cui l’essere situati conta. http://www.asia.it/adon.pl?act=doc&doc=550

[2] Bitbol M. (2006), Une science de la conscience équitable. L’actualité de la neurophénomenologie de Francisco Varela, in “Intellectica”, 2006/1, 43, pp.135-157.

 

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